maggio, meditazioni

4 Maggio 2018

4 Maggio 2018 – Venerdì, V di Pasqua – (At 15,22-31; Sal 56[57]; Gv 15,12-17) – I Lettura: Gli apostoli e gli anziani con tutta la Chiesa decidono di inviare alcuni delegati, Paolo e Bàrnaba, ad Antiòchia. Essi riferiscono in parola quanto è in lettera. Si conviene che: ai fratelli pagani non è imposto nulla di più che credere in Gesù e i pagani convertiti dovranno guardarsi dallo scandalizzare i giudei osservanti. Salmo: “Destati, gloria mia! È l’annuncio della risurrezione. Destati, perché ha il potere di riprendere la sua vita. L’aurora: annuncia l’ora della risurrezione del Cristo (cfr. Mc 16,2)” (Rufino). Vangelo: Il comandamento dell’amore è in fondo l’unico comandamento che Gesù ci ha lasciato; sembrerebbe un’impresa non da poco ma “a Dio nulla è impossibile”. Chiediamo a Lui la costanza e la perseveranza nel farci simili a Lui.

Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri – Dal Vangelo secondo Giovanni: In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Riflessione: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici». “Quando Gesù nelle sue parabole parla del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare. Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo; amore, questo, nella sua forma più radicale. (…) Cristo ha preso l’ultimo posto nel mondo – la croce – e proprio con questa umiltà radicale ci ha redenti e costantemente ci aiuta. Chi è in condizione di aiutare riconosce che proprio in questo modo viene aiutato anche lui; non è suo merito né titolo di vanto il fatto di poter aiutare. Questo compito è grazia. Quanto più uno s’adopera per gli altri, tanto più capirà e farà sua la parola di Cristo: «Siamo servi inutili» (Lc 17,10). Egli riconosce infatti di agire non in base ad una superiorità o maggior efficienza personale, ma perché il Signore gliene fa dono… In umiltà farà quello che gli è possibile fare e in umiltà affiderà il resto al Signore. È Dio che governa il mondo, non noi. Noi gli prestiamo il nostro servizio solo per quello che possiamo e finché Egli ce ne dà la forza” (Benedetto XVI, Deus Caritas est 12.35).

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: La comunità, voluta da Gesù, è una comunità agàpica – Don Aristide Tantalo: Mentre nei sinottici il comandamento di Gesù è l’amore verso il prossimo inteso come amore verso tutti gli uomini, ivi compresi i nemici, in Giovanni il comandamento si esprime come amore vicendevole tra i discepoli di Gesù, un amore che, apparentemente, non valica i confini della comunità. La ragione di questa insistenza di Giovanni [la quale, peraltro, non esclude l’amore universale] sta nel fatto che egli vede questo amore nel suo fondamento, diremmo quasi metafisico: la partecipazione intima alla corrente di amore che lega il Padre al Figlio. Ora, propriamente parlando, questo amore, che sembra consumarsi ed esaurirsi all’interno della comunità, diventa motivo di apertura e di dinamismo apostolico, poiché proprio da questo gli altri [quelli di fuori] conosceranno chi sono i discepoli di Cristo, se si ameranno a vicenda. La comunità, voluta da Gesù, è una comunità agàpica, animata cioè dalla carità: l’amore del Padre manifestatosi in Cristo, l’amore di Cristo sacrificatosi per noi, l’amore nostro verso Dio come risposta a lui che ci ha prevenuti nell’amore, e l’amore nostro verso i fratelli e le sorelle come segno del nostro animo riconoscente verso Dio e come testimonianza al mondo della preziosità del dono che abbiamo ricevuto. La comunità, voluta da Gesù, è una comunità amicale, animata dallo spirito della sincera amicizia [l’esatto contrario dello spirito di servitù]. Essa è un insieme di confidenza fraterna [come Cristo ci ha fatto conoscere tutto ciò che ha udito dal Padre] e di prontezza al servizio reciproco, fino al sacrificio di sé per amore degli altri [“nessuno ha un amore più grande di questo”]. Ed è pure una comunità missionaria, animata cioè dal desiderio di far conoscere e far sperimentare agli altri ciò che anche noi abbiamo conosciuto e sperimentato [“perché andiate e portiate frutto].

Spe Salvi 25-27: Non è la scienza che redime l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore. Ciò vale già nell’ambito puramente intramondano. Quando uno nella sua vita fa l’esperienza di un grande amore, quello è un momento di «redenzione» che dà un senso nuovo alla sua vita. Ma ben presto egli si renderà anche conto che l’amore a lui donato non risolve, da solo, il problema della sua vita. È un amore che resta fragile. Può essere distrutto dalla morte. L’essere umano ha bisogno dell’amore incondizionato. Ha bisogno di quella certezza che gli fa dire: «Né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezze né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,38-39). Se esiste questo amore assoluto con la sua certezza assoluta, allora – soltanto allora – l’uomo è «redento», qualunque cosa gli accada nel caso particolare. È questo che si intende, quando diciamo: Gesù Cristo ci ha «redenti». Per mezzo di Lui siamo diventati certi di Dio – di un Dio che non costituisce una lontana «causa prima» del mondo, perché il suo Figlio unigenito si è fatto uomo e di Lui ciascuno può dire: «Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20). In questo senso è vero che chi non conosce Dio, pur potendo avere molteplici speranze, in fondo è senza speranza, senza la grande speranza che sorregge tutta la vita (cfr. Ef 2,12). La vera, grande speranza dell’uomo, che resiste nonostante tutte le delusioni, può essere solo Dio – il Dio che ci ha amati e ci ama tuttora «sino alla fine», «fino al pieno compimento» (cfr. Gv 13,1 e 19,30). Chi viene toccato dall’amore comincia a intuire che cosa propriamente sarebbe «vita». Comincia a intuire che cosa vuole dire la parola di speranza che abbiamo incontrato nel rito del Battesimo: dalla fede aspetto la «vita eterna» – la vita vera che, interamente e senza minacce, in tutta la sua pienezza è semplicemente vita. Gesù che di sé ha detto di essere venuto perché noi abbiamo la vita e l’abbiamo in pienezza, in abbondanza (cfr. Gv 10,10), ci ha anche spiegato che cosa significhi «vita»: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3). La vita nel senso vero non la si ha in sé da soli e neppure solo da sé: essa è una relazione. E la vita nella sua totalità è relazione con Colui che è la sorgente della vita. Se siamo in relazione con Colui che non muore, che è la Vita stessa e lo stesso Amore, allora siamo nella vita. Allora «viviamo». Ma ora sorge la domanda: in questo modo non siamo forse ricascati nuovamente nell’individualismo della salvezza? Nella speranza solo per me, che poi, appunto, non è una speranza vera, perché dimentica e trascura gli altri? No. Il rapporto con Dio si stabilisce attraverso la comunione con Gesù – da soli e con le sole nostre possibilità non ci arriviamo. La relazione con Gesù, però, è una relazione con Colui che ha dato se stesso in riscatto per tutti noi (cfr. 1Tm 2,6). L’essere in comunione con Gesù Cristo ci coinvolge nel suo essere «per tutti», ne fa il nostro modo di essere. Egli ci impegna per gli altri, ma solo nella comunione con Lui diventa possibile esserci veramente per gli altri, per l’insieme. […] Dall’amore verso Dio consegue la partecipazione alla giustizia e alla bontà di Dio verso gli altri; amare Dio richiede la libertà interiore di fronte ad ogni possesso e a tutte le cose materiali: l’amore di Dio si rivela nella responsabilità per l’altro.

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Cristo non vuole chiamarci servi ma amici – «Dal momento che tutti i precetti naturali sono comuni a noi e ad essi [Giudei], avendo avuto origine presso di loro, mentre presso di noi hanno trovato crescita e compimento – obbedire a Dio, infatti, seguire il suo Verbo, amarlo sopra ogni cosa e amare il prossimo come sé stessi [e l’uomo è il prossimo dell’uomo], astenersi da azioni malvagie, e così via, tutto ciò è comune agli uni e agli altri -, manifestano un solo e medesimo Signore. E questi, altri non è che nostro Signore, il Verbo di Dio, il quale dapprima attrasse a Dio dei servi, poi li liberò dal giogo della soggezione, secondo quanto egli stesso dichiara ai discepoli: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” [Gv 15,15]. Quando, infatti, dice: “Non vi chiamo più servi”, vuole significare con assoluta certezza che è lui che, con la Legge, ha dapprima imposto agli uomini la servitù nei riguardi di Dio, e che in seguito ha ridato loro la libertà. Dicendo, poi: “Perché il servo non sa quello che fa il suo padrone”, egli sottolinea l’ignoranza del popolo servile relativamente alla sua venuta. Infine, chiamando amici di Dio i suoi discepoli, dimostra apertamente che egli è il Verbo, seguendo il quale, volontariamente e senza costrizioni, Abramo è divenuto, per la generosità della fede, “amico di Dio” [Gc 2,23]» (Ireneo di Lione).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Maria, Madre di infinito amore per me – “O Maria, Madre mia! Per me tu hai offerto la tua verginità, per me l’hai difesa, per me hai accolto la parola dell’angelo, per me hai offerto nel tempio, per me hai accolto la profezia di Simeone, per me misera a Betlemme, per me raminga in Egitto, per me povera e affaticata a Nàzaret, per me silenziosa nel tempio, per me invocante a Cana, per me ansiosa a Cafàrnao, per me desolata e forte al Calvario, per me orante coi Dodici, per me esultante nello Spirito, per me trionfante nei cieli… Tutto questo fatto per me, voluto per me, tu mi hai amato, mi hai generato, mi hai accolto nelle tue braccia materne, ad immagine della Provvidenza di Dio, prima che fossi, per me, per me… O amabilissima Madre!” (G. Canovai).

Santo del giorno: 4 Maggio – San Ciriaco di Gerusalemme, Vescovo e martire: Originario, secondo una tradizione, della Palestina. Un testo apocrifo racconta che, ebreo di nome Giuda, assunse il nome di Ciriaco dopo essersi convertito. Divenuto vescovo di Gerusalemme, subì il martirio insieme alla madre Anna, sotto Giuliano l’Apostata. Secondo un’altra tradizione, appena convertito Ciriaco sarebbe venuto in Italia, ad Ancona, dove è venerato fin dall’Alto Medioevo. Dopo un lungo episcopato, durante un pellegrinaggio sui luoghi santi, sarebbe stato martirizzato, sembra, verso il 135. Una terza tradizione racconta invece che egli non sarebbe mai giunto in Italia e che le sue reliquie furono trasportate ad Ancona nel secolo V, per volontà di Galla Placidia.

Preghiamo: Donaci, o Padre, di uniformare la nostra vita al mistero pasquale che celebriamo nella gioia, perché la potenza del Signore risorto ci protegga e ci salvi. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

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