Dagli Atti degli Apostoli (3,13-15.17-19) – Avete ucciso l’autore della vita: ma Dio l’ha risuscitato dai morti: Dal sermone di Pietro si evince che già i cristiani della prima ora riconoscevano in Gesù il misterioso «servo» di Isaìa (52,13-53,12). L’annuncio pasquale è molto asciutto: bisogna convertirsi a Gesù che è il capo che guida i suoi discepoli alla vita, comunicando loro quella vita che gli appartiene. L’appello alla conversione è rivolto ai pagani e ai giudei: i primi debbono ritornare al vero Dio, abbandonando gli idoli; invece, i giudei debbono convertirsi al Signore, riconoscendo Gesù come Signore.
Dal Salmo 4 – Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto: “Il profeta manifesta ai santi e a quanti saranno salvati che essi hanno l’incarico di pregare e che sarà salvato chiunque invocherà il nome del Signore. La Scrittura chiama tribolazione la prova dei santi, che è per il loro bene: chiama flagello l’avversità che si abbatte sui peccatori” (Origene).
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo (2,1-5a) – Gesù Cristo è vittima di espiazione per i nostri peccati e per quelli di tutto il mondo: L’apostolo Giovanni, all’inizio di questa sua lettera, traccia uno schema fatto di quattro condizioni ben precise da eseguire per camminare nella Luce. La liturgia odierna riporta le prime due condizioni: il rompere con il peccato e l’osservare i comandamenti di Dio, per far sì che la verità sia in noi. Solo osservando la Sua Parola potremo fare in modo che il Suo amore sia veramente perfetto nella nostra vita.
Dal Vangelo secondo Luca (24,35-48) – Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno: Questo brano è comune anche nel vangelo di Giovanni. Mentre Giovanni pone l’attenzione sul sacramento della penitenza, Luca mette in risalto la difficoltà e lo sgomento degli apostoli nel credere alla risurrezione di Gesù, nonostante fosse apparso alle donne e ad altri che potessero testimoniare la Sua risurrezione. Prima di ascendere al cielo, si presentò agli Undici improvvisamente e a porte chiuse, esortandoli a non rimanere turbati perché così era scritto: “il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno”.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».
Approfondimento
Avete agito per ignoranza – Sembra che Pietro alluda a Luca 23,33-34: «Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero Gesù e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”».
Ma questa nota scagiona del tutto Israele? È difficile dare una risposta, sia di colpevolezza o di assoluzione. Il Sinedrio agì in mala fede? Dalla motivazione impugnata da Caifa che portò Gesù sulla croce sembrerebbe di no: «Allora i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: “Che facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione”. Ma uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno, disse loro: “Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera”» (Gv 11,48-49). Parole dettate da una comprensibile paura a motivo dell’eccessiva permalosità dei Romani: la popolarità del giovane Rabbi, che muoveva enormi folle di simpatizzanti, poteva insospettire Roma la quale, scambiando i frequentatori di Gesù per rivoltosi, avrebbe potuto mettere in moto la terribile e punitiva macchina della giustizia romana.
Ma altri passi sembrano mettere sotto accusa la cecità delle guide spirituali del popolo eletto e sopra tutto i loro pregiudizi verso Gesù di Nazareth. Per esempio, la risurrezione di Lazzaro: «La gran folla di Giudei venne a sapere che Gesù si trovava là, e accorse non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I sommi sacerdoti allora deliberarono di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù» (Gv 12,9).
Ma vi è il dato inquietante di come i sinedriti imbastirono il processo. Dai Vangeli sappiamo che essi produssero a Pilato, a cui spettava per diritto la condanna o l’assoluzione, accuse false e testimonianze prezzolate. Ed è anche vero che il Sinedrio dopo la morte di Gesù continuò a dimostrarsi ostile alla nuova dottrina perseguitando i discepoli del Nazareno, basti leggere gli Atti degli Apostoli e le lettere paoline.
Altri fatti sembrano scagionare gli Ebrei. Per esempio, la volontà divina – era necessario – per cui il Sinedrio fu solo un esecutore materiale, oppure Giuda o Satana, così come chiaramente si evince sopra tutto nel Vangelo di Giovanni.
Al dire di Josef Blinzer, riconducendo la passione «alla volontà di Dio e di Gesù o all’attività di Satana e delle sue potenze demoniache, non si intende in nessun modo contestare o anche solo diminuire la colpa di chi è responsabile dal punto di vista storico. Nelle dichiarazioni di questo genere si tratta piuttosto di interpretazioni religioso-dogmatiche dello scandalum crucis […]. Nell’apologetica ebraica ci si serve dunque a torto dell’argomento che segue, e cioè: se la crocifissione di Gesù corrispose alla volontà di Dio e dello stesso suo Figlio, non bisogna rimproverare agli Ebrei del tempo di avere causato la condanna e l’esecuzione di Gesù; essi erano in quel caso infatti, solo ubbidienti strumenti di Dio. I testi neotestamentari […] danno una chiara risposta alla domanda intorno a chi siano storicamente i responsabili della morte di Gesù. Sono gli Ebrei o più esattamente i sinedriti di allora e gli abitanti di Gerusalemme che fecero causa comune con loro». Se questa dichiarata colpevolezza ha causato nei secoli passati enormi problemi relazionali tra Ebrei e Cristiani, v’è da dire anche che a partire dal Concilio Ecumenico Vaticano II la disamina dei fatti inerenti al processo di Gesù si è fatta più serena e più obiettiva. La Chiesa, per esempio, ha dichiarato nel decreto Nostra Aetate: «Quanto è stato commesso durante la passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli ebrei del nostro tempo […]. Gli Ebrei non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, come se ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura» (n. 4). Parole riportate, a sua volta, dal CCC (n. 597).
Il papa Giovanni Paolo II, visitando la sinagoga di Roma il 13 aprile 1986, non esitò rivolgersi agli Ebrei lì convenuti con queste parole: «Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori», spegnendo in questo modo tutti gli incendi polemici che avevano infiammato per secoli le relazioni tra Sinagoga e Chiesa. Nella grande preghiera liturgica del Venerdì Santo, la Chiesa fa pregare tutti i cristiani con queste parole: «Dio onnipotente ed eterno, che hai fatto le tue promesse ad Abramo e alla sua discendenza, ascolta la preghiera della tua Chiesa, perché il popolo primogenito della tua alleanza possa giungere alla pienezza della redenzione». Sentimenti che rendono nobile e gravida di stima l’amicizia tra Ebrei e Cristiani.
Commento al Vangelo
Gesù in persona apparve in mezzo a loro – L’evangelista Luca non vuole nascondere o minimizzare l’atteggiamento umano dei discepoli di fronte a Gesù risorto. Increduli, stupiti, spaventati (il testo greco ha atterriti), «i loro occhi erano impediti a riconoscerlo» (Lc 24,16).
Gli «Undici e quelli che erano con loro» trovano difficoltà nel credere alla risurrezione. Pensano di vedere un fantasma (spirito, pnèuma, nel testo greco). Credono di vedere «una persona defunta rievocata dalla loro fantasia allucinata e considerata come reale. Un’immagine illusoria, priva di corrispondenza con la realtà dei fatti» (Zingarelli).
Gesù incalza i discepoli e, dopo aver donato loro la pace, per dissipare le loro difficoltà li invita a guardare le sue mani e i suoi piedi che portano impresse le ferite dei chiodi e a toccare il suo corpo.
Questi verbi – guardare, toccare – ritornano spesso quando i discepoli devono dare testimonianza della risurrezione di Gesù. Per esempio, san Giovanni nella sua prima lettera: «Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza… – quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi» (1Gv 1,1ss).
L’incredulità si trasforma immediatamente in grande gioia: l’esperienza fisica – vedere, toccare, udire – sfocia nella fede perché la fede è incontro con una Persona. E il Cristo risorto è una Persona, non è l’elucubrazione mentale di visionari o invenzione fantastica di menti malate. Gesù risorto non è un fantasma! È vivo! Palpatemi, toccatemi, «sono proprio io!».
E indubbiamente il racconto lucano ha anche uno scopo didattico. Per dei cristiani «che vivevano in ambiente greco, dove le diverse filosofie insegnavano che l’anima vive separata dal corpo, dopo la morte, era importante affermare che Cristo risorto non era uno “spirito” immortale senza corpo […], perciò san Luca vuole prima di tutto dire ai suoi lettori che Gesù è veramente risorto perché adesso vive di nuovo con il suo corpo, quel corpo che era stato dato alla morte sulla croce» (S. Cipriani).
Ma poiché per la grande gioia ancora non credono, Gesù, per vincere ogni resistenza li invita a mangiare con lui. Chiede qualcosa da mangiare a compròva che lui è una Persona viva e vera. Anche il verbo mangiare torna spesso nella memoria degli Apostoli quando devono dare testimonianza della risurrezione di Gesù (cfr. At 1,3-4; 10,41).
Il corpo del Risorto è impassibile e di conseguenza non ha più bisogno di nutrirsi, ma il Signore Gesù ricorre a questo espediente per confermare i discepoli nella verità della sua risurrezione.
Ma si trattò di un vero pasto? Al dire di san Tommaso d’Aquino ci sono «dei pasti che sono veri solo come verità figurata: per esempio il mangiare degli Angeli… Ora il mangiare di Cristo dopo la Risurrezione fu vero… tuttavia non c’erano gli effetti conseguenti alla masticazione, perché il cibo non era assimilato da chi ne mangiava, avendo un corpo glorificato e incorruttibile» (In Jo. ev., 122,8).
Se il mangiare è un’azione frequente nelle apparizioni pasquali, questi pasti del Risorto con i discepoli hanno anche una dimensione liturgico-eucaristica: l’Eucaristia è stare a mensa con il Signore risorto. Quindi, san Luca, con mirabili pennellate, vuole dipingere la vita della Chiesa dopo la risurrezione del suo Fondatore: Gesù Cristo mangia e conversa con i suoi discepoli, apre loro l’intelligenza alle Scritture, li istruisce e li dispone a ricevere lo Spirito Santo, la promessa del Padre.
Gesù, fugato ogni dubbio, istruisce i discepoli intorno alla sua missione terrena, una missione di salvezza da sempre pensata dal Padre: «Bisogna che si compiano tutte le cose scritte…». La necessità della morte orrenda di Gesù sulla croce rivela quindi l’amore infinito del Padre e del Figlio. Quest’ultimo si è offerto volontariamente alla morte di croce per amore e non perché costretto da condizioni esterne alla sua volontà. Non erano stati gli uomini a determinare la fine atroce del Verbo umanato, come erano stati tentati di credere gli stessi discepoli. Il fallimento umano della vicenda umana del Cristo in verità rientrava nel piano di salvezza di Dio: al di sopra degli uomini e per mezzo degli uomini, anche degli stessi aguzzini che avevano crocifisso il Figlio, il Padre ha realizzato il suo disegno di amore, «creando in tal modo le condizioni nelle quali Cristo avrebbe espresso il massimo della sua capacità di “amare” e di “obbedi-re” […]. Il “segno supremo” dell’amore è la sua morte di croce che egli già “sa” da sempre […]. Proprio perché Cristo “conosce” la volontà del Padre, il suo donarsi alla morte è un gesto di generosità e di “obbe-dienza”. Egli vive e muore non per sé, ma “per gli altri”» (S. Cipriani).
Ora, pieni di luce e ricolmi di verità, i discepoli possono accogliere le ultime istruzioni del Risorto: nel suo nome devono andare in tutto il mondo a predicare a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati.
Riflessione
Avete ucciso l’autore della vita – Il discorso di Pietro è un discorso coraggioso che individua senza sconti gli autori materiali della morte del Cristo.
Ma chi è il vero mandante di quella morte orrenda? Senza ombra di dubbi possiamo rispondere che è stato il peccato degli uomini a crocifiggere il Figlio di Dio. Anche il nostro peccato: «La Chiesa, nel magistero della sua fede e nella testimonianza dei suoi santi, non ha mai dimenticato che “ogni singolo peccatore è realmente causa e strumento delle […] sofferenze” del divino Redentore. Tenendo conto del fatto che i nostri peccati offendono Cristo stesso, la Chiesa non esita ad imputare ai cristiani la responsabilità più grave nel supplizio di Gesù» (CCC 598).
«Peccato è tutto ciò che oscura l’anima», questa affermazione dello scrittore francese André Gide, premio Nobel nel 1947, è, per noi credenti, una verità inconfutabile. La Rivelazione, infatti, ha sempre affermato che Gesù è morto perché nella nostra anima ritornasse lo splendore della grazia.
Alla luce di questa semplicissima verità è chiaro, allora, «che più gravemente colpevoli sono coloro che più spesso ricadono nel peccato. Se infatti le nostre colpe hanno condotto Cristo al supplizio della croce, coloro che si immergono nell’iniquità crocifiggono nuovamente, per quanto sta in loro, il Figlio di Dio e lo scherniscono con un delitto ben più grave in loro che non negli Ebrei» (Catechismo Romano). E alla luce di questa considerazione, la bilancia sfavorevolmente pende dalla parte dei cristiani. Perché i pagani, gli Ebrei, il Sinedrio, Giuda, Pilato, la folla subornata dai sinedriti hanno agito per ignoranza: «infatti, [gli Ebrei] se l’aves-sero conosciuto, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria (1Cor 2,8). Noi cristiani, invece, pur confessando di conoscerlo, di fatto lo rinneghiamo con le nostre opere e leviamo contro di lui le nostre mani violente e peccatrici» (Catechismo Romano).
Avete ucciso l’autore della vita, queste parole di Pietro, oggi, dovrebbero conficcarsi nel nostro cuore e come lame taglienti ridurre a brandelli la nostra coscienza di ipocriti cristiani. È arrivato il momento di riconoscere il proprio peccato, di odiarlo, di detestarlo cordialmente, di bandirlo per sempre dalla nostra vita. Chi ama il peccato morirà nel peccato: «Quelli infatti che sono stati una volta illuminati… e hanno gustato la buona parola di Dio e le meraviglie del mondo futuro… se sono caduti, è impossibile rinnovarli una seconda volta portandoli alla conversione, dal momento che per loro conto crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all’infamia» (Eb 6,4-6).
Chiunque tu sia, non puoi accampare scuse; o come diceva san Francesco d’Assisi: non dire sono stati i demòni a crocifiggerlo, «ma sei stato tu con essi a crocifiggerlo, e ancora lo crocifiggi, quando ti diletti nei vizi e nei peccati». E i tuoi vizi e i tuoi peccati ti trascineranno dinanzi al Giudice divino e a lui ti accuseranno.
La pagina dei Padri
I corpi spiritualizzati dopo la risurrezione – Sant’Agostino: Siccome a tua volta mi chiedevi il mio parere circa la risurrezione dei corpi e le funzioni delle membra nello stato futuro d’incorruttibilità e d’immortalità, ascolta cosa in breve ne penso; e, se non ti soddisferà, ne potremo discutere più a lungo, con l’aiuto di Dio. Si deve credere con tutta la forza quanto nella Sacra Scrittura è affermato in modo veridico e chiaro: che cioè i nostri corpi visibili e terreni, che ora chiamiamo animali, nella risurrezione dei fedeli e dei giusti, diventeranno spirituali. Ignoro d’altronde come si possa comprendere o far comprendere ad altri di quale specie sia un corpo spirituale, di cui non abbiamo conoscenza sperimentale. È certo però che in quello stato i corpi non avranno corruzione di sorta e perciò non sentiranno, come ora, il bisogno di questo cibo corruttibile; potranno tuttavia prenderlo e consumarlo realmente, non costretti da necessità, ma assecondando una possibilità. Altrimenti neppure il Signore avrebbe preso cibo dopo la sua risurrezione dandoci in tal modo l’imma-gine della risurrezione corporea; per cui l’Apostolo dice: “Se i morti non risorgono, non è risorto neppure Cristo” (1Cor 15,16). Il Signore infatti, apparendo con tutte le sue membra, e servendosi delle loro funzioni, mostrò pure il posto delle ferite. Io ho sempre creduto che non si tratti di ferite, ma di cicatrici, conservate dal Signore non già per necessità, ma per sua volontà. E la facilità di attuare questa sua volontà, la dimostrò soprattutto e quando apparve sotto altre sembianze e quando apparve com’era realmente, a porte chiuse, nella casa dove si erano adunati i discepoli.