28 Marzo 2018 – Mercoledì della Settimana Santa – (Is 50,4-9a; Sal 68[69]; Mt 26,14-25) – I Lettura: L’eletto di Dio è innanzitutto un uomo sempre attento alla sua Parola, per questo la consolazione che porta è vera ed efficace, perché suggerita da Dio stesso. Il servo è obbediente, docile alla chiamata di Dio anche quando porta ad un destino di dolore e di umiliazione. La sua fiducia è sostenuta dalla vicinanza di Dio, che il servo sperimenta grazie alla capacità di ascoltare la sua voce. Salmo: “Questo salmo contiene la preghiera del Signore offerta a nome dell’umanità, le cause e le circostanze della sua passione, i castighi che saranno mandati ai giudei e infine annuncia il culto in spirito e verità” (Atanasio). Vangelo: Il prezzo pagato dal Sinedrio a Giuda è l’equivalente di trenta sicli d’argento (il testo greco infatti ha triakonta argyria, trenta stateri d’argento, lo statere è una moneta greca equivalente al siclo), e corrisponde al prezzo di uno schiavo (Es 21,32). La scena ricorda il passo di Zaccarìa (11,12) dove lo stesso prezzo è il valore attribuito al servizio del profeta che agiva per comando di Dio, un vero dileggio a Jahvè.
Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariòta, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù. Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».
Riflessione: «Guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito!». L’evangelista Matteo, come anche gli altri evangelisti, nel descrivere le ultime ore di Gesù, ce lo presenta come un uomo certamente provato ma perfettamente padrone e signore della situazione. Gesù non è un uomo che fugge, un imboscato, non è uno che cerca possibili soluzioni alternative o contatti da cui poter ricevere umani benefici. E non dobbiamo cadere nel tranello di pensare a questo solo partendo dal fatto che Gesù è vero Dio: se Gesù, che è anche e perfettamente vero uomo, affronta in tal maniera, la passione e morte, da regista e non da marionetta, da protagonista e non da succube, è perché per tutta la vita altro non ha fatto che cercare di fare al meglio e perfettamente la volontà del Padre. Santi non ci si improvvisa, e chi non è santo non lo è semplicemente perché non si è applicato a diventarlo! I santi non sono nati santi: i martiri non sono uomini che non soffrono o che non hanno famiglie, responsabilità o paure; i missionari non sono esploratori di nuove terre che girano il mondo in cerca di bei paesaggi, ma gente che cammina, fatica, e che per realizzare quel progetto divino che sentono forte dentro, sono pronti ai più drastici adattamenti, alle privazioni e agli stenti più scorticanti, alle fatiche più estenuanti. Gesù in ogni giorno della sua vita ha ricercato e realizzato la volontà del Padre, con impegno, nella preghiera, nell’ascolto, con assiduità, con perseveranza, con fermezza, con digiuni, con rinunce, con fatiche… Quanto facilmente invece noi ci allontaniamo dalla volontà di Dio! Pronti sempre a cercare soluzioni alternative, ad alleviare o evitare le responsabilità più impegnative. Occupati fino alla nausea dei nostri problemi, delle nostre cose da sbrigare, dei nostri doveri da eseguire. Impegnati ad essere come il mondo richiede, impegnati ad essere come il nostro “io” richiede, non abbiamo tempo o forze o volontà per essere come Dio ci chiede. Giuda ha sciupato tutto, nonostante i tanti doni che Gesù gli aveva fatto. Egli rimane per noi un monito, un modello, ma anche una terribile possibilità: nessuno è esente dal baratro del peccato e dalle sue eterne conseguenze!
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Giuda Iscariòta, andò dai capi dei sacerdoti… – Mons. Vincenzo Paglia, Vescovo (Omelia, 12 Aprile 2006): Giuda cova nel suo cuore il tradimento già da molto prima del suo metterlo in atto. C’è una lontananza della nostra vita dal Signore che costituisce il terreno sul quale affonda le radici il tradimento e la diffidenza. E una volta presa dimora la pianta maligna si sviluppa mascherando i suoi rami con i ragionamenti del realismo, come un argine ad un sogno che potrebbe portarci troppo lontani da noi stessi. Nella scena intima e familiare di quell’ultima cena dei fratelli del Signore riuniti, il tradimento si affaccia e semina sconcerto. Non è un estraneo, un nemico che cova il risentimento, ma uno di quei familiari. Non è un pagano o un fariseo, ma uno di loro ad aprire le porte del cuore al male, tanto da divenirne complice. È facile, vuol dirci il Signore, sentirsi nel giusto e intanto fare spazio al male, cooperare con suo agire, ritenersi vicini e costruire intanto baratri di incomprensione e freddezza. Non è un mostro Giuda, è uno dei dodici, ha visto e vissuto tutto quello che ha fatto Gesù, ha intinto la mano nel suo stesso piatto, eppure ha fatto del suo cuore la casa del risentimento verso quel Signore che ha l’unica colpa di avergli voluto fin troppo bene.
Mercoledì santo – Benedetto XVI (Udienza Generale, 4 Aprile 2007): Cari fratelli e sorelle, mentre si va concludendo l’itinerario quaresimale, iniziato con il Mercoledì delle Ceneri, l’odierna liturgia del Mercoledì Santo ci introduce già nel clima drammatico dei prossimi giorni, permeati dal ricordo della passione e della morte di Cristo. Nell’odierna liturgia, infatti, l’evangelista Matteo ripropone alla nostra meditazione il breve dialogo che avvenne nel Cenacolo tra Gesù e Giuda. “Rabbi, sono forse io?”, domanda il traditore al divino Maestro, che aveva preannunciato: “In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà”. Lapidaria la risposta del Signore: “Tu l’hai detto” (cfr. Mt 26,14-25). Da parte sua san Giovanni chiude il racconto dell’annunzio del tradimento di Giuda con poche significative parole: “Ed era notte” (Gv 13,30). Quando il traditore abbandona il Cenacolo, s’infittisce il buio nel suo cuore – è notte interiore -, cresce lo smarrimento nell’animo degli altri discepoli – anche loro vanno verso la notte -, mentre tenebre di abbandono e di odio si addensano sul Figlio dell’Uomo che si avvia a consumare il suo sacrificio sulla croce. Quel che commemoreremo nei prossimi giorni è lo scontro supremo tra la Luce e le Tenebre, tra la Vita e la Morte. Dobbiamo situarci anche noi in questo contesto, consapevoli della nostra “notte”, delle nostre colpe e delle nostre responsabilità, se vogliamo rivivere con profitto spirituale il Mistero pasquale, se vogliamo arrivare alla luce del cuore mediante questo Mistero, che costituisce il fulcro centrale della nostra fede.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: La zizzania tra il frumento – “Anche se nella Chiesa si vede la zizzania, tuttavia la nostra fede e la nostra carità non devono restare inceppate fino al punto che, vedendo la zizzania nella Chiesa, noi stessi ci allontaniamo dalla Chiesa. Noi dobbiamo solamente faticare per poter essere frumento, così che quando la messe comincerà a venir riposta nei granai del Signore, ci sia dato ottenere il frutto della nostra opera e della nostra fatica. L’Apostolo dice nella sua lettera: Però in una casa grande non ci sono solo vasi d’oro e d’argento, ma anche di legno e di coccio; e alcuni sono onorati, altri disprezzati [2Tm 2,20]. Noi, diamoci da fare e fatichiamo quanto ci è possibile, per essere vasi d’oro o d’argento. Riguardo poi ai vasi di coccio, solo al Signore è concesso spezzarli, perché a lui è stata data la verga di ferro. Un servo non può essere maggiore del suo Signore, e nessuno può arrogarsi ciò che il Padre ha dato solo al Figlio… È questa una presunzione superba, è una ostinazione sacrilega, che si arroga una frenesia abbietta” (Cipriano di Cartagine).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Giuda prende l’iniziativa, “Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?”. Giuda è ladro e ruba dalla cassa apostolica e quel “consegni” in linguaggio biblico è sinonimo di “tradire”. Giuda chiede un compenso per il suo tradimento, sa che la proposta sarà accettata: da tempo, infatti, il Sinedrio cercava di mettere le mani su Gesù. Per i farisei Gesù era una preda ambita, desiderata, come un uomo concupisce una vergine. Spesso anche noi facciamo proposte simili alla carne, al mondo e al diavolo. Non è soltanto soddisfare un capriccio. Si tratta di tradire il Maestro e anche se la coscienza, a guisa di grillo parlante, fa suonare la campanella d’allarme, con faccia tosta, alzando gli occhi al Cielo, colmi di ipocrite lacrime, con una finta smorfia tinta di pietà, diciamo: “Rabbì, sono forse io”? La risposta è scontata: “Tu l’hai detto”. Anche se sappiamo bene che la “carne, il mondo e il diavolo” sono i nostri capitali nemici, anche se l’apostolo Giacomo ci avverte che amare il mondo è odiare Dio e che chi vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio (Gc 4,4-45), noi stolti cadiamo nella rete, perché, lo dobbiamo confessare: siamo ladri. Pensiamo di essere intelligenti e non ammettiamo che l’intelligenza è un dono di Dio, siamo ladri; pensiamo di essere autonomi e autosufficienti e non pensiamo che se stiamo in piedi è soltanto per grazia di Dio, siamo ladri; pensiamo che siamo liberi di fare il bene e il male e non pensiamo che la luce del discernimento che viene dal Cielo, è squisito dono della misericordia di Dio, siamo ladri; crediamo di essere liberi di avventarci sulle creature e sul nostro corpo come cani famelici e dimentichiamo che l’uomo è tempio di Dio, siamo ladri; siamo certi che noi siamo gli unici autori delle nostre fortune e dimentichiamo che ogni dono perfetto viene dall’alto (Gc 1,17), siamo ladri. L’a-cquirente, l’acquirente della nostra innocenza battesimale e della nostra salvezza, è sempre pronto a sbrigare l’affare; trenta denari, una bella somma, ma in fondo non abbiamo venduto il Maestro ma noi stessi, o meglio ci siamo svenduti come saldi di fine stagione alla carne che conduce alla morte, al mondo via larga che porta alla perdizione, a Satana, a colui che tiene bene strette, nei suoi artigli!
Santo del giorno: 28 Marzo – Santo Stefano Harding, Abate: “La storia di Stefano Harding rimanda alle origini dell’or-dine monastico dei cistercensi, tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo. Questo monaco inglese originario di Shelburne è infatti accanto a san Roberto di Molesme e ad Alberico quando nel 1098 fondano il nuovo monastero a Citeaux in Borgogna. Il principio ispiratore di questa nuova comunità era la volontà di ristabilie l’obbedienza alla Regola benedettina nella sua integrità. Di Citeaux Stefano diverrà anche abate. E sarà lui ad accogliere qui san Bernardo, la figura che col suo carisma contribuirà alla grande fioritura del nuovo ordine monastico. Già sotto la guida di Stefano Harding furono dodici le fondazioni nate da Citeaux. Morto nel 1134, è stato canonizzato nel 1623” (Avvenire).
Preghiamo: Padre misericordioso, tu hai voluto che il Cristo tuo Figlio subisse per noi il supplizio della croce per liberarci dal potere del nemico; donaci di giungere alla gloria della risurrezione. Per il nostro Signore Gesù Cristo…