liturgia

18 Maggio 2018

18 Maggio 2018 – Venerdì, VII di Pasqua – (At 25,13-21; Sal 102[103]; Gv 21,15-19) – I Lettura: “Le parole di Festo esprimono indifferenza per le credenze di Paolo e per la sua controversia religiosa con i Giudei. La conversazione dei due politici rivela il tipico atteggiamento degli uomini mondani nei confronti di questioni che giudicano stravaganti e la cui importanza per la vita in definitiva ignorano. […] La conversazione con il governatore fa nascere nel cuore di Agrippa il vivo desiderio di ascoltare Paolo’’ (Bibbia di Navarra). Salmo: “Sintesi dei benefici di Dio: perdona i nostri peccati per mezzo della propiziazione che è il Cristo; ti libera dalla morte dando per la tua morte il sangue del Figlio suo; ti corona della grazia d’adozione; ti dona la speranza della risurrezione col pegno dello Spirito. Tutto questo sono i doni dello sposo alla sposa, e questa non porta che la propria fede” (Eusebio). Vangelo: “Nonostante il triplice rinnegamento dell’Apostolo durante la Passione, il Signore gli conferisce ora il primato promesso. Gesù interroga Pietro per tre volte, come se volesse dargli altrettante possibilità di riparare la sua triplice negazione. Pietro ha imparato; la sua stessa miseria lo ha reso esperto” (Bibbia di Navarra).

Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore – Dal Vangelo secondo Giovanni: In quel tempo, [quando si fu manifestato ai discepoli ed] essi ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse “Mi vuoi bene?”, e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

Riflessione: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Con l’episodio della apparizione del Risorto sulle rive del lago, che la Liturgia ci propone, si conclude il Tempo di Pasqua. Domenica celebreremo la Pentecoste e quindi torneremo nel Tempo Ordinario. Andiamo a concludere questo lungo periodo liturgico, iniziato il Mercoledì delle Ceneri, con la Quaresima; un tempo liturgico che ha vissuto l’apice durante il Triduo Pasquale, con la contemplazione della Passione, Morte e Risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo; Tempo di grazia che abbiamo vissuto nella contemplazione del Signore Risorto in questi giorni pasquali. Filo conduttore di questi misteri, centrali della nostra fede, è stato l’amore: per amore Dio Padre ha donato il suo Figlio Gesù e per amore il Cristo ha donato se stesso, offrendo la sua vita al Padre per la Redenzione di tutti noi. Il Padre donandoci il Figlio ci ha donato in lui ogni cosa (cfr. Rm 8,32). Il Figlio, «avendo amato i suoi che erano nel mondo, lì amò fino alla fine» (Gv 13,1b). Cosa ci chiede Dio in cambio? Come ripagarlo di tanto amore? Ce lo ricorda l’episodio evangelico di oggi: Pietro è il traditore, colui che aveva giurato di non conoscere il Maestro, rinnegandolo pubblicamente e ripetutamente: rappresenta ciascuno di noi. Gesù non vuole scuse, parole di umiliazioni, rimproveri o condanne. A Gesù interessa solo una cosa: lo amiamo? Siamo disposti a riprendere il cammino con lui? Gesù non vuole altro da noi: amiamolo sinceramente

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: San Pietro Apostolo e Martire – Paolo VI (Udienza Generale, 3 Novembre 1965): Carissimi Figli: Noi vi auguriamo di fare questa esperienza salutare: è quella della fede che nasce dal cuore; è quella della fede facile e gioiosa, che solo i veri seguaci di Cristo possono sperimentare. Ma osservate: questa professione di fede, a un dato momento, può diventare testimonianza, cioè può esprimersi davanti a chi non la condivide, e forse la osteggia, può diventare pericolosa. È ciò che è avvenuto a Pietro, il quale non fu soltanto apostolo; fu anche martire. Così capitò a San Paolo: sulla sua tomba sono scolpite queste semplici parole: Apostolus et Martyr. E così a tanti seguaci di Cristo, che furono insigniti di questo titolo tragico e glorioso di martire. Che vuol dire martire? Martire vuol dire testimonio; ma nella nomenclatura cristiana questo termine ha assunto il significato specifico di testimonio col sangue per la fede di Cristo. È il titolo privilegiato di colui che ha dato la vita lasciandosi uccidere per causa di Cristo. È un titolo che suppone un dramma esterno, violento e crudele, un episodio estremamente interessante dell’urto fra due forze, quella disarmata, ma invincibile dello spirito, e quella del potere armato, vittorioso in apparenza, sconfitto in realtà. È un titolo che suppone un dramma interiore, nel cuore del martire, che mette a confronto sulla bilancia d’una scelta suprema: la fede o la vita; e decide che la fede vale più della vita; egli sa che questa scelta gli farà perdere tutto, lo renderà agli occhi altrui impopolare, fanatico e solitario, forse vilipeso e ridicolo; forse privo anche di quella dignità esteriore, che darebbe grandezza – al suo silenzioso e disprezzato eroismo.

Pasci i miei agnelli: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 9 Dicembre 1992): “Pasci i miei agnelli”; “Pasci le mie pecorelle”. È come un prolungamento della missione di Gesù, che ha detto di sé: “Io sono il buon Pastore” (Gv 10,11). Gesù, che ha partecipato a Simone la sua qualità di “pietra”, gli comunica anche la sua missione di “pastore”. È una comunicazione che implica una comunione intima, che traspare anche dalla formulazione di Gesù: “Pasci i miei agnelli… le mie pecorelle”; come aveva già detto: “Su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,18). La Chiesa è proprietà di Cristo, non di Pietro. Agnelli e pecorelle appartengono a Cristo, e a nessun altro. Gli appartengono come a “buon Pastore”, che “offre la vita per le sue pecore” (Gv 10,11). Pietro deve assumersi il ministero pastorale nei riguardi degli uomini redenti “con il sangue prezioso di Cristo” (1Pt 1,19). Sul rapporto tra Cristo e gli uomini, diventati sua proprietà mediante la redenzione, si fonda il carattere di servizio che contrassegna il potere annesso alla missione conferita a Pietro: servizio a Colui che solo è “pastore e guardiano delle nostre anime” (1Pt 2,25), e nello stesso tempo a tutti coloro che Cristo-buon Pastore ha redento a prezzo del sacrificio della croce. È chiaro, peraltro, il contenuto di tale servizio: come il pastore guida le pecore verso i luoghi in cui possono trovare cibo e sicurezza, così il pastore delle anime deve offrir loro il cibo della parola di Dio e della sua santa volontà (cfr. Gv 4,34), assicurando l’unità del gregge e difendendolo da ogni ostile incursione.

… ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani… – Benedetto XVI (Udienza Generale, 11 Agosto 2010): […] da dove nasce la forza per affrontare il martirio? Dalla profonda e intima unione con Cristo, perché il martirio e la vocazione al martirio non sono il risultato di uno sforzo umano, ma sono la risposta ad un’iniziativa e ad una chiamata di Dio, sono un dono della Sua grazia, che rende capaci di offrire la propria vita per amore a Cristo e alla Chiesa, e così al mondo. Se leggiamo le vite dei martiri rimaniamo stupiti per la serenità e il coraggio nell’affrontare la sofferenza e la morte: la potenza di Dio si manifesta pienamente nella debolezza, nella povertà di chi si affida a Lui e ripone solo in Lui la propria speranza (cfr. 2Cor 12,9). Ma è importante sottolineare che la grazia di Dio non sopprime o soffoca la libertà di chi affronta il martirio, ma al contrario la arricchisce e la esalta: il martire è una persona sommamente libera, libera nei confronti del potere, del mondo; una persona libera, che in un unico atto definitivo dona a Dio tutta la sua vita, e in un supremo atto di fede, di speranza e di carità, si abbandona nelle mani del suo Creatore e Redentore; sacrifica la propria vita per essere associato in modo totale al Sacrificio di Cristo sulla Croce. In una parola, il martirio è un grande atto di amore in risposta all’immenso amore di Dio.

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore – «Non si chiama pastore, ma mercenario colui che pascola le pecore del Signore non per intimo amore, ma per guadagno temporale. È mercenario infatti colui che sta al posto del pastore, ma non cerca di guadagnare le anime, ambisce ai comodi mondani, gode per l’onore del suo stato, si pasce dei guadagni temporali, si allieta del rispetto che gli uomini gli portano. Questa è la mercede del mercenario tanto che per la sua fatica di governo trova quaggiù quello che cerca, e in futuro sarà escluso dall’eredità del gregge. Se poi si tratti di un vero pastore o di un mercenario, non lo si può conoscere con esattezza se manca qualche occasione dolorosa. Nei tempi tranquilli, infatti, nella custodia del gregge anche il mercenario si comporta per lo più come il vero pastore; ma quando viene il lupo, si vede con che animo ciascuno custodiva il gregge. E viene il lupo sul gregge, quando qualche ingiusto tiranno opprime i fedeli e gli umili. Colui che sembrava pastore, e non lo era, abbandona le pecore e fugge, perché teme il proprio pericolo, e non presume di resistere all’ingiustizia. E fugge non solo mutando luogo, ma privando il gregge di appoggio. Fugge, perché vede l’in-giustizia e tace; fugge, perché si nasconde nel silenzio; e di costoro è stato detto bene, per voce del profeta: Non vi siete schierati contro, né avete opposto un muro per la difesa della casa d’Israele, scendendo in guerra nel giorno del Signore (Ez 13,5). Schierarsi contro significa opporsi con libera voce a qualsiasi potente che agisce male. Scendiamo in guerra per la casa d’Israele nel giorno del Signore, e opponiamo un muro, se con l’autorità della giustizia proteggiamo i fedeli innocenti contro l’ingiustizia dei perversi. Perché il mercenario non fa così, quando vede venire il lupo, fugge» (Gregorio Magno).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Maria, Madre del buon cammino – “Ormai sai che la tua maturità cristiana deve includere Maria. Te la sentirai associata al tuo stesso divenire del Signore. È dunque importante che ti orienti verso Maria come hai inteso di doverti orientare verso l’opera di Dio (a cui Ella è intimamente associata): è lei che viene a te! Si potrebbe affermare che non sei tanto tu ad essere devoto di lei, ma che è lei ad essere devota di te” (Aluffi).

Santo del giorno: 18 Maggio – San Felice da Cantalice, Cappuccino: Felice Porro nacque a Cantalice (Rieti), quasi certamente nel 1515; giovanissimo si trasferì a Cittaducale dove prestò servizio nella famiglia Picchi come pastore e contadino. Nel 1544 decise di assecondare il desiderio di farsi Cappuccino. Dopo il Noviziato a Fiuggi, nel 1545 emise i voti nel convento di San Giovanni Campano. Quindi sostò per poco più di due anni nei conventi di Tivoli e di Viterbo-Palanzana per poi trasferirsi nel convento romano di San Bonaventura (Santa Croce dei Lucchesi sotto il Quirinale), dove nei rimanenti quarant’anni fu questuante per i suoi confratelli. Ebbe temperamento mistico, dormiva appena due o tre ore e il resto della notte lo trascorreva in preghiera. Per le strade di Roma assisteva ammalati e poveri: devotissimo a Maria era chiamato «frate Deo gratias» per il suo abituale saluto.

Preghiamo: O Dio, nostro Padre, che ci hai aperto il passaggio alla vita eterna con la glorificazione del tuo Figlio e con l’effusione dello Spirito Santo, fa’ che, partecipi di così grandi doni, progrediamo nella fede e ci impegniamo

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