24 Aprile 2018 – Martedì, IV di Pasqua – (At 11,19-26; Sal 86[87]; Gv 10,22-30) – I Lettura: Antiòchia era sede del governatore romano di Siria. Vantava una vasta presenza di gente di diversa provenienza alla quale fu annunciato con successo il Vangelo. Bàrnaba è inviato per incorporare ufficialmente i nuovi convertiti alla Chiesa. Salmo: “Il Signore ama la città spirituale più di tutte le figure che l’hanno preceduta” (Agostino). Vangelo: La festa della Dedicazione è anche chiamata “festa delle luci” per le numerose luci utilizzate nel suo rituale. In questa cornice si conclude il ciclo della rivelazione di Gesù come Luce, lasciando il posto alla rivelazione di Gesù-Vita.
Io e il Padre siamo una cosa sola – Dal Vangelo secondo Giovanni: Ricorreva, in quei giorni, a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Riflessione: «Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». A prima vista sembrerebbe che finalmente i Giudei stiano iniziando a credere in Gesù, o quanto meno a dargli credito. Lo interrogano sulla sua natura, sulla sua missione, e quasi attendono da lui la conferma alle loro aspettative. È bene ricordare che Gesù è già in piena attività e la sua risposta lo sottolinea in maniera chiara: «le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me». Quindi non si tratta semplicemente di avere fiducia in un predicatore più o meno carismatico o di lasciarsi convincere dai suoi discorsi persuasivi; non si tratta di prestare fede ad una persona che promette illusioni. Gesù accompagna la predicazione anzitutto con l’esempio e poi con i miracoli, che sono i segni dell’azione taumaturgica e misericordiosa di Dio. Verrebbe da chiederci come potessero avere ancora dubbi, come potessero negare i miracoli che palesemente si verificavano sotto i loro occhi, come potessero mai negare ciò che direttamente avevano visto e udito? Sembra impossibile, eppure è così! Anzi, nonostante tutto gli si mettevano di traverso, gli tendevano insidie, cercavano di indurlo in errore con domande capziose, con argomentazioni ingannevoli. Anche dinanzi a miracoli e potenti esorcismi non mancano di accusarlo di agire in nome del demonio. Da una parte chiedono segni e si mostrano interessati e quasi disponibili a credere, ma nel cuore hanno già deciso di non mettersi dalla parte del Cristo. Come ci sono vicine, oggi, queste riflessioni: quanti cristiani siamo pronti a credere in Gesù, a pregarlo, a offrirgli doni, ma a patto che dimostri la sua divinità e che lo faccia compiendo ciò che noi desideriamo; ci dichiariamo credenti, purché ci esaudisca; vogliamo vedere i segni, chiediamo che si mostri, che operi… E quando capiamo che le vie di Dio non corrispondono alle nostre vie, i suoi progetti non sono quelli che gli abbiamo imposto nella nostra preghiera, quando capiamo che Dio non ragiona come noi, allora il fervore si trasforma in ostilità, l’amore e la preghiera in imprecazioni, le promesse e i voti in bestemmie e rinnegamenti. Cosa ancora deve fare Gesù per indurci a metterci in ascolto della sua volontà?
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: … se tu sei il Cristo – CCC 436: Cristo viene dalla traduzione greca del termine ebraico «Messia» che significa «unto». Non diventa il nome proprio di Gesù se non perché egli compie perfettamente la missione divina da esso significata. Infatti in Israele erano unti nel nome di Dio coloro che erano a lui consacrati per una missione che egli aveva loro affidato. Era il caso dei re, dei sacerdoti e, raramente, dei profeti. Tale doveva essere per eccellenza il caso del Messia che Dio avrebbe mandato per instaurare definitivamente il suo Regno. Il Messia doveva essere unto dallo Spirito del Signore, ad un tempo come re e sacerdote ma anche come profeta. Gesù ha realizzato la speranza messianica… nella sua triplice funzione di sacerdote, profeta e re.
Gesù ha accettato il titolo di Messia cui aveva diritto, ma non senza riserve… – CCC 438: La consacrazione messianica di Gesù rivela la sua missione divina. «È, d’altronde, ciò che indica il suo stesso nome, perché nel nome di Cristo è sottinteso colui che ha unto, colui che è stato unto e l’unzione stessa di cui è stato unto: colui che ha unto è il Padre, colui che è stato unto è il Figlio, ed è stato unto nello Spirito che è l’unzione». La sua consacrazione messianica eterna si è rivelata nel tempo della sua vita terrena nel momento in cui fu battezzato da Giovanni, quando Dio lo «con-sacrò in Spirito Santo e potenza» (At 10,38) «perché egli fosse fatto conoscere a Israele» (Gv 1,31) come suo Messia. Le sue opere e le sue parole lo riveleranno come «il Santo di Dio». Numerosi ebrei ed anche alcuni pagani che condividevano la loro speranza hanno riconosciuto in Gesù i tratti fondamentali del «figlio di Davide» messianico promesso da Dio a Israele. Gesù ha accettato il titolo di Messia cui aveva diritto, ma non senza riserve, perché una parte dei suoi contemporanei lo intendevano secondo una concezione troppo umana, essenzialmente politica.
Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente – CCC 440: Gesù ha accettato la professione di fede di Pietro che lo riconosceva quale Messia, annunziando la passione ormai vicina del Figlio dell’uomo. Egli ha così svelato il contenuto autentico della sua regalità messianica, nell’identità trascendente del Figlio dell’uomo «che è disceso dal cielo» (Gv 3,13), come pure nella sua missione redentrice quale Servo sofferente: «Il Figlio dell’uomo […] non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,28). Per questo il vero senso della sua regalità si manifesta soltanto dall’alto della croce. Solo dopo la risurrezione, la sua regalità messianica potrà essere proclamata da Pietro davanti al popolo di Dio: «Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!» (At 2,36).
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «“Le mie pecore ascoltano la mia voce, e io le conosco, ed esse mi seguono; e io do loro la vita eterna” [Gv 10,27-28]. Ecco quali sono i pascoli. Se ben ricordate, egli aveva detto prima: “Ed entrerà e uscirà e troverà i pascoli”. Siamo entrati credendo, usciamo morendo. Ma nello stesso modo in cui siamo entrati per la porta della fede, da fedeli anche usciamo dal corpo: usciamo per la stessa porta per poter trovare i pascoli. Questi eccellenti pascoli sono la vita eterna: qui l’erba non si inaridisce, sempre verdeggia, sempre è piena di vigore. Si dice di una certa erba che è sempre viva: essa si trova solo in quei pascoli. “La vita eterna – dice – do loro”, cioè alle mie pecore. Voi cercate motivi per accusarmi, perché non pensate che alla vita presente. “E non periranno in eterno” [Gv 10,27-28]; sottintende: voi invece andrete nella morte eterna, perché non siete mie pecore [ibid.]. Raddoppiate ora la vostra attenzione: “Il Padre mio che me le ha date, è più potente di tutti” [Gv 10,29]. Che può fare il lupo? Che possono fare il ladro e il brigante? Essi non possono perdere che quelli che sono predestinati alla rovina. Ma quelle pecore di cui l’Apostolo dice: “Il Signore conosce i suoi” [2Tm 2,19], e ancora: “Quelli che ha conosciuti nella sua prescienza, quelli ha predestinati, e coloro che ha predestinati, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; e quelli che ha giustificati li ha anche glorificati” [Rm 8,29-30], queste pecore, dicevo, non potranno né essere rapite dal lupo, né asportate dal ladro, né uccise dal brigante. Colui che sa cosa ha pagato per esse, è sicuro delle sue pecore. È questo il senso delle parole: “Nessuno le rapisce di mano a me”» (Agostino).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Gesù-Pastore conosce le sue pecore: una conoscenza che supera il campo dell’intelletto e sconfina nell’amore (cfr. Os 6,6; 1Gv 1,3). Nel vangelo di Giovanni «conoscenza e amore crescono insieme, per cui è difficile dire se l’amore è il frutto della conoscenza o la conoscenza è frutto di amore […]. L’amore è unito alla conoscenza quando il rapporto tra Gesù e il Padre è descritto come una reciproca conoscenza [Gv 7,29; 8,55; 10,15]. La stessa reciproca conoscenza è il vincolo tra Gesù e i suoi discepoli [Gv 10,14ss]» (John L. McKenzie). Questa profonda intimità genera nel cuore dei credenti il frutto della vita eterna: essendo stati «rigenerati non da un seme corruttibile ma incorruttibile, per mezzo della parola di Dio viva ed eterna» (1Pt 1,23), i credenti gustano la gioia della vita eterna già d’adesso, nelle pieghe di una quotidianità a volte impastata di peccato e di acute contraddizioni. Questa intensa comunione di amore con il Cristo sarà portata perfettamente a compimento nel Regno dei Cieli: solo nel Regno i credenti, strappati dalla contingenza della vita terrena, non «avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna… Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap 7,16-17). In attesa di questi beni, la comunione amorosa con il Buon Pastore dona ai discepoli già ora pace, serenità e sicurezza. «Colui che si affida a Gesù con la fede trova in lui quella sicurezza assoluta che non trova mai in alcuna sicurezza o protezione umana. In lui infatti è presente il potere divino. Lo stesso potere viene poi attribuito al Padre e la stessa sicurezza proviene dalla certezza che “ciò che mi ha dato” [cfr. 6,36-40] nessuno lo può rapire dalla mano del Padre [cfr. Is 43,13; Sap 3,1]. In questi due versetti 28-29 si riflette la serena esperienza della comunità giovannea che si sentiva il gregge protetto dal Figlio di Dio e che nessuno poteva rapire: né le persecuzioni [16,4] né le eresie [1Gv]» (Giuseppe Segalla). Questa sicurezza è significata anche dalle parole di Gesù che rivelano l’identità di sostanza tra lui e il Padre: «Io e il Padre siamo una cosa sola».
Santo del giorno: 24 Aprile – San Fedele da Sigmaringen, Sacerdote e martire: “Marco Reyd – il futuro cappuccino fra Fedele – nato a Sigmaringen, in Germania, nel 1578, si era laureato in filosofia e in diritto all’università di Friburgo in Svizzera, e aveva intrapreso la carriera forense a Colmar in Alsazia. Accolse con entusiasmo l’invito del conte di Stotzingen, che gli affidava i figli e un gruppo di giovani perché li avviasse agli studi. Soggiornando per ben sei anni nelle diverse città dell’Italia, della Spagna e della Francia, impartì ai giovani e nobili allievi ammaestramenti che lo fecero ribattezzare col nome di “filosofo cristiano”. Poi all’età di 34 anni, abbandonò ogni cosa e tornò a Friburgo, stavolta al convento dei cappuccini. Dalla Congregazione di Propaganda Fide ebbe l’incarico di recarsi poi nella Rezia, in piena crisi protestante. Le conversioni furono numerose, ma attorno al santo predicatore si creò un’ondata di ostilità. Nel 1622, a Séwis, durante la predica, si udì qualche sparo. Fra Fedele portò ugualmente a termine la predica e poi si riavviò verso casa. All’improvviso gli si fecero attorno una ventina di soldati. Gli intimarono di rinnegare quanto aveva predicato poco prima e, al suo rifiuto, lo uccisero con le spade” (Avvenire).
Preghiamo: Dio Padre onnipotente, che ci dai la grazia di celebrare il mistero della risurrezione del tuo Figlio, concedi a noi di testimoniare con la vita la gioia di essere salvati. Per il nostro Signore Gesù Cristo…