23 Marzo 2018 – Venerdì, V di Quaresima – (Ger 20,10-13; Sal 17[18]; Gv 10,31-42) – I Lettura: Geremìa denuncia, per ordine di Jahvè, il tradimento del popolo. Il suo indurimento è tale che, non solo non si ravvede, ma si accanisce contro il profeta. Salmo: “Secondo un’interpretazione spirituale, quelli che credono nel Cristo gli offrono questo canto per averli liberati dai nemici, cioè dal principe di questo mondo, spogliato della sua tirannia” (Cirillo Alessandrino). Vangelo: Questo episodio segue al discorso del buon Pastore. Le pecore del gregge di Dio riconoscono la voce del loro padrone: non è la testimonianza dell’uomo a rendere ragione della verità, ma la Parola di Dio resa attuale nell’ope-rato di Gesù.
Cercavano di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani – Dal Vangelo secondo Giovanni: In quel tempo, i Giudei raccolsero delle pietre per lapidare Gesù. Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio». Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: “Io ho detto: voi siete dèi”? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata -, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”, perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre». Allora cercarono nuovamente di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani. Ritornò quindi nuovamente al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui rimase. Molti andarono da lui e dicevano: «Giovanni non ha compiuto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero». E in quel luogo molti credettero in lui.
Riflessione: I Vangeli sono unanimi nel procedere, descrivendo il percorso storico di Gesù, con una doppia e inversa tendenza: da una parte crescono i segni, i miracoli, e quindi le folle che si accalcano, non permettendogli nemmeno di riposare o di mangiare (cfr. Mc 3,20; 6,31); dall’altra parte cresce l’ostilità sia delle guide politiche (cfr. Lc 13,31) che, soprattutto, delle guide religiose. E la Liturgia della Parola, in questi ultimi giorni di Quaresima, ci sta facendo vivere il climax crescente di queste due realtà che da qui a poco vivranno il loro punto massimo: la benevolenza delle folle, con l’ingresso a Gerusalemme, acclamato come re e venerato come sommo profeta al pari di Davide; dall’altra parte la congiura finale dei sinedriti che otterranno l’apparente vittoria con la condanna e la morte in Croce del Cristo. Ecco perché nelle letture evangeliche di questi giorni vengono sottolineati gli scontri sempre più duri tra Gesù e i suoi oppositori: iniziano a vedersi le prime pietre tra le mani pronte ad essere lanciate, iniziano a scorgersi i capannelli di erodiani, farisei e sadducei che, pur divisi e nemici, cercano un comune piano per togliere di mezzo il comune nemico. Uno strano destino quello di Gesù: più è acclamato e più è odiato; più compie opere di bene e più viene ripagato con il male. È il destino di Cristo, ma è anche la storia dei cristiani. Così, per esempio, si esprime Paolo, che comprende tutto questo sulla propria pelle: «In ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio con molta fermezza: nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; con purezza, con sapienza, con magnanimità, con benevolenza, con spirito di santità, con amore sincero, con parola di verità, con potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra; nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama; come impostori, eppure siamo veritieri; come sconosciuti, eppure notissimi; come moribondi, e invece viviamo; come puniti, ma non uccisi; come afflitti, ma sempre lieti; come poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!» (2Cor 6,4-10). Questa è la carta d’identità del cristiano, che ha per foto lo stesso volto del Cristo.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Molti credettero in lui – Paolo VI (Omelia, 13 Febbraio 1974): Le opinioni erano diverse. Segno che la rivelazione che Gesù faceva di se stesso lasciava, sì, trasparire qualche cosa di straordinario, ma non senza ricoprirlo di un velo umano non sempre e non a tutti trasparente. Perfino Maria e Giuseppe «restavano meravigliati delle cose che si dicevano del bambino» Gesù (Lc 2,33); e non tutto comprendevano di quel misterioso fanciullo (Lc 2,50). I suoi stessi concittadini, di Nazareth, lo circondano di stupore e di diffidenza, non riuscendo a rendersi esattamente conto di chi Egli fosse (cfr. Mc 6,2-4). Gesù, si direbbe, ama l’incognito. Tutto il Vangelo di Giovanni è pieno di questo assillante problema circa l’identità essenziale della personalità del Maestro («Si tu es Christus, die nobis palam») (cfr. Gv 10,24); ed intorno a tale problema si stringe il dramma della sua passione, nel duplice processo, religioso e civile, che porta il primo alla sua confessione di Messia, Figlio di Dio, il secondo alla sua ammissione di Re dei Giudei. Poi l’inconcepibile epilogo della sua risurrezione, che supera la comprensibilità stessa dei testimoni immediati, fino a meritare il rimprovero dello stesso Risorto: «O stolti e tardi di cuore a credere ciò ch’era pur preannunciato dai Profeti!» (Lc 24,25). Gesù è mistero. Non lo avremo mai esplorato abbastanza, non mai compreso del tutto. La conoscenza di Lui ha dovuto finalmente risolversi nella fede, cioè in una conoscenza superrazionale; certissima, ma fondata su testimonianze che eccedono in parte un nostro sperimentale controllo; le quali testimonianze hanno però in se stesse la forza di convinzione, perché in fondo sono divine, e esigono da noi quella dilatante maniera di conoscere, con la mente e col cuore, senza tutto capire, perché troppo v’è da capire, che appunto chiamiamo fede.
Il Padre è in me, e io nel Padre – Benedetto XVI (Udienza Generale, 2 Gennaio 2013): Nei quattro Vangeli emerge con chiarezza la risposta alla domanda «da dove» viene Gesù: la sua vera origine è il Padre, Dio; Egli proviene totalmente da Lui, ma in un modo diverso da qualsiasi profeta o inviato da Dio che l’hanno preceduto. Questa origine dal mistero di Dio, “che nessuno conosce”, è contenuta già nei racconti dell’infanzia dei Vangeli di Matteo e di Luca… L’an-gelo Gabriele annuncia: «Lo Spirito scenderà su di te, e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35). Ripetiamo queste parole ogni volta che recitiamo il Credo, la Professione di fede: «et incarnatus est de Spiritu Sancto, ex Maria Virgine», «per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria». A questa frase ci inginocchiamo perché il velo che nascondeva Dio, viene, per così dire, aperto e il suo mistero insondabile e inaccessibile ci tocca: Dio diventa l’Emmanuele, “Dio con noi”.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Gli insegnamenti teorici – «Mosè insegna che all’inizio, “Dio fece il cielo e la terra” (Gen 1,1); egli disse queste parole perché conoscessimo la verità sulla Creazione e sul suo autore. E tutte le altre parole del Racconto della Creazione che sono state trascritte, sono state dette non perché le mettessimo in pratica, quanto piuttosto perché le contemplassimo. L’intera Sacra Scrittura corrobora questo insegnamento. Lo stesso Salvatore, quantomeno, nei Vangeli ora prescrive obblighi da tradurre in pratica, ora fa sapere ciò che occorre conoscere e contemplare. Quando dice, infatti: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore, e troverete riposo alle anime vostre” (Mt 11,29), o ancora: “Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua ogni giorno” (Lc 9,23; cfr. Mt 16,24), egli lo dice perché noi lo si metta in pratica, esattamente come nel caso di: “Siate misericordiosi e troverete misericordia” (Mt 5,7), come pure gli altri avvertimenti del genere. Al contrario, le parole: “Io sono nel Padre e il Padre è in me” (Gv 14,10), oppure: “Il Padre e io siamo una sola cosa” (Gv 10,30), o anche: “Chi vede me, vede il Padre” (Gv 14,9), e del pari le altre rivelazioni inerenti la natura di Dio che si trovano nei due Testamenti, sono state dette e trascritte perché noi le contempliamo ed abbiamo di esse una conoscenza autentica e devota» (Didimo di Alessandria).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Denunciàtelo… Allora cercarono nuovamente di catturarlo – Cristo non promette ai suoi amici una vita comoda, «di prestigio, di benessere; ma vuole l’abnegazione, la rinuncia, il sacrificio. “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23). E per i suoi preannunzia persecuzione. […] Prima di Cristo l’essere perseguitati per la fede era ritenuto un malanno, quasi un segno di disapprovazione da parte di Dio, Cristo ne fa un privilegio» (AA. VV., Riflessione sul Cristo). Senza mezzi termini, i discepoli del Crocifisso sono invitati ad annunciare la Parola con franchezza, mettendo nel bilancio il carcere, la persecuzione, la tortura e anche la morte. Praticamente, il discepolo deve mettere «in conto la possibilità di una morte violenta a causa della sua appartenenza a Gesù. Ancor oggi in tante parti del mondo, la Chiesa rende la sua testimonianza al vangelo, versando il sangue di tanti suoi figli. Cambiano le forme di persecuzione, le violenze, i contrasti, le pressioni sociali, ma rimangono evidenti la contrapposizione e la chiusura ai valori evangelici» (Giuseppe D’Anna). Nella vita della Chiesa la persecuzione non è un fatto casuale ma è scontata in partenza, preannunziata dal Signore Gesù, quasi una nota ecclesiale: «Il martirio rende il discepolo simile al suo maestro che accettò liberamente la morte per salvare il mondo, e lo conforma a lui nell’effusione del sangue; perciò il martirio viene stimato dalla chiesa come dono esimio e prova suprema di carità. Se il martirio viene concesso a pochi, tutti però devono essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce, nelle persecuzioni che non mancano mai alla chiesa» (LG 42). Alla luce di questo insegnamento allora si comprendono le parole del santo Curato d’Ars: «Le persone del mondo si affliggono quando hanno le croci, i cristiani veri si affliggono soltanto quando non ne hanno». I santi nel loro magistero non hanno mai esagerato, anzi…
Santo del giorno: 23 Marzo – San Turibio de Mogrovejo, Vescovo: “Turibio de Mogrovejo (1538-1606) fu chiamato all’episcopato da laico, mentre era giurista all’Università di Salamanca e alla corte di Filippo II di Spagna. Su richiesta di questi Gregorio XIII nel 1580 lo inviò a Lima, in Perù. Aveva 42 anni. Giunse alla sede l’anno dopo e iniziò subito un’intensa attività missionaria. Nei suoi 25 anni di episcopato organizzò la Chiesa peruviana in otto diocesi e indisse dieci sinodi diocesani e tre provinciali. Nel 1591 a Lima sorgeva per sua volontà il primo seminario del continente americano. Incentivò la cura parrocchiale anche da parte dei religiosi e fu molto severo con i sacerdoti proni ai conquistadores. Fu, infatti, strenuo difensore degli indios. Morì tra loro in una sperduta cappellina al nord del Paese. È santo dal 1726” (Avvenire).
Preghiamo: Perdona, Signore, i nostri peccati, e nella tua misericordia spezza le catene che ci tengono prigionieri a causa delle nostre colpe, e guidaci alla libertà che Cristo ci ha conquistata. Per il nostro Signore Gesù Cristo…