aprile, meditazioni

10 Aprile 2018

10 Aprile 2018 – Martedì, II di Pasqua – (At 4,32-37; Sal 92[93]; Gv 3,7b-15) – I Lettura: Luca, scrivendo il seguito del suo Vangelo, nel breve testo di oggi degli Atti, racconta la vita della comunità di fratelli e sorelle, unita nel nome di Gesù. Tutti portano il nuovo sigillo della vita piena e sono detti “i cristiani”. Per essi la vita piena di fede deve avere riflessi anche nei rapporti quotidiani con le persone della comunità che si riconosce nella fede. Salmo: “Prima della redenzione tutto vacillava. La sua risurrezione ha reso saldo tutto” (Girolamo). Vangelo: Gesù vuole aprire lo sguardo di Nicodèmo su una realtà nuova, a lui che è immerso talmente nei problemi teologici da divenire incapace di scoprire il regno nella vita che gli sta intorno. La vita non si identifica con l’osservanza delle leggi, che per l’ebreo potevano rigenerare l’uomo, ma con la Sapienza divina che scruta in profondità la “verità” di ogni cosa.

Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo – Dal Vangelo secondo Giovanni: In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito». Gli replicò Nicodèmo: «Come può accadere questo?». Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro di Israele e non conosci queste cose? In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».

Riflessione: «Dovete nascere dall’alto». Ciò che caratterizzava la prima comunità cristiana era l’avere tutto in comune, non per una scelta sociale o politica in opposizione alla proprietà privata, non per demonizzare il possesso di qualcosa di personale, ma, come spiega bene il testo sacro, perché ciascuno potesse avere in base al proprio bisogno: come in una grande e bella famiglia in cui nessuno considera un bene personale ciò che è il bene di tutti e ciò che può essere a vantaggio di tutti. Sì, come una grande famiglia, unita, solida, fondata sulla stima e sull’amore reciproco dove al centro c’è il desiderio del bene per tutti. Così afferma ripetutamente san Paolo in diverse Lettere: «Nessuno cerchi il proprio interesse, ma quello degli altri» (1Cor 10,24) e più avanti: «Io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza» (1Cor 10,33); e ancora: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,4). In una famiglia sana, si è tutti a servizio di tutti, ciascuno nel proprio ruolo, con i propri doni, con le proprie esperienze da mettere a disposizione degli altri, per la crescita comune. E così dovrebbe essere nella Chiesa, in questa bella famiglia di Gesù. Chi sono la famiglia di Gesù? Egli ci risponde: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre» (Mc 3,34-35). Noi siamo i familiari di Dio, come afferma san Paolo: «Voi dunque non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,19). Tale familiarità non ci viene dalla carne, dai nostri meriti o dalle nostre azioni, ma è tutta grazia che nasce dalla fede in Cristo: «A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1,12-13). Il Battesimo ci ha rigenerati in Cristo, ci ha resi figli di Dio, fratelli di Cristo. La nostra santità altro non è che la perfetta perseveranza in questa grazia, questa continua rinascita dall’Alto. Sì, dobbiamo nascere dall’Alto, per vivere da figli di Dio.

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Dovete nascere dall’alto – Giovanni Paolo II (Discorso, 23 Agosto 1997): Il vangelo di san Giovanni racconta la conversazione notturna di Cristo con Nicodemo. Andando ad incontrare Cristo, questo membro del Sinedrio, esprime la propria fede: «Rabbi, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai se Dio non è con lui» (Gv 3,2). […] Gesù fa passare Nicodemo dalle realtà visibili a quelle invisibili. Ognuno di noi è nato dall’uomo e dalla donna, da un padre e da una madre; questa nascita è il punto di partenza della nostra intera esistenza. Nicodemo pensa a questa realtà naturale. Al contrario, Cristo è venuto nel mondo per rivelare un’altra nascita, la nascita spirituale. Quando professiamo la nostra fede, diciamo chi è Cristo: «Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, Unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli… generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create; per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso dal cielo; per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo». Sì, giovani amici, il Figlio di Dio si è fatto uomo anche per voi tutti, per ciascuno di voi.

Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo… – Benedetto XVI (Angelus, 8 Marzo 2012): Il riferimento è all’episodio in cui, durante l’esodo dall’Egitto, gli ebrei furono attaccati da serpenti velenosi, e molti morirono; allora Dio comandò a Mosè di fare un serpente di bronzo e metterlo sopra un’asta: se uno veniva morso dai serpenti, guardando il serpente di bronzo, veniva guarito (cfr. Nm 21,4-9). Anche Gesù sarà innalzato sulla Croce, perché chiunque è in pericolo di morte a causa del peccato, rivolgendosi con fede a Lui, che è morto per noi, sia salvato. «Dio infatti – scrive san Giovanni – non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,17). Commenta sant’Agostino: «Il medico, per quanto dipende da lui, viene per guarire il malato. Se uno non sta alle prescrizioni del medico, si rovina da solo. Il Salvatore è venuto nel mondo… Se tu non vuoi essere salvato da lui, ti giudicherai da te stesso» (Sul Vangelo di Giovanni, 12,12: PL 35,1190). Dunque, se infinito è l’amore misericordioso di Dio, che è arrivato al punto di dare il suo unico Figlio in riscatto della nostra vita, grande è anche la nostra responsabilità: ciascuno, infatti, deve riconoscere di essere malato, per poter essere guarito; ciascuno deve confessare il proprio peccato, perché il perdono di Dio, già donato sulla Croce, possa avere effetto nel suo cuore e nella sua vita. Scrive ancora sant’Agostino: «Dio condanna i tuoi peccati; e se anche tu li condanni, ti unisci a Dio… Quando comincia a dispiacerti ciò che hai fatto, allora cominciano le tue opere buone, perché condanni le tue opere cattive. Le opere buone cominciano con il riconoscimento delle opere cattive» (ibid., 13: PL 35,1191). A volte l’uomo ama più le tenebre che la luce, perché è attaccato ai suoi peccati. Ma è solo aprendosi alla luce, è solo confessando sinceramente le proprie colpe a Dio, che si trova la vera pace e la vera gioia. È importante allora accostarsi con regolarità al Sacramento della Penitenza […] per ricevere il perdono del Signore e intensificare il nostro cammino di conversione.

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: “Voi vedete cosa l’anima fa nel corpo. Dà vita a tutte le membra: vede per mezzo degli occhi, ode per mezzo delle orecchie, odora per mezzo delle narici, per mezzo della lingua parla, per mezzo delle mani opera, per mezzo dei piedi cammina: è presente insieme a tutte le membra, perché esse vivano: dà a tutte la vita e a ciascuna il suo compito. L’occhio non ode, l’orecchio non vede, e neppure la lingua vede né l’orecchio e l’occhio parlano; eppure vivono: vive l’orecchio, vive la lingua: i compiti sono diversi, la vita è comune. Così è la Chiesa di Dio: in alcuni santi compie miracoli, in altri santi dice la verità, in altri custodisce la verginità, in altri ancora custodisce la pudicizia coniugale; in altri santi questo, in altri santi quello: ciascuno compie l’opera propria, ma tutti vivono parimenti. E quello che è l’anima per il corpo dell’uomo, lo è lo Spirito Santo per il corpo di Cristo che è la Chiesa: lo Spirito Santo opera in tutta la Chiesa ciò che l’anima opera in tutte le membra di un unico corpo… Se dunque volete vivere di Spirito Santo, conservate l’amore, amate la verità, per raggiungere così l’eternità” (Ago-stino).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Chiunque crede in lui abbia la vita eterna – Benedetto XVI (Omelia, 4 Novembre 2010): L’espressione «vita eterna»… designa il dono divino concesso all’umanità: la comunione con Dio in questo mondo e la sua pienezza in quello futuro. La vita eterna ci è stata aperta dal Mistero Pasquale di Cristo e la fede è la via per raggiungerla. È quanto emerge dalle parole rivolte da Gesù a Nicodemo e riportate dall’evangelista Giovanni: «E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3,14-15). Qui vi è l’esplicito riferimento all’episodio narrato nel libro dei Numeri (21,1-9), che mette in risalto la forza salvifica della fede nella parola divina. Durante l’esodo, il popolo ebreo si era ribellato a Mosè e a Dio, e venne punito con la piaga dei serpenti velenosi. Mosè chiese perdono, e Dio, accettando il pentimento degli Israeliti, gli ordina: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque dopo esser stato morso lo guarderà, resterà in vita». E così avvenne. Gesù, nella conversazione con Nicodemo, svela il senso più profondo di quell’evento di salvezza, rapportandolo alla propria morte e risurrezione: il Figlio dell’uomo deve essere innalzato sul legno della Croce perché chi crede in Lui abbia la vita. San Giovanni vede proprio nel mistero della Croce il momento in cui si rivela la gloria regale di Gesù, la gloria di un amore che si dona interamente nella passione e morte. Così la Croce, paradossalmente, da segno di condanna, di morte, di fallimento, diventa segno di redenzione, di vita, di vittoria, in cui, con sguardo di fede, si possono scorgere i frutti della salvezza.

Santo del giorno: 10 Aprile – Santa Maddalena di Canossa, Vergine e Fondatrice: “Nata a Verona nel 1774, appartiene a una delle famiglie più illustri nell’Italia del tempo. Orfana di padre e abbandonata dalla madre, a 7 anni viene affidata a un’istitutrice. A 17 si trova nel Carmelo di Trento e poi in quello di Conegliano (Tv). Tornata a casa, nel 1801 ospita nel palazzo di famiglia due povere ragazze, raccolte da lei stessa. Nel 1808 inizia con altre ragazze in difficoltà un’e-sperienza di vita in comune presso l’ex convento delle Agostiniane veronesi: nascono le Figlie della Carità, suore educatrici dei poveri. È la stessa Maddalena a scriverne le regole nel 1812, a Venezia, chiamata da Antonangelo e Marcantonio Cavanis (due fratelli patrizi, entrambi sacerdoti) per fondare un’altra casa d’istruzione per ragazze, mentre loro hanno creato le scuole gratuite maschili. Maddalena ottiene l’assenso pontificio da Pio VII; in seguito si reca a Venezia, a Milano e poi a Bergamo e a Trento, per fondare nuove sedi e scuole. La sua stessa residenza patrizia veronese accoglie ragazze povere, strappate alla miseria per renderle protagoniste della loro vita. Mentre prepara l’aper-tura di altre sedi a Brescia e a Cremona nel 1835 la morte la coglie a Verona” (Avvenire).

Preghiamo: Concedi al tuo popolo, Dio misericordioso, di proclamare la potenza del Signore risorto, perché in lui, sacramento universale di salvezza, manifesti al mondo la pienezza della vita nuova. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

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