3 Marzo 2018 – Sabato, II di Quaresima – (Mi 7,14-15.18-20; Sal 102[103]; Lc 15,1-3.11-32) – I Lettura: Il libro del profeta Michèa alterna al suo interno fasi di condanna con altre di speranza e promessa. È la storia del popolo di Israele che, fra alti e bassi, muove il suo cammino di conversione verso Dio. Nel brano odierno il profeta si mette nei panni di Israele ed implora misericordia a Dio in memoria delle sue promesse di salvezza. Salmo: Quanto è in me benedica il suo santo nome… “Tutto il mio intimo. Non crediamo inutile questa distinzione implicita di tutte le parti di noi stessi per applicarle alla lode di Dio: le più piccole parti del nostro corpo sono state stabilite dall’abisso della Sapienza divina in modo che non ci sia in noi nulla di inutile e l’accordo e l’armonia di tutte le nostre più piccole parti contribuisca a lodare Dio e benedirlo. È giusto, dunque, convocare tutto ciò che è in noi” (Eusebio). Vangelo: La parabola del Padre misericordioso rivela il volto buono del Padre che è nei cieli. Nel suo amore lascia liberi i propri figli ma vive nell’ansia continua del loro ritorno. Se Dio è dunque giusto giudice del suo popolo è anche un padre amorevole che non gode della morte del peccatore, ma attende che si converta per dare a lui la vita eterna (cfr. Ez 33,11).
Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Riflessione: Anche oggi vogliamo soffermarci sul tema dell’indifferenza verso il prossimo, che si scontra in modo impietoso con la Misericordia divina: egli, infatti, per noi «non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi» (Rm 8,32). All’indifferenza verso l’amore che il padre nutriva per lui, il figlio minore, desideroso solo di fare ciò che gli garbava, si separa dal padre, appropriandosi di ciò che ancora non gli spettava (cioè l’eredità, essendo il padre ancora vivo) e si allontana: sperpera lontano dalla casa del padre ogni bene, illudendosi di costruire per sè una realizzazione e una felicità a propria misura, indipendente dal padre, inseguendo solo i propri desideri e i propri istinti. Ciò che apparentemente e inizialmente era il sogno della vera gioia, si trasforma da lì a poco in una brutta avventura intrisa di solitudine, fame e disperazione! Anche il figlio maggiore, concentrato solo sul proprio arrivismo, sul desiderio di essere l’amato da tutti e rispettato per le sue azioni di fedeltà, si mostra indifferente alla penosa situazione del fratello, alla sua possibilità di riscatto. Ma anche si mostra indifferente alla gioia del padre, anzi gli si scaglia contro, accusandolo: non perché gli importasse del fratello o della dignità calpestata del padre, ma solo indignato per ciò che lui non ha avuto e per questo pronto a puntare il dito verso tutti, padre compreso («tu non mi hai mai dato un capretto…»)! A tanta indifferenza, che trova le radici profonde in un cuore egoista, concentrato solamente su se stesso e sulle proprie aspettative di felicità, fa da contraltare la figura di questo padre, che diventa l’icona dell’amore disinteressato che si fa misericordia; icona di un voler bene il prossimo che si realizza nella ricerca di comunione; icona di un’attesa che si fa corsa, ora verso il figlio minore che a testa bassa, ferito e umiliato, torna per quella via che lo aveva visto allontanare, ora verso il figlio maggiore, che a testa alta, ferito e orgoglioso, si rifiuta di entrare in quella casa da cui apparentemente professa di non essersene mai allontanato. La rabbia, l’indignazione, il libertinismo, l’arrivismo… e tutto ciò che ci rende sordi e ciechi dinanzi all’amore deve essere bandito dalla nostra vita. Chiediamo a Dio di amare di un amore vero.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Padre ho peccato – Giovanni Paolo II (Omelia, 12 Marzo 2000): […] l’uomo è la sola creatura sulla terra che può stabilire un rapporto di comunione con il suo Creatore, ma è anche l’unica a potersene separare. Purtroppo, di fatto tante volte egli si allontana da Dio. Fortunatamente molti, come il figlio prodigo, del quale parla il Vangelo di Luca, dopo aver abbandonato la casa paterna e dissipato l’eredità ricevuta giungendo a toccare il fondo, si rendono conto di quanto hanno perduto (cfr. Lc 15,13-17). Intraprendono allora la via del ritorno: “Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato…” (Lc 15,18). Dio, ben rappresentato dal padre della parabola, accoglie ogni figlio prodigo che a Lui fa ritorno. Lo accoglie mediante Cristo, nel quale il peccatore può ridiventare “giusto” della giustizia di Dio. Lo accoglie, perché ha trattato da peccato in nostro favore l’eterno suo Figlio. Sì, solo per mezzo di Cristo noi possiamo diventare giustizia di Dio (cfr. 2Cor 5,21).
Riconoscere il proprio peccato – Reconciliatio et Paenitentia 13: Riconoscere il proprio peccato, anzi – andando ancora più a fondo nella considerazione della propria personalità – riconoscersi peccatore, capace di peccato e portato al peccato, è il principio indispensabile del ritorno a Dio. È l’esperienza esemplare di Davide, che dopo “aver fatto male agli occhi del Signore”, rimproverato dal profeta Natan (cfr. 2Sam 11-12), esclama: “Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato; quello che è male ai tuoi occhi io l’ho fatto” (Sal 51,5s.). Del resto, Gesù mette sulla bocca e nel cuore del figlio prodigo quelle significative parole: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te” (Lc 15,18.21).
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te – «Ecco la… confessione della colpa, rivolta al creatore della natura, all’arbitro della misericordia, al giudice del peccato. Sebbene egli sappia tutto, Dio tuttavia attende dalla tua voce la confessione, infatti “è con la bocca che si fa la confessione per la salvezza” [Rm 10,10]. Solleva il peso della propria colpa colui che spontaneamente se ne carica: taglia corto all’animosità dell’accusa chi previene l’accusatore confessando: infatti “il giusto nell’esordio del suo discorso, è accusatore di se stesso”(Pr 18,17). E d’altra parte sarebbe vano tentar di dissimulare qualcosa a colui che su nessuna cosa può trarre in inganno; non rischi niente, a denunziare ciò che sai esser già noto. Meglio è confessare, in modo che per te intervenga Cristo, che noi abbiamo come avvocato presso il Padre [cfr. 1Gv 2,1], per te preghi la Chiesa, e il popolo infine per te pianga. E non aver timore di ottenere. L’avvocato ti garantisce il perdono, il patrono ti promette la grazia, il difensore ti assicura la riconciliazione con l’amore paterno. […] Egli ha un fondamento per intervenire a tuo favore; altrimenti sarebbe morto inutilmente per te. E anche il Padre ha ben ragione di perdonarti, perché ciò che vuole il Figlio lo vuole anche il Padre» (Ambrogio).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Il vero peccato del figlio prodigo: l’apostasia! – Che il giovane chieda e ottenga l’eredità è un fatto insolito, ma tenendo conto della finalità della parabola la richiesta serve a porre l’accento sul peccato del giovane che è paurosamente crescente: all’istanza insana si aggiunge l’allontanamento dalla casa paterna, poi la dissipazione dell’eredità, quindi la fame e il degradante lavoro di porcaio. In questo mestiere, forse, sta celato il vero peccato del giovane avvalorato dal suo grido rivolto al Cielo: «Padre, ho peccato davanti a te», e dal fatto che la parabola è tesa a difendere la benevolenza di Gesù nei confronti dei pubblicani, ritenuti impuri. La Legge faceva distinzione tra animali puri e animali impuri: «Ogni mammifero puro doveva avere l’unghia spaccata ed essere ruminante. Quelli che presentavano solo l’una o l’altra caratteristica erano esclusi, e di essi vengono nominati in modo specifico tre: la lepre, l’irace e il maiale» (George Cansdale). Forse Luca annotando il fatto che il giovane si era adattato per fame a fare il mandriano di porci, cioè di animali impuri, voleva dare al lettore un messaggio molto più forte: quello dell’apostasia del giovane, un peccato molto più grave dello sperpero dell’eredità.
Santo del giorno: 3 Marzo – Santa Camilla di Auxerre, Vergine: “Ericio, monaco di Auxerre vissuto nel sec. IX, nel suo opuscolo sui Miracula S. Germani narra che il corpo del santo vescovo fu accompagnato da Ravenna in Francia da un folto gruppo di fedeli. Tra questi vi erano le cinque vergini sorelle Magnenzia, Pallasia, Camilla, Massima e Porcaria; le prime tre morirono durante il viaggio prima di arrivare ad Auxerre e sulle loro tombe furono edificate delle chiese, ben presto frequentate dal popolo che le venerava come sante. Ad Escoulives, presso Auxerre, esisteva veramente una chiesa dedicata a Camilla, il cui corpo fu poi bruciato dai calvinisti durante le guerre di religione, ma è incerto se la santa sia vissuta al tempo di s. Germano, sia perché nella Vita più antica del santo non si parla delle cinque sorelle, sia perché la notizia di Ericio è in contraddizione con la tradizione riguardante la festa di Camilla. Questa, infatti, è venerata il 3 marzo, mentre secondo Ericio sarebbe morta tra il 31 luglio e il 30 settembre (e più precisamente verso la fine di settembre), cioè tra la morte di s. Germano a Ravenna e la sua sepoltura ad Auxerre. In conclusione, pur ritenendo storica l’esistenza di Camilla, va detto che le sue relazioni con s. Germano furono probabilmente inventate da Ericio per dare maggior lustro al famoso vescovo” (Agostino Amore).
Preghiamo: O Dio, che per mezzo dei sacramenti ci rendi partecipi del tuo mistero di gloria, guidaci attraverso le esperienze della vita, perché possiamo giungere alla splendida luce in cui è la tua dimora. Per il nostro Signore…