Liturgia, maggio

6 Maggio 2018 – VI Domenica di Pasqua (B)

Dagli Atti degli Apostoli (10,25-26.34-35.44-48) – Anche sui pagani si è effuso il dono dello Spirito Santo: La constatazione di Pietro, “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone” (v. 34), è la certificazione che ormai la salvezza è per tutti i popoli: lo Spirito Santo, effondendosi sui pagani, supera e cancella gli angusti spazi del popolo d’Israele. L’effusione dello Spirito Santo ha l’aspetto di una vera pentecoste, in tutto analoga alla prima (cfr. 2,1-4.33 con 10,44-46). Questa unità nello Spirito Santo dimostra come Dio non fa preferenze di persone, ma chiunque, giudeo o pagano, gli può essere accetto. Ma nonostante tutto, questa convivenza di Pietro con i non circoncisi sembrerà insolita e illegittima agli «ebrei» di Gerusalemme.

Dal salmo 97 – Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia: Cantate al Signore un canto nuovo… «Canto nuovo, perché la sua destra e il suo braccio lo hanno liberato e il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza davanti alle genti, lui che ha il potere di offrire la sua anima e di riprenderla (cfr. Gv 10,18). Il Figlio unigenito di Dio, per salvare l’uomo non ha bisogno di un aiuto estraneo: rimanendo nella gloria della maestà del Padre, si è valso del proprio potere. Con la gloria della sua risurrezione, ha fatto conoscere ai gentili la sua salvezza» (Ilario).

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo (4,7-10) – Dio è amore: I cristiani devono amarsi gli uni gli altri. L’amare incondizionatamente è una caratteristica di coloro che provengono da Dio e lo conoscono. Il nostro Dio non si nasconde, non vive nella sua sfera divina, ma si è voluto manifestare all’umanità, ha mandato il suo Figlio. Ecco il piano della salvezza che si realizza attraverso l’Incarnazione: l’amore di Dio Padre ha come o-biettivo la nostra vita eterna, felice, libera dalla morte e dalla sofferenza.

Dal Vangelo secondo Giovanni (15,9-17) – Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici: La pericope evangelica odierna è tratta dai «discorsi dell’addio»: Gesù, prima della morte, rivela ai discepoli i misteri più grandi della vita divina. Il brano svolge il tema della carità fraterna, dell’osservanza dei comandamenti, della gioia che ne deriva nell’osservarli e dell’elezione divina. Dopo aver ricordato che il discepolo è chiamato ad essere familiare con il Cristo, Giovanni chiude ricordando il dovere di portare frutto che si concretizza nell’amore vicendevole.

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Approfondimento

Gesù, il nostro «Amico» – Benedettine di Rosano (Amicizia in Schede Bibliche – EDB): Anche per ciò che riguarda l’amicizia, le Scritture hanno trovato in Cristo il loro compimento. È lui l’Amico fedele, che «è un balsamo per la vita» (Eccli 6,16) e sa amare con una dedizione immensamente superiore a quella di Gionata; è lui il Giusto derelitto, che sperimenta oltre ogni limite l’abbandono ed il tradimento da parte dei suoi più intimi amici; e, nonostante ciò, egli ama «sino alla fine» (Gv 13,1), fino a «dare la vita» per loro (Gv 15,13).

Anche sul piano umano l’amicizia ha una larga parte nella vita di Gesù. Egli stesso ha dato a Lazzaro il titolo di «amico» (Gv 11,11) e nutre per lui sentimenti così profondi da giungere fino alla commozione del pianto (Gv 11,36).

Inoltre, fin dall’inizio della sua vita pubblica si era scelto dodici discepoli perché «stessero con lui» (Mt 3,14), condividendo con lui tutte le vicende della sua avventurosa esistenza, e nei momenti di più intima effusione li chiamò «amici» (Lc 12,4; Gv 15,13-15). Quando giunse la sua «ora», egli si vide tradito da uno che aveva sempre considerato «amico» (Mt 26,20), mentre gli altri l’abbandonarono (Mt 26,31). Uno solo gli rimase vicino, Giovanni, il discepolo prediletto, vero modello dell’amico «fedele fino alla morte», cui Gesù dall’alto della croce affidò sua madre e l’ultimo anelito del suo cuore (Gv 19,26-27; 33-37). La sera che precedette la passione, agli Undici raccolti nel cenacolo Gesù diede nel pane eucaristico un segno supremo di amore; rivelò loro i segreti del Padre (Gv 15,15); promise di ammetterli a partecipare alla sua stessa gloria (Gv 17,22).

Infine, affidandoli al Padre, effuse i suoi sentimenti in una preghiera nella quale la più sublime amicizia umana s’innalza fino alle sorgenti stesse da cui ogni amore discende: il mistero insondabile dell’amore tripersonale. Tutto questo ha, per i cristiani, conseguenze di portata incalcolabile (Gv 14,23; 15,9). Nella sua preghiera sacerdotale Gesù ha raccomandato al Padre non solo gli Undici, ma tutti quelli che «grazie alla loro parola» crederanno in lui: «Non per questi soltanto io prego, ma anche per quelli che crederanno, grazie alla loro parola, in me; perché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato… Io in loro e tu in me, affinché siano perfetti nell’unità, e il mondo conosca che tu mi hai mandato, e li hai amati come hai amato me» (Gv 17,20-23).

L’amicizia, che regna tra i seguaci di Gesù, trascende quindi la misura comune dell’amicizia umana (Mt 5,46) ed ha infranto tutte le barriere che si ergono ordinariamente tra uomo ed uomo (Gal 3,28), perché sfiora il mistero della vita trinitaria da cui trae la propria origine. È proprio dell’amicizia estendersi dall’amico a tutti coloro che gli sono cari: perciò il cristiano, che la grazia battesimale ha reso «amico di Dio», offre la propria amicizia a tutti gli uomini indistintamente, perché sa che il Padre celeste «fa sorgere il suo sole sopra i malvagi ed i buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45), avvolgendoli tutti in un unico, implacabile amore. Anche se qualcuno tenterà di infrangere questo mutuo rapporto di benevolenza, egli continuerà instancabilmente a dimostrargli la propria amicizia, vincendo «il male mediante il bene» (Rm 12,21).

Si può dunque dire che, pur non facendosi illusioni sul mondo in cui vive (come Gesù non si illudeva sul conto dei farisei e di Erode), il cristiano non scorge intorno a sé che dei volti amici, perché sa che la carità diffusa nel suo cuore dallo Spirito Santo (Rm 5,5) è capace di tramutare l’odio più accanito in amore.

Commento al Vangelo

Gesù disse ai suoi discepoli – Prima di entrare nella comprensione del testo, occorre sottolineare che questa seconda parte del 15mo capitolo (vv. 9-17) è rivolta ai discepoli che hanno scelto il Cristo come Maestro, o meglio, come rettamente ci suggerisce il Vangelo, che sono stati scelti da lui: Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi.

Per dodici volte risuonano le parole “amore-amare-amici”. Qui le immagini allegoriche sono spiegate parola per parola. Portare frutto equivale ad amare. Nel momento in cui Gesù ama fino alla fine (Gv 13,1), invita i suoi discepoli a innestarsi sullo stesso amore. La reciprocità, che è la legge dell’amore, è il fulcro di questo passo: Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi. Come io ho amato voi, così voi amatevi gli uni gli altri. Il come ripetuto due volte non è un semplice paragone, ma esprime il fondamento della rivelazione: l’amore totale e definitivo del Padre si manifesta nell’incarnazione e nella morte di Gesù (Gv 3,16).

E vi è da sottolineare altresì che questo come «non è unico nell’insegna-mento di Gesù: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” [Mt 5,48]; “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro” [Lc 6,36]; “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amati, così amatevi anche voi” [Gv 13,34]. È impossibile osservare il comandamento del Signore, se si tratta di imitare il modello divino dall’esterno. Si tratta invece di una partecipazione vitale, che scaturisce “dalla profondità del cuore”, alla Santità, alla Misericordia, all’Amore del nostro Dio. Soltanto lo Spirito, che è la nostra Vita, può fare “nostri” i medesimi sentimenti che furono in Cristo Gesù. Allora diventa possibile l’unità del perdono, perdonarci “a vicenda come Dio ha perdonato” a noi “in Cristo” [Ef 4,32]» (CCC  2842) .

Infine, sempre in questa seconda parte del discorso, la minaccia del castigo non ha più ragione di essere; gli avversari sono scomparsi lasciando il posto soltanto agli amici. E qui Gesù indica il criterio per riconoscere i suoi amici: sono quelli che fanno ciò che egli comanda loro (v. 14), ossia che si amino gli uni gli altri (vv. 15-17).

Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Con queste parole, prima di consegnarsi nelle mani dei persecutori per la salvezza del mondo, Gesù svela ai suoi amici l’intensità del suo amore. Per gustare questo amore i discepoli sono invitati a rimanere in lui: soltanto se saranno in Cristo e il Cristo abiterà per la fede nei loro cuori, e così radicati e fondati nella carità, saranno in grado di conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza (cfr. Ef 3,17-19).

Il frutto più bello di questa profonda comunione di amore è la gioia: la gioia «è un segno messianico-escatologico della salvezza presente, ed è conseguenza della pace. La reciproca immanenza porta nel discepolo la stessa gioia di Gesù, la sicurezza della salvezza, la liberazione da ogni schiavitù e da ogni ansia: una sicurezza posta totalmente nella esperienza cosciente dell’amore di Dio in Cristo. Così l’uomo diventa libero di amare [cfr. Gv 8,32] da schiavo che era di se stesso e della sua angoscia. Anche la gioia arriva alla perfezione come dono interiore partecipata da Cristo, che la trasforma in sua, pur rimanendo nostra» (Adalberto Sisti).

Con l’incarnazione del Verbo la gioia fa irruzione nel mondo. Giovanni Battista esulta di gioia nel seno di Elisabetta (cfr. Lc 1,44), Maria canta i suoi sentimenti di lode, di gratitudine in un inno gioioso, che celebra Dio salvatore degli umili (cfr. Lc 1,46-49), ai pastori viene annunciata «una grande gioia, che sarà di tutto il popolo» (Lc 2,10). La gioia straripa nei cuori degli uomini perché «l’attesa della redenzione è ormai imminente nel Cristo [Lc 2,36-38]. Giovanni Battista già sente la voce dello sposo, che lo riempie di gioia [Gv 3,28-29]. Gesù stesso si manifesta come lo sposo presente, che non permette ai suoi amici di digiunare, poiché è tempo di festa [Lc 5,34-35]. Ormai, in Gesù, il Regno di Dio è in mezzo agli uomini: esso è il tesoro per il quale si è disposti a dare tutto gioiosamente [Mt 13,44]» (Giuseppe Manzoni).

L’amore che Gesù chiede ai suoi deve essere espansivo, totale, senza riserve: esso deve consumarsi fino al dono di se stessi: «In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3,16).

Voi siete miei amici… perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi: nell’Antico Testamento Mosè, Giosuè e Davide sono chi-amati servi di Dio (cfr. Dt 34,5; Gs 24,29; Sal 89,21); solo Abramo è definito amico di Dio e a motivo di questa amicizia il Signore gli svela i suoi intimi pensieri (cfr. Gen 18,17; 2Cr 20,7; Is 41,8).

Non voi avete scelto me… era uso nel mondo giudaico scegliersi un maestro, Gesù sottolinea invece che la chiamata, esplicitamente gratuita, è venuta dalla sua volontà. Nessuno può arrogarsi il diritto di essere suo discepolo se Egli non lo chiama al suo seguito. Ed è Lui che li ha costituiti perché vadano e portino frutto. Dal contesto il mandato non sembra intendersi in una prospettiva missionaria ma, più genericamente riferirsi alla vita cristiana come impegno di portar frutto. Il frutto rimane perché i discepoli sono innestati alla vera vite: la fecondità ai tralci viene data dalla vite. Precipua preoccupazione dei discepoli è quindi quella di rimanere in Cristo. Oltre la gioia, la comunione con la Vite vera arreca ai discepoli un altro dono: tutto quello che chiederete al Padre nel mio Nome egli ve lo concederà. La preghiera sarà sempre accolta perché l’orante cercherà unicamente il Regno del Padre: infatti, «è sempre esaudito chi chiede per sé cose necessarie alla salvezza con pietà e perseveranza» (Tomma-so d’Aquino).

Riflessione

Come il Padre ha amato me – Nelle parole di Gesù è adombrata l’opera delle Tre Persone divine che si chinano sull’uomo dimostrando la loro onnipotenza nell’amarlo in modo infinito. Un amore spinto fino alle estreme conseguenze, sino all’eccesso: quando «Dio volle partecipare ad altri la sua felicità e creò il genere umano, gli costò caro: il Padre ha dovuto sacrificare il Figlio, il Figlio ha dovuto morire in croce. C’erano tre divine Persone, immerse in una Vita eterna-immensa-infinita, gloriose e felicissime in un’estasi di Scienza-Sapienza-Amore. Con la creazione del-l’umanità una delle tre Persone ha dovuto sottoporsi a sofferenze immani» (AA. VV., Riflessioni su Cristo).

Il Padre dà tutto ciò che ha: il suo Spirito, il suo Figlio unigenito. Con il dono del Figlio Dio dimostra di amare gli uomini in modo pieno, con una misura traboccante, completamente e totalmente senza riserve (cfr. Gv 3,16). Il Padre dà tutto ciò che ha perché «Egli in se stesso “è Amore” [1 Gv 4,8-16], che si dona completamente e gratuitamente» (Compendio CCC 42).

Come il Padre anche il Figlio dà tutto se stesso: la sua vita, il suo corpo e il suo sangue nel mistero dell’Eucaristia, il suo perdono, la sua Madre dolcissima, il suo Spirito, i carismi, le acque salutari del Battesimo dove gli uomini rinascono a una vita nuova, eterna. Gesù ama gli uomini chiamandoli ad essere suoi commensali, suoi familiari, suoi amici, rivelando loro i profondi segreti dell’intimità divina con il Padre, svelando il volto del Padre e affidando loro la sua stessa missione: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21). Gesù, «nella storia d’amo-re che la Bibbia ci racconta […], ci viene incontro, cerca di conquistarci  fino all’Ultima Cena, fino al Cuore trafitto sulla croce, fino alle apparizioni del Risorto e alle grandi opere mediante le quali Egli, attraverso l’azio-ne degli Apostoli, ha guidato il cammino della Chiesa nascente. Anche nella successiva storia della Chiesa il Signore non è rimasto assente: sempre di nuovo ci viene incontro attraverso uomini nei quali Egli traspare; attraverso la sua Parola, nei Sacramenti, specialmente nell’Eucaristia. Nella liturgia della Chiesa, nella sua preghiera, nella comunità viva dei credenti, noi sperimentiamo l’amore di Dio, percepiamo la sua presenza e impariamo in questo modo anche a riconoscerla nel nostro quotidiano. Egli per primo ci ha amati e continua ad amarci per primo; per questo anche noi possiamo rispondere con l’amore» (Deus caritas est 17).

Lo Spirito Santo, Amore che unisce il Padre e il Figlio, dà il massimo: dà tutto se stesso, onde i credenti abbiano ed usufruiscano di tutto ciò che il Padre ed il Figlio vogliono donare: «Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve l’annuncerà» (Gv 16,13-15). Lo Spirito Santo dà se stesso ai credenti onde vivano nell’amicizia del Padre e del Cristo. Ridona loro «la somiglianza divina perduta a causa del peccato e li fa vivere in Cristo, della Vita stessa della Trinità Santa. Li manda a testimoniare la Verità di Cristo e li organizza nelle loro mutue funzioni, affinché tutti portino “il frutto dello Spirito” (Compendio CCC 145). Edifica, «anima e santifica la Chiesa» (Compendio CCC 145). Dà se stesso alla Chiesa, restando in essa fino alla fine dei tempi (cfr. Gv 14,16).

Il credente, amando il prossimo come Dio ama gli uomini, imita l’amore di Dio, il quale ama tutti senza fare «preferenze di persone» (At 10,34-35). Il come, allora, qualifica l’amore. Dio ama pur non avendo bisogno di nulla, nemmeno del contraccambio; così Gesù ha amato i suoi discepoli, dando tutto, compreso la vita, senza pretendere nulla; così devono amare i credenti. L’amore verso Dio e l’amore verso il prossimo sono inseparabili e si dimostrano l’uno con l’altro. Come l’amore verso il prossimo è la prova dell’amore verso Dio (1Gv 4,20-21), così l’amore verso Dio è la prova dell’amore verso il prossimo (1Gv 5,2).

La pagina dei Padri

Aiutare noi stessi e aiutarci gli uni gli altri – Doroteo di Gaza: Cerchiamo di acquistare l’amore, cerchiamo di acquistare la misericordia per il prossimo, per guardarci dalla terribile maldicenza e dal condannare o disprezzare chicchessia. Aiutiamoci gli uni gli altri come membra nostre. Chi, se ha una ferita nella mano o nel piede o in una delle altre membra, prova ripugnanza di se stesso o taglia via le proprie membra, anche se la ferita va in putrefazione, e non piuttosto la pulisce, la lava, vi mette empiastri, la fascia, l’unge con l’olio santo, prega, invoca i santi perché preghino per lui? E insomma non abbandona, non rigetta il proprio membro o il suo fetore, ma fa di tutto per guarire. Così dobbiamo anche noi compatirci gli uni gli altri, prenderci cura di noi stessi o direttamente o attraverso altri più capaci, ed escogitare e fare di tutto per aiutare noi stessi e aiutarci gli uni gli altri. “Siamo infatti membra gli uni degli altri”, come dice l’Apostolo (Rm 12,5). Se dunque siamo tutti quanti un solo corpo e uno per uno siamo membra gli uni degli altri, se un membro soffre, soffrono insieme a lui anche tutte le altre membra (cfr. 1Cor 12,26).

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