maggio, meditazioni

23 Maggio 2018

23 Maggio 2018 – Mercoledì, VII del Tempo Ordinario – (Gc 4,13-17; Sal 48[49]; Mc 9,38-40) – I Lettura: Dopo aver messo in guardia i suoi interlocutori dalla superbia, che non rende gradita la preghiera al Signore, e aver raccomandato l’umile sottomissione a Dio, Giacomo si rivolge ora ai giudei che si vantano dei loro viaggi d’affari. Nel periodo ellenistico, i giudei si davano spesso al commercio e intraprendevano viaggi solo in vista di un profitto economico. L’esor-tazione è per un’applicazione pratica del suo discorso sulla sottomissione a Dio: l’arroganza porta a non tenere conto della transitorietà della vita umana, e nel riporre il proprio onore nei profitti anziché nell’adempimento della volontà di Dio. Salmo: Il ricco e il misero insieme: prendendo su di sé tutte le nostre pene, il Cristo si è fatto povero di cose temporali… infatti il Cristo era ricco di beni spirituali e povero di beni materiali” (Tommaso D’Aquino). Vangelo: Scacciare i demòni in nome di un personaggio autorevole era di uso nel giudaismo. Ma Giovanni si lamenta non perché coloro che operavano gli esorcismi non fossero seguaci di Gesù, ma perché “non ci seguiva”, cioè non era del loro gruppo, quasi a rivendicare l’esclusività del potere del Maestro.

Chi non è contro di noi è per noi – Dal Vangelo secondo Marco: In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi».

Riflessione: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Gli uomini sono istintivamente e spesso colpevolmente, portati a issare steccati, a creare divisioni, a raggrupparsi in partiti in competizione se non in avversione l’uno contro l’altro. È un dato che deriva dall’esperienza quotidiana: dagli ideali più alti quali la politica con le diverse visioni e proposte, con le diverse priorità e soluzioni, fino agli argomenti più banali come il tifo sportivo. Ma è un dato che è stato attentamente esaminato anche in campo filosofico, dove la tendenza a distinguere e quindi a dividere me stesso dagli altri è processo che porta ineluttabilmente ad un individualismo sempre più marcato e assoluto. Già da bambini, tra le prime cose che apprendiamo e su cui siamo disposti a spendere copiose lacrime è: “questo è mio!”, sottintendendo che se è mio non è tuo né di alcun altro! E così, senza accorgercene, in modo quasi istintivo, cresciamo, dividendo i buoni dai cattivi, gli amici dai nemici, gli affidabili dagli inaffidabili, ecc… È normale quindi, umanamente parlando, la questione suscitata da Giovanni: io sono discepolo e posso usare il nome di Gesù, ma non quello straniero che non ci segue, che non è dei nostri, del nostro partito, della nostra associazione, della nostra parrocchia, della nostra nazione… Ed ecco i divieti, i paletti, le paure, le burocrazie, le divisioni… Ma Gesù è diverso! Egli al primo posto non mette le appartenenze ma l’amore verso tutti. Non importa chi è colui che fa del bene, ma si rallegra perché qualcuno, chiunque sia, sta facendo del bene e lo sta facendo nel suo nome. E noi chi mettiamo al primo posto, le appartenenze o il nome di Gesù?

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: L’uomo non può riscattare se stesso né pagare a Dio il proprio prezzo – Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 20 Ottobre 2004): Un’ottusità profonda s’impadronisce dell’uomo quando s’illude di evitare la morte affannandosi ad accumulare beni materiali: non per nulla il Salmista parla di un «non comprendere» di impronta quasi bestiale. Il tema sarà, comunque, esplorato da tutte le culture e da tutte le spiritualità e sarà espresso nella sua sostanza in modo definitivo da Gesù che dichiara: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15). Egli narra poi la famosa parabola del ricco insipiente, che accumula beni a dismisura senza immaginare l’agguato che la morte gli sta tendendo (cfr. Lc 12,16-21). La prima parte del Salmo è tutta centrata proprio su questa illusione che conquista il cuore del ricco. Costui è convinto di riuscire a «comprarsi» anche la morte, tentando quasi di corromperla, un po’ come ha fatto per avere tutte le altre cose, ossia il successo, il trionfo sugli altri in ambito sociale e politico, la prevaricazione impunita, la sazietà, le comodità, i piaceri. Ma il Salmista non esita a bollare come stolta questa pretesa. Egli fa ricorso a un vocabolo che ha un valore anche finanziario, «riscatto»: «Nessuno può riscattare se stesso, o dare a Dio il suo prezzo. Per quanto si paghi il riscatto di una vita, non potrà mai bastare per vivere senza fine, e non vedere la tomba» (Sal 48,8-10). Il ricco, aggrappato alle sue immense fortune, è convinto di riuscire a dominare anche la morte, così come ha spadroneggiato su tutto e su tutti col denaro. Ma per quanto ingente sia la somma che è pronto ad offrire, il suo destino ultimo sarà inesorabile. Egli, infatti, come tutti gli uomini e le donne, ricchi o poveri, sapienti o stolti, dovrà avviarsi alla tomba, così come è accaduto anche ai potenti e dovrà lasciare sulla terra quell’oro tanto amato, quei beni materiali tanto idolatrati (cfr. vv. 11-12). Gesù insinuerà ai suoi ascoltatori questa domanda inquietante: «Che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima?» (Mt 16,26). Nessun cambio è possibile perché la vita è dono di Dio, che «ha in mano l’anima di ogni vivente e il soffio d’ogni carne umana» (Gb 12,10).

Per essere per Cristo bisogna dire no… – Benedetto XVI (Lectio Divina, 11 Giugno 2012): «Rinunciate alle seduzioni del male per non lasciarvi dominare dal peccato?». Che cosa sono queste seduzioni del male? Nella Chiesa antica, e ancora per secoli, qui c’era l’espressione: «Rinunciate alla pompa del diavolo?», e oggi sappiamo che cosa era inteso con questa espressione «pompa del diavolo». La pompa del diavolo erano soprattutto i grandi spettacoli cruenti, in cui la crudeltà diventa divertimento, in cui uccidere uomini diventa una cosa spettacolare: spettacolo, la vita e la morte di un uomo. Questi spettacoli cruenti, questo divertimento del male è la «pompa del diavolo», dove appare con apparente bellezza e, in realtà, appare con tutta la sua crudeltà. Ma oltre a questo significato immediato della parola «pompa del diavolo», si voleva parlare di un tipo di cultura, di una way of life, di un modo di vivere, nel quale non conta la verità ma l’apparenza, non si cerca la verità ma l’effetto, la sensazione, e, sotto il pretesto della verità, in realtà, si distruggono uomini, si vuole distruggere e creare solo se stessi come vincitori. Quindi, questa rinuncia era molto reale: era la rinuncia ad un tipo di cultura che è un’anti-cultura, contro Cristo e contro Dio. Si decideva contro una cultura che, nel Vangelo di san Giovanni, è chiamata «kosmos houtos», «questo mondo». Con «questo mondo», naturalmente, Giovanni e Gesù non parlano della Creazione di Dio, dell’uomo come tale, ma parlano di una certa creatura che è dominante e si impone come se fosse questo il mondo, e come se fosse questo il modo di vivere che si impone. Lascio adesso ad ognuno di voi di riflettere su questa «pompa del diavolo», su questa cultura alla quale diciamo «no». Essere battezzati significa proprio sostanzialmente un emanciparsi, un liberarsi da questa cultura. Conosciamo anche oggi un tipo di cultura in cui non conta la verità; anche se apparentemente si vuol fare apparire tutta la verità, conta solo la sensazione e lo spirito di calunnia e di distruzione. Una cultura che non cerca il bene, il cui moralismo è, in realtà, una maschera per confondere, creare confusione e distruzione. Contro questa cultura, in cui la menzogna si presenta nella veste della verità e dell’informazione, contro questa cultura che cerca solo il benessere materiale e nega Dio, diciamo «no».

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Non glielo impedite – «Lo stesso concetto ripete il dotto Apostolo: “Purché Cristo sia in ogni modo annunziato, per dispetto o con lealtà, io di questo godo e godrò!” [Fil 1,18]. Ma anche se egli s’allieta per coloro che annunziano Cristo in modo non sincero e, poiché fanno di conseguenza talvolta miracoli per la salvezza degli altri, consiglia che non ne vengano impediti, tuttavia costoro per tali miracoli non possono sentirsi giustificati; anzi, in quel giorno in cui diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato in nome tuo, e non abbiamo scacciato i demòni nel tuo nome, e nel tuo nome non abbiamo compiuto molti miracoli?”, essi riceveranno questa risposta: “Non vi ho mai conosciuti, allontanatevi da me voi che operate l’iniquità” [Mt 7,22-23]. Perciò, per quanto riguarda gli eretici e i cattivi cattolici, dobbiamo solennemente respingere non quelle credenze e quei sacramenti che essi hanno in comune con noi e non contro di noi, ma la scissione che si oppone alla pace e alla verità, per la quale essi sono contrari a noi e non seguono in unità con noi il Signore» (Beda il Venerabile).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: I Vangeli, in molte occasioni, non temono di mettere in evidenza i limiti caratteriali e le povertà intellettuali e spirituali degli Apostoli. Così, la richiesta da parte del discepolo che «Gesù amava» di mettere a regime lo Spirito Santo denuncia apertamente una mentalità gretta, tribale, non plasmata ancora dallo Spirito. Giovanni è l’apostolo che aveva chiesto a Gesù, per sé e per suo fratello Giacomo, i primi posti nel Regno celeste (Mc 10,35-40). E sempre loro due chiederanno a Gesù di incenerire i Samaritani il cui unico torto era stato quello di non aver voluto accogliere il Maestro (Lc 9,54). Tutto questo, oltre a far capire con quale pasta Gesù costruì la sua Chiesa, al dire di molti autori, è un’ulteriore prova della veridicità dei racconti evangelici. Quella di Giovanni, in pratica, è la richiesta di ottenere il monopolio della potenza del nome di Gesù. La risposta del Maestro sgombra il campo da ogni dubbio: di questa potenza i discepoli non sono i padroni; essa è data da Dio e solo Dio ne dispone i tempi e i modi e l’avvenuto miracolo attesta che chi l’ha operato ha agito con corretta intenzione. Dovremmo imparare bene la lezione e ricordare che “ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della luce” (Gc 1,17). L’intransigen-za dell’apostolo denuncia la gretta mentalità di tutti coloro che pretendono di ingabbiare lo Spirito Santo o di pos-sedere in esclusiva il potere carismatico del Cristo. Una pretesa in certi circoli ecclesiali assai viva e molta marcata.

Santo del giorno: 23 Maggio – San Giovanni Battista de’ Rossi, Sacerdote: Nacque nel 1698 a Voltaggio, in provincia di Genova ma a 13 anni, per motivi di studio, si trasferì a Roma nella casa di uno zio sacerdote, canonico a Santa Maria in Cosmedin. A Roma frequentò il liceo presso i gesuiti del Collegio Romano avviandosi agli ordini sacri. In quel periodo fu colto dai primi attacchi di epilessia, malattia che lo avrebbe fatto soffrire per tutta la vita. Venne ordinato sacerdote l’8 marzo 1721 e da allora diede ancora più slancio al suo apostolato, avviato in precedenza, tra gli studenti, i poveri e gli emarginati. Sulla scia di quell’impegno nacque la Pia Unione dei sacerdoti secolari di Santa Galla dal nome di un ospizio maschile da lui diretto. Giovanni ne volle uno anche per donne e lo dedicò a Luigi Gonzaga santo cui era devotissimo. Eletto canonico di Santa Maria in Cosmedin, venne dispensato dall’obbligo del coro per potersi dedicare con maggiore libertà ai suoi impegni apostolici. Negli ultimi mesi di vita l’epilessia si aggravò costringendolo a un vero e proprio calvario. Morì il 23 maggio 1764. Fu canonizzato da Leone XIII l’8 dicembre 1881.

Preghiamo: Il tuo aiuto, Padre misericordioso, ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito, perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà e attuarlo nelle parole e nelle opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

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