26 Maggio 2018 – Sabato, VII del Tempo Ordinario – San Filippo Neri – (Gc 5,13-20; Sal 140[141]; Mc 10,13-16) – I Lettura: In mezzo alle tribolazioni non bisogna smarrirsi, ma pregare, così nella gioia non bisogna dimenticare Dio, ma lodarlo. La preghiera è rimedio anche alla malattia. Questo passo costituisce la prova dell’istituzione del Sacramento dell’unzione degli infermi. La pluralità dei presbiteri che vengono chiamati a fianco dell’ammalato costituisce un’assemblea orante che, con la preghiera e il segno sacramentale dell’unzione, ottiene per l’infermo la forza della sopportazione, l’unione alle sofferenze di Cristo, il perdono dei peccati e, se è nei disegni di Dio, anche la guarigione. Ultima raccomandazione, come prova di una fede attiva, è la sollecitudine per chi è nell’errore. Salmo: “Come incenso. La nostra preghiera è paragonabile all’incenso che è fine e non si offre che a Dio. La tua grazia fa salire la mia preghiera, l’attira con dolcezza e la trattiene presso di sé” (Atanasio). Vangelo: Solo i bambini sono capaci di chiamare “papà, abbà” con una totale fiducia e completo abbandono. Un insegnamento per i suoi discepoli che, ancora una volta, seguono il pensiero umano frapponendosi tra Gesù e la gente nel tentativo di mostrarlo come persona ragguardevole e difendere un onore tutto terreno.
Chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso – Dal Vangelo secondo Marco: In quel tempo, presentavano a Gesù dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.
Riflessione: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite». Chi potrebbe mai voler allontanare i nostri bambini da Gesù? Pensiamo per un attimo se oggi avessimo la possibilità di avvicinare Gesù, fargli benedire i nostri figli, invocare per essi ogni grazia, far ascoltare loro qualche parabola edificante, qualche buon consiglio, riempire i loro teneri e innocenti cuori di parole vive, di immagini misericordiose, incoraggiandoli ai più alti valori, spingendoli alle più belle virtù… chi mai potrebbe non volere questo, chi mai priverebbe i fanciulli di tanto bene? Certamente nessuno che abbia un po’ di buon senso lo farebbe… eppure, dobbiamo ammetterlo, spesso siamo proprio noi coloro che si adoperano perché tale distacco avvenga! Certo, oggi Gesù non lo ritroviamo nelle strade della Galilea, e per certi versi questo renderebbe il tutto più pratico e facile: infatti Gesù, lo stesso Gesù, ieri oggi e sempre (cfr. Eb 13,8), lo ritroviamo molto più vicino a noi. Non abbiamo bisogno di cercarlo in terre lontane, non dobbiamo prendere appuntamenti, non serve fare lunghe file di attesa: quanto è vicino il nostro buon Gesù! Com’è facile andare a lui, e presentargli i nostri bambini! Com’è facile permettere loro di ascoltare una buona Parola! Dobbiamo allora chiederci se davvero nelle nostre case, le nostre famiglie, le nostre chiese domestiche, sono luoghi privilegiati per i nostri bambini, dove possono incontrare Gesù: egli è presente dove ci si riunisce nel suo nome (cfr. Mt 18,20), ci parla attraverso la Parola di Dio che è viva, vera, efficace, realizza le virtù, infonde luce e pace, incoraggia nelle scelte, illumina le coscienze, salvaguarda l’innocenza… Chiediamoci, dunque, se i nostri atteggiamenti, abitudini, parole, mentalità, accostano i nostri bimbi a Gesù o li allontanano. Le nostre case sono luoghi di incontro con Gesù?
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: La preghiera guarisce i malati – Benedetto XVI (Omelia, 11 Febbraio 2010): Nel brano della Lettera di Giacomo, appena proclamato, l’Apostolo invita ad attendere con costanza la venuta ormai prossima del Signore e, in tale contesto, rivolge una particolare esortazione riguardante i malati. Questa collocazione è molto interessante, perché rispecchia l’azione di Gesù, che guarendo i malati mostrava la vicinanza del Regno di Dio. La malattia è vista nella prospettiva degli ultimi tempi, con il realismo della speranza tipicamente cristiano. “Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia, canti inni di lode” (Gc 5,13). Sembra di sentire parole simili di san Paolo, quando invita a vivere ogni cosa in relazione alla radicale novità di Cristo, alla sua morte e risurrezione (cfr. 1Cor 7,29-31). “Chi è malato, chiami presso di sé i presbiteri della Chiesa ed essi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato” (Gc 5,14-15). Qui è evidente il prolungamento di Cristo nella sua Chiesa: è ancora Lui che agisce, mediante i presbiteri; è il suo stesso Spirito che opera mediante il segno sacramentale dell’olio; è a Lui che si rivolge la fede, espressa nella preghiera; e, come accadeva alle persone guarite da Gesù, ad ogni malato si può dire: la tua fede, sorretta dalla fede dei fratelli e delle sorelle, ti ha salvato. Da questo testo, che contiene il fondamento e la prassi del sacramento dell’Unzione dei malati, si ricava al tempo stesso una visione del ruolo dei malati nella Chiesa. Un ruolo attivo nel “provocare”, per così dire, la preghiera fatta con fede. “Chi è malato, chiami i presbiteri”.
Il bambino oggetto di particolare amore da parte di Gesù – Giovanni Paolo II (Omelia, 13 Dicembre 1999): Va crescendo nell’odierna società l’attenzione per il mondo dell’infanzia e si consolida la consapevolezza del doveroso rispetto per il suo inalienabile diritto alla vita, alla famiglia, alla salute, all’istruzione ed all’educazione religiosa e civile, come pure alla rigorosa difesa della sua innocenza. Ciò nonostante, non di rado i fanciulli subiscono ancora gravi affronti e violenze, specialmente nelle regioni più povere del mondo e nei paesi colpiti dalla guerra e dalla fame. Sono minacciati dall’egoismo e dalla corsa al benessere materiale, che talora affascina i genitori, sottraendoli al dovere di una presenza educativa, fatta di premurosa vicinanza ai figli e di ascolto dei problemi connessi con la loro crescita ed inserimento nella società. La Chiesa continua a proclamare sotto ogni latitudine la centralità del bambino, oggetto di particolare amore da parte di Gesù, che in lui scorge il modello di quanti sono chiamati ad accogliere il Regno di Dio (cfr. Mc 10,14).
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «Chi è fisicamente sano, non ha bisogno delle cure dei medici; la buona salute, infatti, non esige l’opera delle medicine. Coloro i quali, invece, sono afflitti da qualche malattia, sono soliti chiamare in aiuto i medici; impugnando come un’arma il soccorso della loro scienza, essi tentano di scacciare, come fossero dei nemici, le malattie dai corpi. La scienza medica, in effetti, è di sollievo per il fisico ed escogita rimedi contro i malanni. Parimenti, coloro che hanno l’anima sana, florida per religiosità, non hanno bisogno del farmaco di nessuna dottrina; al contrario, coloro che professano qualche empio insegnamento e hanno contratto le malattie delle dottrine profane, avendo per di più conseguito, con il trascorrere del tempo, l’assuefazione alla malattia; ebbene, costoro hanno bisogno di molte cure, onde liberarsi da quella sostanza ostile e purificare la propria anima. Inoltre, essi necessitano di molte altre medicine che chiudano e ostruiscano, con il loro effetto, gli originari condotti della sostanza peccaminosa, placando altresì le colpevoli sofferenze» (Teodoreto di Ciro).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Lasciate che i bambini vengano a me – Christifideles Laici 47: I bambini sono certamente il termine dell’amore delicato e generoso del Signore Gesù: ad essi riserva la sua benedizione e ancor più assicura il Regno dei cieli (cfr. Mt 19,13-15; Mc 10,14). In particolare Gesù esalta il ruolo attivo che i piccoli hanno nel Regno di Dio: sono il simbolo eloquente e la splendida immagine di quelle condizioni morali e spirituali che sono essenziali per entrare nel Regno di Dio e per viverne la logica di totale affidamento al Signore: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli. Perché chiunque diventerà piccolo come questo bambino sarà il più grande nel Regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio accoglie me” (Mt 18,3-5; cfr. Lc 9,48). I bambini ci ricordano che la fecondità missionaria della Chiesa ha la sua radice vivificante non nei mezzi e nei meriti umani, ma nel dono assolutamente gratuito di Dio. La vita di innocenza e di grazia dei bambini, come pure le sofferenze loro ingiustamente inflitte, ottengono, in virtù della croce di Cristo, uno spirituale arricchimento per loro e per l’intera Chiesa: di questo tutti dobbiamo prendere più viva e grata coscienza. Si deve riconoscere, inoltre, che anche nell’età dell’infanzia e della fanciullezza sono aperte preziose possibilità operative sia per l’edificazione della Chiesa che per l’umanizzazione della società. Quanto il Concilio dice della presenza benefica e costruttiva dei figli all’interno della famiglia “Chiesa domestica”: “I figli, come membra vive della famiglia, contribuiscono pure a loro modo alla santificazione dei genitori” (GS 48), dev’essere ripetuto dei bambini in rapporto alla Chiesa particolare e universale. Lo rilevava già Jean Gerson, teologo ed educatore del XV secolo, per il quale “i fanciulli e gli adolescenti non sono certo una parte trascurabile della Chiesa” (Ioannis Gerson “De parvulis ad Christum trehendis: Oeuvres complete”, Declée, Paris 1973, IX, 669).
Maria e la famiglia di Nazareth – “Nazareth ci ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci mostri com’è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale” (Paolo VI).
Santo del giorno: 26 Maggio – San Filippo Neri, Sacerdote: Figlio di un notaio fiorentino di buona famiglia. Ricevette una buona istruzione e poi fece pratica dell’attività di suo padre; ma aveva subito l’influenza dei domenicani di san Marco, dove Savonarola era stato frate non molto tempo prima, e dei benedettini di Montecassino, e all’età di di-ciott’anni abbandonò gli affari e andò a Roma. Là visse come laico per diciassette anni e inizialmente si guadagnò da vivere facendo il precettore, scrisse poesie e studiò filosofia e teologia. A quel tempo la città era in uno stato di grande corruzione, e nel 1538 Filippo Neri cominciò a lavorare fra i giovani della città e fondò una confraternita di laici che si incontravano per adorare Dio e per dare aiuto ai pellegrini e ai convalescenti, e che gradualmente diedero vita al grande ospizio della Trinità. Filippo passava molto tempo in preghiera, specialmente di notte e nella catacomba di san Sebastiano, dove nel 1544 sperimentò un’estasi di amore divino che si crede abbia lasciato un effetto fisico permanente sul suo cuore. Nel 1551 Filippo Neri fu ordinato prete e andò a vivere nel convitto ecclesiastico di san Girolamo, dove presto si fece un nome come confessore; gli fu attribuito il dono di saper leggere nei cuori. Ma la sua occupazione principale era ancora il lavoro tra i giovani. San Filippo era assistito da altri giovani chierici, e nel 1575 li aveva organizzati nella Congregazione dell’Oratorio; per la sua società (i cui membri non emettono i voti che vincolano gli ordini religiosi e le congregazioni), costruì una nuova chiesa, la Chiesa Nuova, a santa Maria “in Vallicella”. Diventò famoso in tutta la città e la sua influenza sui romani del tempo, a qualunque ceto appartenessero, fu incalcolabile.
Preghiamo: O Padre, che glorifichi i tuoi santi e li doni alla Chiesa come modelli di vita evangelica, infondi in noi il tuo Spirito, che infiammò mirabilmente il cuore di san Filippo Neri. Per il nostro Signore Gesù Cristo…