6 Marzo 2018 – Martedì, III di Quaresima – (Dn 3,25.34-43; Sal 24[25]; Mt 18,21-35) – I Lettura: Il profeta Danièle riporta una preghiera di lode e ringraziamento che Azarìa rivolge a Dio. I tre giovani, Danièle, Azarìa e Misaele accusati di non prostrarsi a dèi stranieri furono condannati alla fornace ardente dal re Nabucodònosor. Ma la loro profonda fede riesce a salvarli lasciandoli incolumi dal calore delle fiamme e testimoniando la potenza del Dio di Israele che salva coloro che confidano in lui. Salmo: “Cacciato dal paradiso e pellegrino in terra straniera non posso ritornare da solo perché sbaglio strada. Per tutto il tempo di questa vita mortale, conto sulla tua misericordia, per il mio ritorno” (A-gostino). Vangelo: Quante volte è giusto perdonare? Cristo è venuto ad abolire la vecchia legge che recitava “occhio per occhio e dente per dente”. L’amore che raccomanda ai suoi è permeato da un continuo perdono che spinge ad un amore totale scevro da inutili cavilli e punti di onore. Dopo la morte redentiva di Cristo l’uomo si trova in una situazione nuova: l’uomo è un perdonato. Il debito gli è stato rimesso, la sua condanna cancellata.
Se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello, il Padre non vi perdonerà – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».
Riflessione: Cosa vuol dire “essere in primo luogo uomini di riconciliazione”? Così risponde don Dolindo Ruotolo, sacerdote napoletano morto in concetto di santità, che tanto ha patito e perdonato nella sua lunga vita: “Se il Signore è tanto misericordioso con noi da perdonarci ad un semplice atto di supplicante penitenza, anche noi dobbiamo essere misericordiosi verso chi è debitore verso la società, verso la Chiesa, o verso di noi, di offese o di danni. Gesù condanna assolutamente la spietatezza verso i poveri peccatori, anche se questa spietatezza sembrasse giustificata dalla necessità di conservare l’ordine. La spietatezza non produce alcun bene, soffoca, opprime, toglie la libertà di rinsavire, inasprisce, ottenebra. Bisogna dunque compatire e perdonare, poiché questo è l’esempio che ci da Dio, e questo è il retaggio che Gesù Cristo ha lasciato alla sua Chiesa, perdonando sulla croce anche ai suoi crocifissori. Abbiamo, sì, orrore del peccato, rimproveriamolo, condanniamolo, ma abbiamo misericordia per il peccatore, pensando che anche Dio ci ha usato tante misericordie, assai maggiori di ogni nostra valutazione. Certe forme di zelo spietato non piacciono a Dio, e praticamente non giovano a nulla, poiché la durezza inasprisce e incancrenisce le piaghe. Se invece di essere spietati si pregasse per i poveri traviati, quanti frutti di penitenza si raccoglierebbero nella Chiesa!” (Comm. al Vangelo secondo Matteo XVIII,8). “Non c’è né limite né misura a questo perdono essenzialmente divino (cfr. Mt 18,21-22; Lc 17,3-4). Se si tratta di offese (di peccati secondo Lc 11,4 o di debiti secondo Mt 6,12), in realtà noi siamo sempre debitori: «Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole» (Rm 13,8). La comunione della SS. Trinità è la sorgente e il criterio della verità di ogni relazione” (CCC 2845).
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: La riconciliazione – Giovanni Paolo II (Discorso, 3 Marzo 1984): Essa, sotto certi aspetti, è l’altro nome del sacramento della Penitenza, ma qui non la consideriamo nella sua dimensione strettamente sacramentale, bensì in quella spirituale e sociale. Essa suppone una rottura da riparare e rientra in quel disegno di reciproco perdono, che tesse tutta la trama del Vangelo. Ricorderete l’inquietante interrogativo di Pietro al Maestro divino: “Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte? E Gesù gli rispose: non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette” (Mt 18,21-22). La riconciliazione, presa in questo senso, regola i rapporti degli uomini tra di loro. Qui entra in gioco tutta la vasta e complessa problematica della guerra e della pace, del rancore e del perdono, della concordia familiare e comunitaria; qui trovano soluzione tutti i conflitti del prestigio e dell’onore, dell’odio e dell’egoismo. Sarebbe mera utopia prescindere dal Vangelo, per chi volesse sanare in radice queste e altre questioni che toccano direttamente il cuore dell’uomo. Solo nell’ideale evangelico della carità eroica, che Cristo ha osato proporre ai suoi seguaci, risiede il segreto della vittoria su queste passioni, che avvelenano gli spiriti: “Io anzi vi dico: amate i vostri nemici, fate del bene a chi vi odia, e pregate per quelli che vi hanno perseguitato e vi calunniano” (Mt 5,44). Da qui prende forza e significato la riconciliazione, e da qui deriva pure la sua necessità, per appartenere al regno di Dio.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Il perdono dato è misura della misericordia che otterremo – «“E rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Mt 6,12). O ineffabile clemenza di Dio! Non solo ci ha dato un modello di preghiera e ha stabilito una regola di vita che ci rende a lui accetti, non solo – attraverso la formula insegnataci con la quale ci prescrive di pregarlo sempre – strappa via le radici dell’ira e della tristezza, ma offre a chi prega un’occasione e apre una via a fare su di noi un giudizio indulgente e misericordioso; egli ci dà in certo modo la possibilità di addolcire noi stessi la nostra sentenza, di forzarlo al perdono delle nostre colpe con l’esempio della nostra indulgenza, poiché gli diciamo: “Perdona a noi, come noi perdoniamo agli altri”. Pertanto, fidando in questa preghiera, domanderà perdono con certezza di essere esaudito chiunque si sarà dimostrato remissivo verso i suoi debitori. Verso i suoi debitori, non verso quelli del Signore. Si nota infatti in molti una cosa ancora peggiore: le ingiurie fatte a Dio, per quanto gravissime, ci trovano dolci e pieni di clemenza; ma quando si tratta di offese anche minime fatte a noi, esigiamo una riparazione con severità inesorabile. È certo però che chiunque non avrà perdonato di cuore i torti ricevuti dal fratello, con questa preghiera otterrà per sé non l’indulgenza ma la condanna poiché chiederà lui stesso un giudizio più severo dicendo: “Perdonami come io ho perdonato”. Se sarà trattato secondo la sua domanda, che altro gli potrà toccare se non di venir punito, a suo esempio, con una collera implacabile e una sentenza senza remissione? Se dunque vogliamo essere giudicati benignamente, anche noi dobbiamo mostrarci benigni verso coloro che ci hanno arrecato qualche offesa. Infatti ci sarà perdonato nella misura in cui avremo perdonato loro, qualunque cattiveria ci abbiano fatto. Molti tremano a questo pensiero, e quando in chiesa questa preghiera è cantata in coro da tutto il popolo lasciano passare queste parole senza dirle, per paura di condannarsi con la loro stessa bocca, invece di giustificarsi; e non s’accorgono che queste sono sottigliezze vane, con cui cercano invano di coprirsi agli occhi del Giudice di tutti, il quale ha voluto mostrare in anticipo, a coloro che lo pregano, in che modo li giudicherà. È perché non vuole che lo troviamo severo e inesorabile, lui che ci ha rivelato la regola dei suoi giudizi, affinché noi così giudichiamo i nostri fratelli, qualora abbiano commesso qualcosa contro di noi “poiché il giudizio sarà senza misericordia per colui che non ha usato misericordia” [Gc 2,13]» (Giovanni Cassiano).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Diecimila talenti (circa 340 tonnellate d’oro), è una somma astronomica, un debito che il servo non avrebbe mai potuto pagare. Da qui l’ordine che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito (la norma di estendere la pena alla famiglia del reo non è conosciuta dal diritto veterotestamentario, ma è mutuata dal codice penale ellenistico (cfr. Dn 6,25). Come ultima tavola di salvezza non restava quindi che implorare pietà: la supplica arriva immantinente al cuore del re-padrone il quale ebbe compassione, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Una bella lezione di magnanimità, ma il servo non vuole intenderla e nell’incontrare un pari suo che gli doveva cento denari, ben misera cosa perché l’equivalente di circa mezzo Kg d’argento, non vuol sentire ragione e fa applicare la pena che gli era stata condonata. Ma l’epilogo della parabola stravolge tutto: il servo spietato viene punito perché incapace di perdonare e in questo modo codifica una norma squisitamente cristiana: così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello. Tale sentenza è il più bel commento al Padre nostro e in particolare a quella petizione che ci fa dire rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori (Mt 6,12). Dalle parole di Gesù si esplicita una condizione per essere raggiunti dal perdono del Padre: se perdonerete di cuore, in questo modo la «legge del perdono che Gesù impone ai suoi non si ferma alla superficie, ma raggiunge le profondità più intime dell’essere umano: mente, volontà, sentimento. Il cristiano… deve rivestirsi di tenera compassione, sopportare e perdonare: proprio come il Signore ha perdonato… Se c’è una misura, essa è quella del perdono di Dio: “Siate misericordiosi, come misericordioso è il Padre celeste [Lc 6,36]» (Angelo Lancellotti).
Santo del giorno: 6 Marzo – Santa Coletta Boylet, Vergine: “È nata quando ormai i genitori – il carpentiere Roberto Boylet e sua moglie Caterina – non speravano più di avere figli. L’hanno chiamata Nicoletta (familiarmente Colette) in onore di Nicola di Bari, alla cui intercessione si attribuiva la sua nascita. Colette intraprende la sua complicata esperienza religiosa a 18 anni, dopo la morte dei genitori. E la conclude a 25 su consiglio del francescano Enrico di Baume, tornando fra le Clarisse, perché si sente chiamata alla riforma degli Ordini istituiti da san Francesco. Nel 1406, a Nizza, riceve il velo da Benedetto XIII, che l’autorizza a riformare i monasteri dell’Ordine e a fondarne di nuovi. Per alcuni anni, lei vede fallire gli sforzi di riforma, e solo nel 1410 ha il suo primo monastero rinnovato a Besançon, seguìto poi da altri 16. Colette muore a Gand nel 1447” (Avvenire).
Preghiamo: Non ci abbandoni mai la tua grazia, o Padre, ci renda fedeli al tuo santo servizio e ci ottenga sempre il tuo aiuto. Per il nostro Signore Gesù Cristo…