22 Maggio 2018 – Martedì, VII del Tempo Ordinario – Santa Rita (Memoria facoltativa) – (Gc 4,1-10; Sal 54[55]; Mc 9,30-37) – I Lettura: L’uso errato della lingua e la falsa sapienza portano contrasti all’interno della comunità, Giacomo ne spiega le cause di fondo identificandole nella bramosia: il desiderio non appagato genera l’invidia e da qui le guerre tra fratelli. Ora entra in ballo la fede: se non si ottiene ciò che si desidera è perché non si chiede nella preghiera e se si chiede, si chiede male. Quali sono le condizioni che rendono inefficace la preghiera? Lo stato di inimicizia con Dio che si crea quando si ama il mondo e le cose del mondo, infatti il mondo è la negazione di Dio. Con l’appellativo di “gente infedele”, l’Apostolo vuole riferirsi al peccato di idolatria, proprio di chi ha messo i beni terreni al posto di Dio. Ad inquinare la preghiera è poi la superbia, infatti “Dio resiste ai superbi ma dà grazia agli umili”. Salmo: “Tutto il lessico dell’amicizia e dell’intimità è qui concentrato per rendere più amara la sorpresa del tradimento. Il desiderio è quello di avere ali di colomba per fuggire nel deserto, lontano da questo mondo traditore” (G. Ravasi). Vangelo: Gesù è in viaggio dalla Galilea verso Gerusalemme. Questo itinerario acquista un significato simbolico nel vangelo di Marco che ne dedica tutta una sezione (da 8,27 a 10,52). Durante questo tragitto Gesù affronta il tema della natura della sua identità e della sua sequela annunciando per ben tre volte la sua passione ormai imminente. Gerusalemme rappresenta non solo una meta geografica, ma la meta della missione del Cristo che è la sua morte in croce. Nel brano odierno troviamo il secondo annuncio della passione: Gesù parla di “consegna”, il termine greco (paradidõmi) è usato per indicare l’atto con cui una persona è data in balìa di un potere avverso. Lo stesso termine è utilizzato nella traduzione greca di Ger 26,24 e Is 53,6.12 per indicare la situazione del giusto perseguitato. L’incomprensione dei discepoli fa notare la totale estraneità di questi alla logica con la quale il Maestro compiva il suo viaggio.
Il Figlio dell’uomo viene consegnato. Se uno vuol essere il primo, sia il servitore di tutti – Dal Vangelo secondo Marco: In quel tempo, Gesù e i discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Riflessione: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». Essere cristiani significa non solamente credere che Gesù è il Cristo, vero uomo e vero Dio, il rivelatore, la Parola prima e ultima pronunciata dal Padre… ma significa anche desiderare conformarsi in tutto a lui, avendo in noi gli stessi suoi sentimenti (cfr. Fil 2,5), amando il Padre e il prossimo come lui ci ha insegnato con gli insegnamenti e i gesti che i sacri Vangeli ci hanno tramandato (cfr. Gv 13,15). Essere cristiani, significa percorrere la via che egli ci ha indicato, ed è la via del servizio: pur essendo Dio, infatti, si fece servo di tutti (Fil 2,7), si è fatto povero per arricchirci (2Cor 8,9), venuto per servire e dare la sua vita in riscatto per molti (cfr. Mt 20,28). San Pietro, nella sua Lettera ci ricorda che: «Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme» (2Pt 2,21). Inutile illuderci: non ci sono altre vie! Chi pensa di essere amico e compagno di viaggio di Cristo, fuori da questa Via, rischia di ritrovarsi fuori dalla sua amicizia: «In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”» (Mt 7,22-23). Essere gli ultimi e i servi di tutti: questo ci rende grandi agli occhi di Dio, liberi da ogni egoismo, gioiosi di operare bene.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti: l’umiltà – Paolo VI (Udienza Generale, 5 Febbraio 1975): L’uomo religioso non può non essere umile. L’umiltà è verità. La coscienza cosmica genera l’umiltà: «che è mai l’uomo, perché Tu (o Dio) l’abbia a magnificare?» (Job. 7,17). S. Agostino, che ha dell’umiltà un concetto sempre presente nelle sue opere, c’insegna che l’umiltà è da collocarsi nel quadro della verità (S. AUGUSTINI De nat. et gr., 34; PL 44,265). Siamo piccoli; e noi, per di più, siamo peccatori (cfr. S. THOMAE Summa Theologiae, II-IIæ, 161). A questo riguardo l’umiltà appare logica, e così facile, che se non fosse temperata da altre considerazioni provenienti dalla misericordia di Dio, ci condurrebbe allo scetticismo, alla disperazione. «Umilia-tevi, scrive San Pietro, sotto la mano potente di Dio, affinché Egli vi esalti nel tempo della (sua) visita; ogni vostra ansietà deponetela in lui, perché Egli ha cura di voi» (1Pt 5,6-7). E l’esempio di Cristo, soprattutto, ci sarà scuola e modello di umiltà.
Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti – Giovanni Paolo II (Omelia, 18 Settembre 1994): Le parole di Gesù, nel brano evangelico appena proclamato, tracciano la via regale di una santa “ambizione”, che è propria di quanti conoscono e amano Dio: è la via di un primato spirituale, che paradossalmente si realizza nel mettersi all’ultimo posto, quello del servizio generoso e senza riserve, sull’esempio stesso di Gesù, venuto a servire, e non ad essere servito. Ben poco avevano capito di Lui i discepoli, che lungo la strada verso Cafarnao discutevano su “chi fosse il più grande” (Mc 9,34). Di questa ambizione tutta umana parla efficacemente l’apostolo Giacomo additandola quale origine delle “guerre e delle liti”, che devastano la società: “Bramate e non riuscite a possedere e uccidete: invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra!” (Gc 4,2). È lo spettacolo di un mondo dominato “dalle passioni che combattono” nelle membra e nel cuore dell’uomo. Come è realistico questo messaggio, quando guardiamo all’odierna società! La disputa riportata nel brano evangelico ci avverte che anche tra i figli della Chiesa si può insinuare il tarlo roditore di orgogli, magari camuffati, e di ambizioni inconfessate, che disturbano l’opera di Dio. Di fronte a tale tentazione la parola di Gesù è categorica, e va presa sul serio: “chi vuole essere il primo sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti!”. Servire è imitare Cristo, che ha dato se stesso in sacrificio per noi. Servire è vivere in rapporto di concreta solidarietà con i fratelli, specialmente i più poveri. Servire è amare generosamente e gratuitamente, senza nulla attendersi in cambio.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: L’umiltà, custode di tutte le virtù – “Nessun’altra cosa devi ritenere che sia più pregevole e più amabile dell’umiltà, in quanto questa virtù è quella che ti preserva e che ti fa custode – per così dire – di tutte le altre virtù. Non c’è altro che ci rende così accetti agli uomini e a Dio del ritenerci all’ulti-mo posto per umiltà, anche se siamo in vista, grazie ai meriti della nostra vita. Tant’è vero che la Scrittura dice: Quanto più sei grande, tanto più ti devi umiliare, e allora troverai grazia davanti a Dio (Sir 3,18); e Dio fa dire al profeta: Su chi altro mi poserò, se non su chi è umile, in pace, e timoroso delle mie parole? (Is 66,2). L’umiltà a cui devi tendere, però, non è quella che si mette in vista e che viene simulata dal portamento esteriore o dalle parole sussurrate a metà, ma quella che lascia trasparire un genuino sentimento interiore. Una cosa, infatti, è avere una virtù, e altra cosa lo scimmiottarla; una cosa è andare dietro a un’ombra di realtà, e altra cosa è seguire la verità. Quella superbia che si nasconde sotto certi accorgimenti di umiltà è molto più mostruosa. Non so perché, ma i vizi che si mascherano con apparenze virtuose sono molto più ripugnanti” (Girolamo).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Santa Rita – “Famosa nel mondo come la santa dei casi impossibili, Rita da Cascia ci ha insegnato col suo esempio di vita vissuta che, se ci affidiamo a Dio, tutto può accadere. Patrona della famiglia, del dialogo e del perdono, Santa Rita, al secolo Margherita Lotti (Roccaporena, 1381 – Cascia, 1457) è anche detta “santa della spina” per la particolarissima stigmata che ricevette sulla fronte quindici anni prima della sua morte. È il 1432, quando Rita innalza il suo dolore alle sofferenze di Cristo per l’umanità: chiede ed ottiene dall’Amato, come pegno d’amore, di diventare partecipe ancora di più alla Sua sofferenza. Non sappiamo cos’è accaduto in quel momento, una luce, un lampo, una spina staccatasi dal Crocifisso le si conficca nella fronte e nell’anima. Per la sua vita ordinaria, simile a quella di chiunque di noi, Rita è tra i santi più venerati al mondo. Nella sua storia si riflettono tante storie ancora oggi. Donna, moglie, madre, vedova, monaca, stigmatizzata, Santa Rita ha vissuto ogni momento della sua quotidianità mettendo in pratica i valori dell’accoglienza, della carità, del dialogo e del perdono. Valori che hanno portato la santa di Cascia ad andare controcorrente, in un periodo storico fatto di faide familiari regolate dalla legge della vendetta e dell’occhio per occhio. Dovunque nel mondo, si rivolgono a lei come a un’amica, soprattutto donne, infermi e famiglie, per confidare nella sua intercessione e superare così gli ostacoli della vita. Questo legame, così forte e vivo nonostante siano trascorsi sei secoli, porta più di un milione di pellegrini ogni anno davanti al suo corpo incorrotto, custodito nel Santuario di Cascia, dove le monache agostiniane, depositarie del messaggio ritiano, offrono a tutti servizio di ascolto, anche grazie all’aiuto dei padri” (santaritadacascia.org).
Santo del giorno: 22 Maggio – Madonna Odigitria (dal greco bizantino colei che conduce, mostrando la direzione): L’iconografia è costituita dalla Madonna con in braccio il Bambino Gesù, seduto in atto benedicente, che tiene in mano una pergamena arrotolata e che la Vergine indica con la mano destra (da qui l’origine dell’epiteto). La Madonna Odigitria è la patrona di Sicilia, ed è ricordata dalla liturgia il martedì che segue la domenica di Pentecoste. Il suo culto è diffusissimo sin da tempi remoti e si pensa sia un lascito delle dominazioni bizantine. Numerosi paesi, quelli più antichi, conservano una chiesa dedicata a questo titolo mariano, e moltissime sono le raffigurazioni. Diverso però è il soggetto iconografico. Alcune raffigurazioni usano, infatti, rappresentare la Madonna in una cassa portata da due anziani che apparentemente scelgono strade diverse. L’iconografia si rifà alla leggenda che narra di una contesa tra due paesi che volevano impossessarsi di un simulacro mariano, e che si sia conclusa con la costruzione del santuario là dove, al bivio, la Madonna divenne talmente pesante da non essere più trasportabile. L’Odigitria è molto venerata da secoli dalla popolazione di minoranza albanese, specialmente di Piana degli Albanesi, emigrata in Sicilia nel XV secolo, che portò con sé lingua, costumi e riti orientali, e quindi santi della tradizione ortodossa.
Preghiamo: Il tuo aiuto, Padre misericordioso, ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito, perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà e attuarlo nelle parole e nelle opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo…