26 Marzo 2018 – Lunedì della Settimana Santa – (Is 42,1-7; Sal 26[27]; Gv 12,1-11) – I Lettura: Il profeta Isaìa illustra magistralmente l’azione apostolica del servo del Signore. Animato dallo Spirito di Dio porterà il diritto alle nazioni; sarà mite e umile di cuore (cfr. Mt 11,29) e adempirà la sua missione con fortezza, senza abbattersi, malgrado le opposizioni e le persecuzioni. Egli stesso sarà alleanza e luce, aprirà gli occhi ai ciechi (cfr. Gv 9) e farà uscire dal carcere i prigionieri (cfr. Lc 4,18.21). Non è difficile intuire che questo oracolo si è realizzato pienamente in Gesù di Nazareth. Salmo: “L’anima che possiede la luce divina, comincia col contemplare il Salvatore; e allora, intrepida contro tutti, uomini o diavolo, combatte con Cristo al suo fianco” (Origene). Vangelo: L’unzione di Betània ha alla base il simbolo del profumo prezioso di nardo, importato in Israele dall’India, del valore di trecento denari, quasi il salario annuale di un bracciante. Esso è interpretato dall’evangelista come un’anticipazione della morte, sepoltura e unzione del corpo di Gesù, un po’ come la risurrezione di Lazzaro era stata il segno della glorificazione del Risorto. In questa scena ci sono due sguardi contrapposti su Gesù: quello della donna e quello di Giuda. La donna pone Gesù al di sopra di tutto e indica un amore illimitato. Giuda pone il valore commerciale al di sopra della persona di Cristo. Con un commento che manca nei sinottici: Giovanni sottolinea l’attaccamento di Giuda al denaro. Maria, quindi, simboleggia qui il vero discepolo che riconosce che Gesù vale di più di tutto l’oro del mondo.
Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura – Dal Vangelo secondo Giovanni: Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Làzzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Làzzaro era uno dei commensali. Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariòta, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me». Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Làzzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Làzzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.
Riflessione: «Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce». Il brano del profeta Isaìa che riportiamo, e che abbiamo proclamato nella Prima Lettura, descrive il Servo sofferente nella sua silenziosa mitezza. Un silenzio che è accoglienza della volontà del Padre; un silenzio che è desiderio di non opporre alla parola pungente una altrettanto offensiva. Il silenzio di Gesù viene sottolineato in diverse occasioni, sia a livello profetico che storico. A livello profetico possiamo pensare al testo di Isaìa: «Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca» (53,7). A livello storico possiamo pensarlo dinanzi ad Erode (cfr. Lc 23,9); alle folle (cfr. Mc 15,13); dinanzi a Pilato (cfr. Gv 19,8-10); tra i maltrattamenti e umiliazioni di ogni genere (cfr. Mt 27,27-31). All’inizio di questa solenne Settimana penso sia doveroso interrogarci sull’uso della nostra lingua, sulla nostra capacità di vivere la virtù del silenzio, non come mutismo, non per non compromettersi. Il silenzio è capacità di lasciar posto alla Parola, è permettere a Dio di agire secondo giustizia, come afferma anche san Paolo: «Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti. […] Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rm 12,17-20.21). Concludiamo con le parole di un grande santo della carità, san Francesco di Paola: “Deponete ogni odio e ogni inimicizia, guardatevi diligentemente dalle parole più aspre. Perdonatevi a vicenda e poi non pensate più all’ingiuria arrecatavi. Il ricordo della malvagità è infatti ingiuria, colmo di follia, custodia del peccato, odio della giustizia, freccia rugginosa, veleno dell’anima, dispersione della virtù, tarlo della mente, confusione dell’orazione, lacerazione delle preghiere fatte a Dio, abbandono della carità, chiodo infisso nelle nostre anime, peccato che non viene mai meno e morte quotidiana. Amate la pace, ché è migliore di qualsiasi tesoro”.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Il servo del Signore – Giovanni Paolo II (Angelus, 13 Gennaio 1985): “Ecco il mio servo che io sostengo, / il mio eletto in cui mi compiaccio. / Ho posto il mio spirito su di lui; / egli porterà il diritto alle nazioni” (Is 42,1). Gesù Cristo: Figlio che si è fatto servo. Il Battesimo nel Giordano lo riconferma pienamente: Gesù si presenta a Giovanni per farsi battezzare; ma questi cerca di impedirglielo dicendo: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?” (Mt 3,14). Come se volesse dire: “Proprio tu che sei il fautore della Grazia salvifica e signore della nostra salvezza”. Gesù tuttavia risponde: “Lascia fare per ora poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia” (Mt 3,15). Gesù riceve il Battesimo da Giovanni: il Battesimo di penitenza. In questo modo manifesta se stesso come servo della nostra redenzione. Viene come Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo (cfr. Gv 1,29.36). Porta in sé la volontà dell’obbedienza al Padre fino alla morte. Viene come colui che “non spezzerà una canna incrinata, / non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta” (Is 42,3).
L’unzione di Betania – Ecclesia de Eucharistia 47: Una donna, identificata da Giovanni con Maria sorella di Lazzaro, versa sul capo di Gesù un vasetto di profumo prezioso, provocando nei discepoli – in particolare in Giuda (cfr. Mt 26,8; Mc 14,4; Gv 12,4) – una reazione di protesta, come se tale gesto, in considerazione delle esigenze dei poveri, costituisse uno «spreco» intollerabile. Ma la valutazione di Gesù è ben diversa. Senza nulla togliere al dovere della carità verso gli indigenti, ai quali i discepoli si dovranno sempre dedicare – «i poveri li avete sempre con voi» (Mt 26,11; Mc 14,7; cfr. Gv 12,8) – Egli guarda all’evento imminente della sua morte e della sua sepoltura, e apprezza l’unzione che gli è stata praticata quale anticipazione di quell’onore di cui il suo corpo continuerà ad essere degno anche dopo la morte, indissolubilmente legato com’è al mistero della sua persona.
La solidarietà – Giovanni Paolo II (Esortazione Apostolica, Pastores Gregis): Nella Chiesa apostolica, come ampiamente testimoniano gli Atti, la povertà di alcuni suscitava la solidarietà degli altri con il risultato sorprendente che «nessuno fra loro era bisognoso» (4,34). La Chiesa è debitrice di questa profezia al mondo assediato dai problemi della fame e delle disuguaglianze fra i popoli. In questa prospettiva di condivisione e di semplicità il Vescovo amministra i beni della Chiesa come il «buon padre di famiglia» e vigila affinché essi siano impiegati secondo i fini propri della Chiesa: il culto di Dio, il sostentamento dei ministri, le opere di apostolato, le iniziative di carità verso i poveri. Essere procurator pauperum è stato sempre un titolo dei pastori della Chiesa e deve esserlo concretamente anche oggi, per rendere presente ed eloquente il messaggio del Vangelo di Gesù Cristo a fondamento della speranza di tutti, ma specialmente di coloro che solo da Dio possono attendere una vita più degna e un migliore avvenire. Sollecitate dall’esempio dei Pastori, la Chiesa e le Chiese devono mettere in atto quella «opzione preferenziale per i poveri», che ho indicato come programma per il terzo millennio.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: “«Venne una donna con un vasetto di alabastro di profumo». I farisei e gli scribi stanno nel tempio, e non hanno il profumo: questa donna è fuori del tempio e porta il profumo, porta il nardo, un vasetto di nardo con cui è confezionato il suo profumo. Anche voi fedeli, che siete chiamati, siete come un profumo di nardo. La Chiesa, raccolta tra tutte le genti, offre infatti al Salvatore i suoi doni, cioè la fede dei credenti. Essa rompe il vasetto di alabastro, affinché tutti ricevano il profumo, si rompe il vasetto, che prima in Giudea era tenuto rigorosamente chiuso… come il chicco di grano non fa frutti se non è sepolto e marcisce in terra, così se non viene aperto il vasetto di alabastro, non potremo essere unti [cfr. Gv 12,24]” (San Girolamo).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Lazzaro è stato tratto fuori dal sepolcro ed ha apparecchiato un banchetto per onorare Gesù. Siamo a Betania, in casa di Marta, di Maria e di Lazzaro. Maria ha cosparso i piedi di Gesù con un profumo assai prezioso. In questo gesto c’è tutto il suo amore, la sua gioia, la sua riconoscenza, la sua fede. Ma attorno a questo gesto di affetto si muovono tristi personaggi. Il primo è Giuda, avido, ladro, il profumo usato per l’unzione poteva fruttargli qualche denaro in più, le sue tasche ne risentivano, ma anche il suo animo, si sentiva depauperato, truffato dal quel gesto per lui inconsulto e ingiustificato! Alla ruberia e all’avidità aggiunge lo sdegno, l’ipocrisia, la menzogna: “«Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro”. Spesso capita anche a noi che resi gelosi da qualche gesto di bontà ne marchiamo l’inutilità, ma lo facciamo con parole false, bugiarde, per nascondere i nostri veri pensieri e i nostri effettivi interessi. Con Giuda altri personaggi si aggirano attorno a quella mensa, tristi nel volto portano nel cuore il fetore della morte. I farisei dinanzi a un morto risuscitato avrebbero potuto decidersi di aprirsi alla Vita, e invece, chiusi nel buio della morte intellettuale e spirituale, pensano di consegnare alla morte Colui che dona la vita. Un paradosso quasi incomprensibile, eppure è così. Spesso ci comportiamo così: Gesù ci spalanca le porte del perdono, ci dona la possibilità di riconciliarci con il Cielo e la terra e noi preferiamo restare nel peccato, inviolabile sepolcro che già preannuncia la perdizione eterna.
Santo del giorno: 26 Marzo – San Ludgero di Munster, Vescovo: “Nato verso il 745 in Frisia è legato all’evangelizza-zione della Germania transrenana, come discepolo di Gregorio e di Alcuino di York. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ricevuta a Colonia nel 777, si dedicò all’evangelizzazione della regione pagana della Frisia. Nel 776, durante la prima spedizione in questa zona, Carlo Magno impose il battesimo a tutti i guerrieri vinti; ma la rivolta di Widukindo fu accompagnata da un’apostasia generale. Ludgero fuggì e raggiunse Montecassino. La rivolta di Widukindo venne domata nel 784. Lo stesso Carlo Magno andò a incontrare Ludgero e lo rimandò in patria, incaricandolo di riprendere la missione nella Frisia. Prese il posto dell’abate Bernardo nel territorio della Sassonia. Nel 795 Ludgero vi eresse il monastero, attorno al quale sorse l’attuale città di Munster. Il territorio apparteneva alla circoscrizione ecclesiastica di Colonia, poiché Ludgero accettò soltanto nell’804 di essere consacrato vescovo della nuova diocesi. A lui si deve anche la fondazione del monastero benedettino di Werden, dove è sepolto. Morì nell’anno 809” (Avvenire).
Preghiamo: Guarda, Dio onnipotente, l’umanità sfinita per la sua debolezza mortale, e fa’ che riprenda vita per la passione del tuo unico Figlio. Egli è Dio e vive e regna con te…