2 Maggio 2018 – Mercoledì, V di Pasqua – Sant’Anastasio (Memoria) – (At 15,1-6; Sal 121[122]; Gv 15,1-8) – I Lettura: La Chiesa di Gerusalemme continua con gli Apostoli a svolgere il ruolo di guida di tutta la cristianità. Di fronte a una spinosa controversia Paolo sente il bisogno di un incontro con gli Apostoli. Egli va a Gerusalemme ad incontrarli al fine di ricevere un confronto e un chiarimento: l’unità della Chiesa era un bene massimo. Salmo: “L’edificio terreno prefigura la Gerusalemme celeste, costruita come città. Il verbo è al presente: la città si costruisce fino a che non sia entrata la totalità dei gentili (Rm 11,25). Non è un amalgama informe ma una unità per mezzo della fede, un’unione per mezzo della carità, una concordia per mezzo della volontà. La partecipazione infatti a questa città è nell’idipsum. E impossibile avervi parte nella dispersione, ma solo nell’unità” (Ilario). Vangelo: L’immagine della vigna è usata frequentemente nell’AT per indicare Israele in quanto popolo eletto: con essa viene messa in luce la predilezione del Signore, la quale però fa spesso da sfondo alla denunzia dell’infedeltà di Israele. La punizione di Israele viene rappresentata dunque come la distruzione della vigna.
Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto – Dal Vangelo secondo Giovanni: In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Riflessione: «Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato». Le parole di Gesù riportate nel Vangelo di oggi ci parlano di una purezza ottenuta dall’ascolto della sua Parola. È bene chiederci: perché la sua Parola ci rende puri, come ci purifica la Parola di Cristo? Dobbiamo anzitutto soffermarci sul concetto di puro e impuro: già nell’A.T. si sottolineava la necessità di non contaminarsi, di non rendersi immondi. Ciò che maggiormente rende impuro l’uo-mo, secondo la Scrittura, è ciò che lo allontana dalla sua dignità di figlio amato, creato ad immagine e somiglianza di Dio, chiamato a partecipare della sua gloria. Il peccato sporca l’uomo nella sua interezza, nella sua dignità, nel suo essere tempio santo di Dio, rendendolo impuro nelle sue relazioni: lasciandosi guidare da istinti e passioni sregolate, dall’egoismo, dal proprio tornaconto, dall’orgoglio. A motivo del peccato, l’uomo rischia di essere sommerso “in un gorgo profondo di peccati e di tenebre” (Lit. delle Ore). Ogni impurità esce dal cuore dell’uomo (cfr. Mc 7,20-23). Come possiamo rimediare a tutto ciò? Ci risponde il salmista affermando: «Come potrà un giovane tenere pura la sua via? Osservando la tua parola» (Sal 119,9). La Parola di Dio purifica perché è luce che allontana le tenebre, è via che orienta il cuore, è verità che consola la mente. La Parola di Dio è potenza che opera, che santifica, che ordina al bene. Ascoltando, accogliendo e meditando la Parola di Dio possiamo vincere ogni impurità, ogni peccato, e rinnovare la nostra perfetta appartenenza a Dio.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore – Giovanni Paolo II (Omelia, 1° maggio 1988): Questa parabola stende dinanzi a noi un vasto quadro dell’economia salvifica di Dio. Al centro di questo quadro è “il padre, il vignaiolo” (cfr. Gv 15,1). Gesù Cristo è “la vite” (cfr. Gv 15,5), mediante la quale tutti ricevono la vita come tralci. Sì. La vita di Dio è stata data agli uomini nel Figlio di Dio, che si è fatto uomo. Solo rimanendo in lui, a somiglianza del tralcio che rimane nella vite, possiamo avere in noi questa vita. Così dunque – questa parabola penetrante, raccontata nella prospettiva ravvicinata della morte di croce – esprime un contenuto pasquale. Essa si riferisce alla piena rivelazione di Cristo come vera vite nella risurrezione. La risurrezione, in definitiva, rende tutti consapevoli che Cristo è il Signore. Che in lui è la pienezza di quella vita, che non subisce la morte umana. Se questa vita si è dischiusa all’uomo, ciò è avvenuto a opera della morte di Cristo. La risurrezione del Signore nostro ha rivelato definitivamente che la morte da lui patita è diventata la sorgente della vita per tutti. E perciò Cristo, alla vigilia della sua morte grida: “Rimanete in me e io (rimarrò) in voi”.
Senza di me non potete far nulla – CCC 2074: Gesù dice: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5). Il frutto indicato in questa parola è la santità di una vita fecondata dall’unione con Cristo. Quando crediamo in Gesù Cristo, comunichiamo ai suoi misteri e osserviamo i suoi comandamenti, il Salvatore stesso viene ad amare in noi il Padre suo ed i suoi fratelli, Padre nostro e nostri fratelli. La sua persona diventa, grazie allo Spirito, la regola vivente ed interiore della nostra condotta. «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Gv 15,12).
… lo gettano nel fuoco e lo bruciano – CCC 1036: Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l’inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l’uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!» (Mt 7,13-14). «Siccome non conosciamo né il giorno né l’ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinché, finito l’unico corso della nostra vita terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati tra i beati, né ci si comandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove ci sarà pianto e stridore di denti».
In questo è glorificato il Padre mio – Il Concilio Ecumenico Vaticano II ricorda che Cristo a «coloro che ha unito alla sua vita e alla sua missione, concede di partecipare anche alla sua funzione sacerdotale, perché abbiano ad esercitare il culto spirituale, a gloria di Dio e a salvezza degli uomini» (LG 34). Perciò i fedeli con la loro vita santa, seguendo «le orme [di Cristo] e divenuti conformi alla sua immagine, fedelmente obbedienti alla volontà del Padre» devono dedicarsi «con tutto il cuore alla gloria di Dio e al servizio del prossimo» (LG 40). E ancora, tutti i cristiani «in forza del precetto della carità, che è il più grande comandamento del Signore, vengono sollecitati a procurare la gloria di Dio con l’avvento del suo regno» (AA 3). Tuttavia la gloria perfetta a Dio sarà resa dalla Chiesa «nel giorno in cui sarà consumata, e in cui gli uomini, salvati dalla grazia, renderanno gloria perfetta a Dio, come famiglia da Dio e da Cristo fratello amata» (GS 32).
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Potati per portare frutto – “Il vignaiolo andrà a potare sulla vite i rami selvatici. Se non lo facesse e li lasciasse crescere sulla pianta buona, la sua vite non darebbe nulla se non un vino aspro e cattivo. Così conviene fare all’uomo nobile: deve togliere in sé quanto in lui è disordine, sradicare in profondità ogni sua inclinazione e abitudine, sia essa gioia o sofferenza, cioè tagliare ogni difetto, e questo non spezza né il capo, né il braccio, né la gamba. Trattieni tuttavia il coltello finché tu non abbia visto ciò che occorre tagliare. Se il vignaiolo non conoscesse l’arte della potatura, poterebbe tutto, la pianta buona che sta per dare l’uva, come il legno cattivo, e rovinerebbe la vigna. Così fanno alcuni. Non se ne intendono. Lasciano i vizi, le cattive inclinazioni con la radice, potando e tagliando la povera stessa natura. In se stessa la natura è buona e nobile: cosa vuoi tagliare? Quando verrà il tempo dei frutti, cioè della vita divina, non avresti più nulla se non una natura rovinata” (Giovanni Taulero).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: * Nel brano giovanneo il Padre è l’agricoltore, il Figlio è la «vite vera» (cfr. Sal 84,16). Se i Profeti paragonavano Israele a una vigna ed esprimevano rincrescimento per la scarsità e la cattiva qualità dei frutti, Gesù nel paragonare se stesso alla «vite vera» e i discepoli ai tralci vuole suggerire ai suoi amici che in avvenire non ci sarà più scarsezza di frutti per difetto della vigna; una fecondità che sarà donata anche alla sua Chiesa, ai suoi discepoli: se resteranno fedelmente uniti a lui, essi faranno frutti abbondanti e duraturi. L’evangelista Giovanni, nel riprendere l’immagine della vite, vuole illustrare e sottolineare soprattutto la necessità dell’unione profonda dei discepoli con Gesù. E lo fa usando con insistenza l’espressione rimanere in. Un’espressione a lui tanto cara da ripeterla ben cinque volte in questo brano. Rimanere in, per l’autore del IV Vangelo, indica prima di tutto una relazione personale tra Gesù e i suoi discepoli-amici (cfr. Gv 8,31.35; 15,9-10.15; Sap 3,9), ma per comprendere il senso dell’esortazione nella sua valenza più pregnante occorre ricordare che l’invito è preceduto da due oscure e dolorose profezie fatte da Gesù prima di consegnarsi nelle mani dei carnefici: quella della sua morte (cfr. Gv 12,1-7) e quella dell’apostasia di un suo discepolo (cfr. Gv 13,21-30). Gesù, dunque, mentre si avvicina la sua ultima ora, l’ora dei suoi nemici, raccomanda ai suoi amici di rimanere in lui, uniti a lui, e lo fa intenzionalmente perché «vuole impedire che la sua passione e la sua morte imminenti interrompano il rapporto che lega lui ai discepoli, quelli che lo hanno seguito durante il suo ministero in Palestina» (Don Alfonso Sidoti).
** Maria, Vergine purissima – “Una cosa è pura quando non è inquinata da alcun agente esterno, quando non si mescola con nessun altro oggetto. Dio è il modellatore e Maria la modellata! Mai ella ha messo neanche il più piccolo e insignificante ostacolo in questa opera di purificazione del suo corpo, del suo spirito, della sua anima. Pensare così alla Madre di Dio deve far nascere nel cuore un desiderio di purezza infinita. Dobbiamo tutti desiderare la purezza di Dio. È il fine stesso della vita” (don Francesco Cristofaro).
Santo del giorno: 2 Maggio – Sant’Atanasio, Vescovo e dottore della Chiesa: “Di insigne santità e dottrina, ad Alessandria d’Egitto dai tempi di Costantino fino a quelli dell’imperatore Valente Atanasio combatté strenuamente per la retta fede e, subite molte congiure da parte degli ariani, fu più volte mandato in esilio; tornato infine alla Chiesa a lui affidata, dopo aver lottato e sofferto molto con eroica pazienza, nel quarantaseiesimo anno del suo sacerdozio riposò nella pace di Cristo” (Martirologio Romano).
Preghiamo: Dio di infinita sapienza, che hai suscitato nella tua Chiesa il vescovo sant’Atanasio, intrepido assertore della divinità del tuo Figlio, fa’ che per la sua intercessione e il suo insegnamento cresciamo sempre nella tua conoscenza e nel tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo…