20 Marzo 2018 – Martedì, V di Quaresima – (Nm 21,4-9; Sal 101[102]; Gv 8,21-30) – I Lettura: Ancora tanta stanchezza e tanta delusione che fanno germogliare mormorazione e sfiducia. Ancora un castigo terribile, ma Dio è pietoso e lento all’ira, così cede alla preghiera di Mosè e ancora una volta, nel salvare il suo popolo, Dio si mostra padre misericordioso. “A Meneijeh (oggi Timna) si sono rinvenuti parecchi piccoli serpenti di rame che forse erano utilizzati, come quello di Mosè, per proteggersi contro i serpenti velenosi” (Bibbia di Gerusalemme, nota). Salmo: “Non si deve pregare solo nel momento dell’afflizione ma anche prima. Il profeta chiede non di essere dispensato dall’afflizione, il che non è possibile, ma di non essere assorbito da essa” (Eusebio). Vangelo: “Voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo”: con queste parole Gesù svela la sua identità che trascende l’orizzonte terreno perché le sue origini sono oltre il tempo e lo spazio. Ma i Giudei non hanno occhi per vedere al di là del velo della carne del Cristo, perché non hanno fede. Gesù così indica loro un percorso che inevitabilmente dovrà giungere alla sommità del Calvario: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono”. Inchiodato sulla Croce, svelerà a tutti la sua divinità e solo questa grande rivelazione sarà capace di suscitare la fede nel cuore degli uomini. Chi non accetterà questa testimonianza, chi non saprà cogliere il mistero della sua Persona morirà nei suoi peccati; è la morte eterna che porta con sé l’eterna separazione da Colui che è la risurrezione e la vita (cfr. Gv 11,25): “se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati”.
Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono – Dal Vangelo secondo Giovanni: In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire». Dicevano allora i Giudei: «Vuole forse uccidersi, dal momento che dice: “Dove vado io, voi non potete venire”?». E diceva loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati». Gli dissero allora: «Tu, chi sei?». Gesù disse loro: «Proprio ciò che io vi dico. Molte cose ho da dire di voi, e da giudicare; ma colui che mi ha mandato è veritiero, e le cose che ho udito da lui, le dico al mondo». Non capirono che egli parlava loro del Padre. Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite». A queste sue parole, molti credettero in lui.
Riflessione: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono». “Gesù è azione attuante, rivelante e manifestante del Padre, che senza il Figlio diventerebbe inconoscibile e irraggiungibile. La missionarietà rivelatrice, manifestatrice e attuatrice di Gesù è pertanto possibile proprio per la sua natura e ne diventa espressione. Non a caso Giovanni nel suo prologo ce lo presenta come la Parola, che per sua natura ha funzioni di comunicazione e di rivelazione; una Parola che è dall’eternità rivolta verso il Padre (Gv 1,1-2), che in Lei si riflette così che al dire del Padre corrisponde il fare attuativo e rivelativo della Parola (Gen 1,3; Gv 1,3). Per questo Gesù può dire a Filippo: «Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse» (14,9b-11). Ed è proprio questa intima e reciproca compenetrazione del Figlio nel Padre e questi nel Figlio, che consente al Figlio, per la sua peculiare natura, di essere azione e manifestazione del Padre, splendore della sua gloria e impronta della sua sostanza (Eb 1,3a). Una comprensione di un Mistero, come si è detto, che è condizionato dall’innalzamento di Gesù” (G. Lonardi). Gesù è il Verbo eterno, la Parola del Padre che deve essere innalzata perché il popolo comprenda e conosca chi è davvero Gesù Cristo, comprenda e conosca il vero volto di Dio e colui che ce lo ha rivelato. Vogliamo attualizzare questa parola evangelica riflettendo su questo “innalzamento” di Gesù: anzitutto, il primo e diretto significato è l’innalzamento sulla Croce. Possiamo starcene giorni e anni a meditare su Gesù tra i campi, tra la folla, nelle piazze… ma se nella nostra meditazione, nella nostra preghiera, non lo innalziamo e contempliamo dalla Croce non scopriremo mai il suo Volto. Ma dobbiamo anche innalzare Gesù-Parola, come ci suggerisce la Scrittura (Fil 2,15-16; Eb 12,2): tenerla alta nella nostra vita, tendere ad essa, fissando su di essa lo sguardo del nostro agire morale. Cristo si innalzi nei nostri cuori e ci riveli il suo Volto!
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Conoscerete, troverete la risposta… – Giovanni Paolo II (Omelia, 30 Marzo 1982): Cristo dice: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete…”: conoscerete, troverete la risposta a questo interrogativo che ora ponete a me, non fidandovi delle parole che vi dico. “L’innalzare” mediante la Croce costituisce in un certo qual senso la chiave per conoscere tutta la verità, che Cristo proclamava. La Croce è la soglia, attraverso la quale sarà concesso all’uomo di avvicinarsi a questa realtà che Cristo rivela. Rivelare vuol dire “rendere noto”, “rendere presente”. Cristo rivela il Padre. Mediante lui il Padre diventa presente nel mondo umano. “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo” (Gv 8,28). Cristo si richiama al Padre come all’ultima fonte della verità che annunzia: “Colui che mi ha mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui” (Gv 8,26). Ed infine: “Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite” (Gv 8,29). In queste parole si svela davanti a noi quella illimitata solitudine, che Cristo deve sperimentare sulla Croce, nella sua “elevazione”. Questa solitudine inizierà durante la preghiera nel Getsemani – la quale deve essere stata una vera agonia spirituale – e si compirà nella crocifissione. Allora Cristo griderà: “Elì, Elì, lemà sabactàni”, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Ora, invece, come se anticipasse quelle ore di tremenda solitudine, Cristo dice: “Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo…”. Come se volesse dire, in primo luogo: anche in questo supremo abbandono non sarò solo! adempirò allora ciò che “Gli è gradito”, ciò che è la Volontà del Padre! e non sarò solo! – E, inoltre: il Padre non mi lascerà in mano alla morte, poiché nella Croce c’è l’inizio della risurrezione. Proprio per questo, “la crocifissione” diventerà in definitiva la “elevazione”: “Allora saprete che Io sono”. Allora, pure, conoscerete che “io dico al mondo le cose che ho udito da lui”.
Gesù svela il Nome del Padre – CCC 2812: È in Gesù che il Nome del Dio Santo ci viene rivelato e donato, nella carne, come Salvatore: rivelato da ciò che egli È, dalla sua Parola e dal suo Sacrificio. È il cuore della sua preghiera sacerdotale: «Padre santo… per loro io consacro me stesso; perché siano anch’essi consacrati nella verità» (Gv 17,19). È perché egli stesso «santifica» il suo Nome che Gesù ci fa conoscere il Nome del Padre. Compiuta la sua Pasqua, il Padre gli dà «il Nome che è al di sopra di ogni altro nome»: Gesù «è il Signore a gloria di Dio Padre» (Fil 2,9-11).
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: “Dopo aver detto: «Ma colui che mi ha mandato è verace, e voi non lo conoscete», il Signore, per indicare alla gente come conoscere colui che non conoscono, aggiunge: Io sì che lo conosco [Gv 7,29]. Interrogatemi dunque se volete conoscerlo. Come lo conosco? «Io vengo da lui ed è lui che mi ha mandato». Magnifica affermazione con una doppia verità: «io vengo da lui», poiché il Figlio viene dal Padre, e tutto ciò che il Figlio è, lo è per colui del quale è Figlio. Per questo diciamo che il Signore Gesù è Dio da Dio, e non chiamiamo il Padre: Dio da Dio, ma soltanto Dio. Noi diciamo anche che il Signore Gesù è Luce da Luce, e non diciamo del Padre: Luce da Luce, ma soltanto Luce. È questo che il Signore vuol dire quando afferma: «Io vengo da lui»; e se ora mi vedete nella carne «è perché è lui che mi ha mandato». E quando sentite che mi ha inviato, non credete a una differenza di natura, ma all’autorità di colui che mi ha generato” (Sant’Agostino).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo – Il tema dell’esaltazione del Figlio dell’uomo compare in tre passi del Vangelo di Giovanni (cfr. 3,14; 8,28; 12,22-24), e costituiscono l’equivalente giovanneo della triplice predizione della passione del Cristo registrata nei vangeli sinottici (cfr. Mt 16,21; 17,22ss; 20,18ss, e par. in Marco e Luca). Nel IV Vangelo, il verbo innalzare designa l’innalzamento fisico di Gesù sulla croce e, per mezzo di questa stessa croce, l’elevazione o glorificazione di Gesù. Un evento contemplato da san Giovanni come una intronizzazione regale: «la croce è il trono regale di Gesù. Questa elevazione-esaltazione dell’uomo Gesù sulla croce rappresenta la condizione necessaria per il riconoscimento della sua divinità [Gv 8,28]; da quel trono regale infatti Gesù attirerà tutti a sé [Gv 12,32]» (Salvatore Alberto Panimolle). Il richiamo al serpente di bronzo che ci suggerisce la liturgia (cfr. I Lettura) è opportuno per far intendere che ora, nella pienezza del tempo (cfr. Gal 4,4), per ottenere la salvezza bisogna guardare a colui che hanno trafitto (cfr. Zc 12,10; Gv 19,37). Uno sguardo che significa credere nel Figlio unigenito, accogliere la sua Persona e questo vuole dire che la salvezza come la condanna dipendono in definitiva da questa risposta o rifiuto nei confronti del Cristo. Chi non crede è già stato condannato: in un certo senso, si è condannato da sé: «Io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell’ul-timo giorno» (Gv 12,48). Quindi, solo nel Crocifisso v’è la salvezza. È quanto Pietro, pieno di Spirito Santo, con franchezza annunzierà ai capi del popolo d’Israele e agli anziani, irritati per il fatto che l’Apostolo, con Giovanni, insegnava al popolo e annunziava in Gesù la risurrezione dai morti: «In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12).
Santo del giorno: 20 Marzo – San Martino di Braga, Vescovo: “«Si istruì a tal punto nelle lettere che veniva considerato secondo a nessuno nel proprio tempo». È il ritratto scelto da Gregorio di Tours per descrivere il suo contemporaneo Martino. Il santo nasce circa nel 510 in Pannonia (Ungheria) e muore il 20 marzo 579 a Braga (Portogallo). Il suo apostolato sarà in Galizia e in modo particolare nelle regione degli Svevi. Sarà il primo vero evangelizzatore di quella regione europea. Diventerà vescovo di Dumio. Le sue spoglie mortali riposano, dopo varie peregrinazioni nella cattedrale di Braga” (Avvenire).
Preghiamo: Il tuo aiuto, Dio onnipotente, ci renda perseveranti nel tuo servizio, perché anche nel nostro tempo la tua Chiesa si accresca di nuovi membri e si rinnovi sempre nello spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo…