marzo, meditazioni

25 Marzo 2018 Domenica

Dal libro del profeta Isaìa (50,4-7) – Non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi, sapendo di non restare confuso: Il terzo canto del Servo di Jahvè descrive il profeta come colui che si fa discepolo del Signore. Il Signore gli dona la sua sapienza perché possa a sua volta istruire e consolare. Gli dona anche il coraggio e la forza perché possa resistere alla persecuzione in attesa del trionfo definitivo.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési (2,6-11) – Cristo umiliò se stesso, per questo Dio lo esaltò: Paolo scrive ai Filippési durante una delle sue prigionie. La lettera non ha grandi contenuti dottrinali, ma è importante per l’inno cristologico che ricorda l’abbassamento del Cristo, che l’Apostolo propone come esempio di umiltà ai suoi cari Filippési, umiltà essenziale per mantenere l’unità e difendersi dai falsi maestri.

Vangelo (Forma breve 15,1-39) – La passione del Signore: Il racconto di Marco sulla Passione di Gesù ha dei tratti logistici e temporali ben definiti. Più che un racconto è una rievocazione di quegli eventi e si trasforma in preghiera liturgica all’interno della comunità. La Liturgia di oggi inizia con l’episodio dell’unzione a Betània, Gesù ne vede l’anticipazio-ne della sua morte e sepoltura, evento al quale è ormai rivolto il suo ministero a Gerusalemme.

Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Marco

Al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato. Pilato gli domandò: «Tu sei il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici». I capi dei sacerdoti lo accusavano di molte cose. Pilato lo interrogò di nuovo dicendo: «Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!». Ma Gesù non rispose più nulla, tanto che Pilato rimase stupito. A ogni festa, egli era solito rimettere in libertà per loro un carcerato, a loro richiesta. Un tale, chiamato Barabba, si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio. La folla, che si era radunata, cominciò a chiedere ciò che egli era solito concedere. Pilato rispose loro: «Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché, piuttosto, egli rimettesse in libertà per loro Barabba. Pilato disse loro di nuovo: «Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!». Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Ma essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!». Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso. Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo. Costrin-sero a portare la croce di lui un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo. Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese. Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: «Il re dei Giudei». Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra. Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.

Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.

(Qui si genuflette e si fa una breve pausa)

Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».

Approfondimento

Domenica delle Palme (Sacramentarium Gelasianum, ed. L.C. Mohlberg, Roma 1968, n. 330) – Comincia in questa domenica la Settimana Santa. Gli inizi della processione con le palme bisogna cercarli a Gerusalemme. La domenica pomeriggio, i fedeli si radunavano sul Monte degli Ulivi dove cantavano inni, antifone e si leggeva la Sacra Scrittura. Dopo la lettura del Vangelo sull’ingresso di Cristo a Gerusalemme, la processione si metteva in cammino per raggiungere la città. I bambini, anche i più piccoli tenevano nelle mani i ramoscelli d’olivo o di palma. In Occidente, la processione con le palme venne prima accolta in Spagna e in Gallia (VII-VIII sec.) e in seguito a Roma (la più antica descrizione è del X secolo). Nel Medioevo, si cercava di riprodurre nella liturgia le circostanze dell’in-gresso di Gesù. Nella processione, si portava un simbolo di Cristo: il libro del Vangelo oppure il crocifisso (Italia), il Santissimo Sacramento (Inghil-terra), la figura di Gesù su un asinello (Baviera, Austria, Cracovia). Durante la Messa, secondo una usanza romana, si leggeva il racconto della passione di Cristo secondo san Matteo. Nel Medioevo, venne accolto comunemente il costume di interrompere la lettura dopo la parola «spirò» e di rimanere per un po’ di tempo nel silenzio.

Cristo si dirige verso Gerusalemme perché giunge «la Sua ora». È passato il tempo della predicazione e arriva il tempo del sacrificio […], adesso viene il tempo dell’umiliazione fino alla morte e alla morte di croce. Gesù salirà sull’altare della croce pieno di fiducia nel Padre e di amore per gli uomini […]. La Chiesa celebra nella liturgia il ricordo dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme. I fedeli con le palme nelle mani partecipano alla solenne processione, ascoltano il racconto della Passione del Signore e poi prendono parte all’Eucaristia. Confessano così che sono pronti a partecipare a tutti i misteri di Cristo. Desiderano entrare insieme con Cristo a Gerusalemme, partecipare a tutto ciò che qui avverrà, non fermandosi nemmeno di fronte alla Croce. La processione odierna è anche un’immagine della vita cristiana: con fede e fiducia seguiamo il nostro Redentore diretto verso la Gerusalemme terrestre con la speranza di arrivare alla Gerusalemme celeste dove Gesù è già arrivato.

Commento al Vangelo

… misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato – La folla, ebbra di sangue, dinanzi al triste spettacolo del Figlio dell’Uo-mo, piagato dai flagelli e dalla tortura, invece di provare compassione si mette ad urlare: Crocifiggilo!, Crocifiggilo! (Mc 15,13-14; Lc 23,21; Gv 19,6. 15). Un mistero di ingratitudine che ha accecato mente e cuore di innumerevoli beneficiati dall’amore del divino Prigioniero, e lì presenti nella piazza e che avrebbero dovuto cambiare le sorti dell’iniquo e ingiusto processo.

Crocifiggilo!, il grido, uscito fuori da gole bruciate dalla rabbia e dall’o-dio, denuncia l’ostinato perseguimento di un piano omicida lungamente preparato con estrema lucidità. La morte di Gesù non è un evento che ha colto di sorpresa la Vittima. Non è stato un qualcosa di improvvisato, perché è stato pianificato dal Sinedrio con meticolosa cura: «Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, […] profetizzò che Gesù doveva morire […]. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo» (Gv 11,47ss).

Per il Nuovo Testamento «la passione di Gesù non è casuale, ma guidata da un  dei = deve, di Dio [Mt 16,21par.; Lc 17,12.15; 24,26; At 17,3] e prean­nunciata nell’Antico Testamento [Mc 9,12; Lc 24,26; At 3,18; 1Pt 1,11]. L’a-utore della lettera agli Ebrei può affermare, in analogia con quanto rappresentava il capro espiatorio dell’Antico Testamento [Lv 16,27], che Gesù ha patito fuori della porta di Gerusalemme [13,11-13]. Il “deve” storico-salvifico assume aspetto specificamente soteriologico in quanto la passione di Gesù, vista come sacrificio per i nostri peccati, ha un valore espiatorio [Eb 13,12; 1Pt 2,21, ecc.] che può essere testimoniato con la citazione di Is 53 [cfr. 1Pt 2,22.24 con Is 53,9.5].

Con la passione e morte [Eb 2,9], Gesù diventa per i credenti archègós, ossia il capo della loro salvezza» (B. Gartner).

Fin dagli inizi del ministero pubblico, i farisei, i sadducei e alcuni sostenitori di Erode, si erano accordati per far morire Gesù. Ai loro occhi il Figlio di Maria (Mc 6,3) era reo di bestemmia perché è un uomo che si fa uguale a Dio (cfr. Gv 5,18; 10,33), posseduto da satana, compie miracoli e prodigi in combutta con il principe delle tenebre spacciandoli per segni divini (Mt 12,22-30), falso profeta perché proclama compiute le Scritture (Lc 4,21), crimini religiosi che venivano puniti con la morte.

Lo ricorda in poche righe il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Per certe sue azioni [cacciata di demòni, cfr. Mt 12,24; perdono dei peccati, cfr. Mc 2,7; guarigioni in giorno di sabato, cfr. 3,1-6; interpretazione originale dei precetti di purità della Legge, cfr. Mc 7,14-23; familiarità con i pubblicani e i pubblici peccatori, cfr. Mc 2,14-17], Gesù è apparso ad alcuni malintenzionati sospetto di possessione demoniaca [cfr. Mc 3,22; Gv 8,48; 10,20]. Lo si accusa di bestemmia [cfr. Mc 2,7; Gv 5,18; 10,33] e di falso profetismo [cfr. Gv 7,12; 7,52], crimini religiosi che la Legge puniva con la pena di morte sotto forma di lapidazione [cfr. Gv 8,59; 10,31]» (574).

Gesù ha suscitato scandalo soprattutto per aver identificato «il proprio comportamento misericordioso verso i peccatori con l’atteggiamento di Dio stesso a loro riguardo [cfr. Mt 9,13; Os 6,6]. È arrivato a lasciar intendere che, sedendo a mensa con i peccatori [cfr. Lc 15,1-2], li ammetteva al banchetto messianico [cfr. Lc 15,22-32]. Ma è soprattutto perdonando i peccati, che Gesù ha messo le autorità religiose di Israele di fronte a un dilemma. Costoro non erano nel giusto quando, costernati, dicevano: “Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?” [Mc 2,7]. Perdonando i peccati, Gesù o bestemmia perché è un uomo che si fa uguale a Dio [cfr. Gv 5,18; 10,33], oppure dice il vero e la sua Persona rende presente e rivela il Nome di Dio [cfr. Gv 17,6-26]» (589).

Ma anche il Padre ha pianificato la morte del Figlio per la salvezza dell’uomo, ma per amore: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).

Non le catene, ma l’amore ha tradotto Gesù dinanzi a Pilato: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1).

Solo un cuore riscaldato dall’amore può comprendere il dono che il Cielo in Gesù offre ad un’umanità smarrita. Eppure, come i farisei, gli scribi e i sacerdoti del Tempio di Gerusalemme, anche noi possiamo, accecati dalle passioni, gridare Crucifigge, sconcertante somma di scandalosi peccati contro l’Amore (cfr. Gv 4,8.16).

Bella questa lezione che ci viene dal Catechismo: «Si può peccare in diversi modi contro l’amore di Dio: l’indifferenza è incurante della carità divina o rifiuta di prenderla in considerazione; ne misconosce l’iniziativa e ne nega la forza. L’ingratitudine tralascia o rifiuta di riconoscere la carità divina e di ricambiare a Dio amore per amore. La tiepidezza è una esitazione o una negligenza nel rispondere all’amore divino; può implicare il rifiuto di abbandonarsi al dinamismo della carità. L’accidia o pigrizia spirituale giunge a rifiutare la gioia che viene da Dio e a provare repulsione per il bene divino. L’odio di Dio nasce dall’orgoglio. Si oppone all’a-more di Dio, del quale nega la bontà e che ardisce maledire come colui che proibisce i peccati e infligge i castighi» (2094).

Ingratitudine, tiepidezza, negligenza, accidia, odio, orgoglio…, sopra tutto ingratitudine: «Popolo mio, che male ti ho fatto? In che ti ho provocato? Dammi risposta. – Io ti ho guidato fuori dall’Egitto, e tu hai preparato la Croce al tuo Salvatore. – Perché ti ho guidato quarant’anni nel deserto, ti ho sfamato con manna, ti ho introdotto in paese fecondo, tu hai preparato la Croce al tuo Salvatore. – Che altro avrei dovuto fare e non ti ho fatto? Io ti ho piantato, mia scelta e florida vigna, ma tu mi sei divenuta aspra e amara: poiché mi hai spento la sete con aceto, e hai piantato una lancia nel petto del tuo Salvatore» (Venerdì Santo, Lamenti del Signore I).

A questo punto dobbiamo spostarci dalla piazza e andare sotto la Croce, ed è qui che al nostro cuore viene imposto un serio esame di coscienza.

Riflessione

Svuotò se stesso assumendo una condizione di servo – San Paolo, con i versetti 6-8 dell’inno, sembra voler trascinare il credente indietro nel tempo, costringendolo a spalancare gli occhi su una tragedia consumata in un Giardino. Dio crea l’uomo a sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1,27), lo pone in un giardino perché viva felice. Ma in quel luogo ameno, Adamo, sedotto dal serpente (cfr. Gen 3,1ss), preferisce percorrere una strada che lo avrebbe portato tragicamente lontano da Dio e dalla vita. Da quella disobbedienza ogni male in avvenire assedierà l’umanità intera. Ora, san Paolo, proprio con i versetti dell’inno cristologico, vuol suggerire come Gesù invece preferisce percorrere all’incontrario il cammino di Adamo portando definitivamente Dio prossimo all’uomo. Adamo, per tentazione satanica, benché fosse un uomo, ambisce essere «come Dio» (Gen 2,5). Dando il proprio consenso alla proposta diabolica, diviene causa di rovina per sé e per tutti i suoi discendenti: «Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato» (Rm 5,12). Al contrario, Cristo Gesù, «Dio da Dio, Luce da Luce», «svuota se stesso», divenendo in questo modo via regale di salvezza per tutto il genere umano: «Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti» (Rm 5,18). Gesù «con la sua obbedienza fino alla morte», ci suggerisce il Catechismo della Chiesa Cattolica, «ha compiuto la sostituzione del Servo sofferente che offre se stesso in espiazione, mentre porta il peccato di molti, e li giustifica addossandosi le loro iniquità. Gesù ha riparato per i nostri errori e dato soddisfazione al Padre per i nostri peccati» (615). Quella di Cristo, è la stessa strada che deve percorrere l’uomo, «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5): la strada dell’abbassamento, dell’umiltà, dell’obbedienza alla volontà del Padre. Ed è quanto suggerisce l’apostolo Pietro: «Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme» (1Pt 2,21). Solo imboccando la strada della spogliazione e dell’umiltà l’uomo potrà riconquistare quanto aveva perduto in Adamo. «Che cosa c’è di più umile nel re di tutti gli esseri», si chiede Gregorio di Nissa, «che l’entrare in comunione con la nostra povera natura? Il Re dei re e Signore dei signori si riveste della forma della nostra schiavitù; il giudice dell’universo si sottomette ai giudici terreni; il Signore della creazione nasce in una grotta; colui che abbraccia il mondo intero non ha un luogo dove riposare; il puro incorrotto si riveste del sudiciume della natura umana e, passando attraverso tutte le nostre necessità, giunge fino alla esperienza della morte». Cristo, manifestazione dell’infinita bontà di Dio, accettando, liberamente e gioiosamente, di diventare simile agli uomini si fa Via per l’uomo: in Lui, l’uomo ritrova la strada per ritornare al Padre. Contemplando il suo annientamento, possiamo esclamare senza tema di essere smentiti: il Figlio di Dio, Cristo Gesù, mi ha amato fino alla follia della croce e ha consegnato se stesso alla morte per me (cfr. Gal 2,20). A tanta considerazione ci vuole spingere l’apostolo Paolo.

La pagina dei Padri

Le lodi dei fanciulli – Sant’Efrem (Diatessaron, 18,2): “I fanciulli gridavano e dicevano: Osanna al figlio di David. La cosa spiacque ai sommi sacerdoti e agli scribi, e gli dissero: Non senti ciò che dicono?” (Mt 21,15-16). Visto che le lodi non ti sono gradite, falli tacere.

 Alla sua morte come alla sua nascita, i fanciulli prendono parte alla corona dei suoi dolori. Incontrandolo, Giovanni, ancora “bambino, ha esultato nel seno” (Lc 1,41) di sua madre, e dei bambini furono messi a morte alla sua nascita, e divennero come il vino del suo banchetto nuziale. Furono dei fanciulli a proclamare le sue lodi quando giunse il tempo della sua morte. Alla sua nascita, “Gerusalemme si turbò” (Mt 2,3), e lo fu ancora e “temette” (Mt 21,10), il giorno in cui egli vi entrò. “La cosa spiacque agli scribi e gli dissero: Fermali! Egli rispose loro: «Se essi tacciono grideranno le pietre»” (Lc 19,39-40).

Per cui, essi hanno preferito far gridare i fanciulli, piuttosto che le pietre, poiché al clamore delle creature gli spiriti ciechi avrebbero potuto comprendere. Il clamore delle pietre era riservato al tempo della sua crocifissione (cfr. Mt 27,51-52); infatti, allora, rimasti muti coloro che erano dotati di parola, furono le cose mute che proclamarono la sua grandezza.

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