febbraio, meditazioni

4 Marzo 2018

Dal libro dell’Èsodo (20,1-17) – La legge fu data per mezzo di Mosè: I comandamenti non pretendono di fissare in modo esauriente e definitivo ciò che bisogna fare o evitare per far piacere a Dio, ma piuttosto intendono delimitare un campo di azione nel quale ciascuno deve operare per il bene di tutti in modo responsabile.

Dal Salmo 18 (19) – Signore, tu hai parole di vita eterna: Il timore del Signore è puro, rimane per sempre: «Non è il timore di perdere i beni temporali, perché per l’anima sarebbe un adulterio l’amarli. Ma la Chiesa teme tanto più di offendere lo sposo quanto più ardentemente lo ama; e questo amore, anche reso perfetto, non caccia il timore, anzi questo rimane per i secoli dei secoli» (Sant’Agostino).

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi (1,22-25) – Annunciamo Cristo crocifisso, scandalo per gli uomini, ma, per coloro che sono chiamati, sapienza di Dio: Con la sua morte il Cristo dona la vita perché siano riaperte le porte del Paradiso chiuse dalla disobbedienza dei nostri progenitori. La croce, quindi, diventa, sotto questa luce, albero di salvezza e vanto della predicazione di Paolo.

Dal Vangelo secondo Giovanni (2,13-25) – Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere: In prossimità della Pasqua ebraica Gesù si reca a Gerusalemme. Di fronte allo spettacolo poco edificante e ancor meno religioso del commercio nel cortile del tempio, Gesù richiama il senso profondo del luogo sacro e dell’attività che vi si deve svolgere. Il gesto compiuto è scandaloso per gli uomini religiosi della città santa, ma Egli risponde con parole enigmatiche, che sono una profezia: “distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”.

Dal Vangelo secondo Giovanni

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

Approfondimento

 Le dieci parole – Il Decalogo (o «dieci parole», cfr. Es 34,28; Dt 4,13;10,4) riassume e proclama la Legge di Dio. Le dieci parole sono conservate sotto due forme: in Dt 20,1-21 in una recensione elohista, e in Dt 5,6-21 in una recensione deuteronomista un po’ diversa. La tradizione elohista è chiamata così perché Dio viene chiamato Elohim. È nata, forse nel 750 a.C. circa, nel regno del nord, dopo che il regno unito di David-Salomone si era diviso in due.

La tradizione deuteronomista, iniziata nel regno del nord e portata a compimento in quello di Gerusalemme, è contenuta soprattutto nel Deuteronomio che è il quinto libro del Pentateuco (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio).

La forma primitiva del Decalogo, che si può far risalire all’epoca mosaica, doveva essere una serie di dieci formule brevi (vedi i precetti V, VI, VII e VIII), ritmate, facili da ritenersi a memoria.

Come suggerisce la Bibbia di Gerusalemme, il Decalogo «copre tutto il campo della vita religiosa e morale. Sono state proposte due divisioni dei comandi: a) vv. 2-3; 4-6; 7; 8-11; 12; 13; 14; 15; 16; 17; e b) 3-6; 7; 8-11; 12; 13; 14; 15; 16; 17a; 17b. La prima, che è quella dei Padri greci, è stata conservata nelle chiese ortodosse e riformate. Le chiese cattolica e luterana hanno adottato la seconda, stabilita da sant’Agostino secondo il Deuteronomio. Il Decalogo è il cuore della legge mosaica».

Le dieci parole conservano tutto il loro valore nella nuova legge: Gesù Cristo ne richiama i precetti ai quali si aggiungono, come il sigillo della perfezione, i consigli evangelici (Mc 10,7-21).

«La sequela di Gesù implica l’osservanza dei comandamenti. La legge non è abolita, ma l’uomo è invitato a ritrovarla nella Persona del suo Maestro, che ne è il compimento perfetto […]. I consigli evangelici sono indissociabili dai comandamenti. Gesù ha ripreso i dieci comandamenti, ma ha manifestato la forza dello Spirito all’opera nella loro lettera […]. Il Decalogo deve essere interpretato alla luce [del] duplice ed unico comandamento della carità, pienezza della Legge. Infatti il precetto: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso. L’amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l’amore [Rm 13,9-10]» (CCC 2053-2055). La polemica di san Paolo contro la legge (vedi la lettera ai Romani e la lettera ai Galati) non tocca questi doveri essenziali verso Dio e verso il prossimo. Ciò che respinge l’Apostolo è il valore delle opere umane per meritare la salvezza senza la fede in Cristo. Infatti, egli ammette con chiarezza che, dopo aver ricevuto la giustificazione per pura grazia, la fede deve essere esercitata dalla carità (1Cor 13,2; Gal 5,6; 1Ts 1,3; 2Ts 1,11) e occorre osservare veramente la legge (Rm 8,4), che per lui è la legge del Cristo e dello Spirito (Gal 6,2; Rm 8,2), la legge dell’amore (Rm 13,8-10; Gal 5,14).

Con i Dieci Comandamenti è bene ricordare i cinque precetti della Chiesa che hanno come fine «di garantire ai fedeli il minimo indispensabile dello spirito di preghiera, della vita sacramentale, dell’impegno morale e della crescita dell’amore di Dio e del prossimo» (Compendio del CCC). Essi sono: «1) partecipare alla Messa la domenica e le altre feste comandate e rimanere liberi dai lavori e da attività che potrebbero impedire la santificazione di tali giorni; 2) confessare i propri peccati, ricevendo il Sacramento della Riconciliazione almeno una volta l’anno; 3) accostarsi al Sacramento dell’Eucaristia almeno a Pasqua; 4) astenersi dal mangiare carne e osservare il digiuno nei giorni stabiliti dalla Chiesa; 5) sovvenire alle necessità materiali della Chiesa, ciascuno secondo le proprie possibilità» (ibidem 432).

Infine, c’è da sottolineare che il Decalogo «costituisce un’unità organica in cui ogni “parola” o “comandamento” rimanda a tutto l’insieme. Trasgredire un comandamento è infrangere tutta la Legge» (CCC 2079).

 

Commento al Vangelo

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei – Questa indicazione potrebbe rivelare una mal celata polemica verso i culti ebraici, specialmente verso la pasqua ebraica definitivamente sostituita con la pasqua cristiana. È il primo riferimento alla Pasqua di Gesù.

Nel Vangelo di Giovanni troviamo tre Pasque (2,13; 6,4; 11,55). Nell’ultima sarà immolato l’agnello di Dio per la salvezza del mondo.

Viene detto che Gesù salì a Gerusalemme, poiché Egli proveniva da Cafarnao (cfr. Gv 2,12), una cittadina posta sotto il livello del mare mentre Gerusalemme è a circa 800 metri sul livello del mare, questa segnalazione geograficamente è esatta.

Il racconto della purificazione del tempio segue il segno delle nozze di Cana, e qui è collocato all’inizio del ministero pubblico di Gesù, mentre Matteo e Marco lo pongono negli ultimi giorni di vita di Gesù. Tale contraddizione è dovuta dal fatto che spesso nel Vangelo di Giovanni l’ordine degli eventi è determinato da temi o motivi teologici più che da dati storici.

Così, Giovanni avrebbe trasposta la disputa sul Tempio all’inizio, perché, mentre nei sinottici questa costituiva il motivo della condanna a morte di Gesù, nel IV vangelo il motivo ultimo di essa è costituito dalla risurrezione di Lazzaro (11,45-12,11).

La purificazione del Tempio, come l’acqua mutata in vino, è un segno, e “rappresenta l’inizio di una nuova economia religiosa, centrata ormai solo sulla persona stessa di Gesù: è lui il nuovo santuario e la fede in lui è il nuovo culto. L’evangelista annota – questa volta in modo esplicito – che solo i discepoli saranno in grado di capire tutto questo, e soltanto dopo la risurrezione” (La Bibbia, Via Verità e Vita).

Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Nel Tempio era fatto divieto agli ebrei di maneggiare monete con l’effige dell’Imperatore, divieto per altro disatteso dai mercanti e dai cambiamonete che in tal modo si arricchivano a dismisura speculando, e spesso truffando, sull’aggio tra le diverse valute circolanti, in particolare modo tra i denari e i sicli.

I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». La citazione è tratta dal Salmo 69,10, un salmo messianico dove si parla della passione e della sofferenza del Cristo che lo zelo di Dio ha divorato, come il profeta Elia (1Re 19,10.14). Il salmo qui allude “probabilmente all’ostilità che si verrà a creare tra Gesù e i Giudei [5,16-18]” (Il Nuovo Testamento, Ed. Paoline)

Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Una polemica che la morte del Maestro non spegnerà, ma che continuerà a strisciare nelle comunità cristiane: “… mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso” (1Cor 1,22).

Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». I Giudei non afferrano il vero significato delle parole di Gesù per cui non possono non restare che beffardamente stupiti della sua pretesa di poter realizzare in tre giorni un’opera per la quale c’erano voluti ben quarantasei anni. L’equivoco, soggiacente alle parole di Gesù, annuncia una verità sconvolgente e che rivoluzionerà per sempre i destini dell’u-manità: la morte e la risurrezione del «Figlio di Maria» (Mc 6,3) distruggeranno per sempre l’impero di Satana liberando l’uomo dal potere del peccato e della morte.

Il verbo greco, egheiro (lo farò risorgere), che troviamo nella frase è lo stesso usato per indicare la risurrezione di Gesù. Se negli altri testi del Nuovo Testamento è Dio che fa risorgere Gesù, nel Vangelo di Giovanni è Gesù ad avere il potere di risorgere: Figlio di Dio (cfr. Mc 1,1), Cristo Gesù, come il Padre risuscita i morti e dona la vita a chi vuole (cfr. Gv 5,21). Egli è la risurrezione e la vita, chi crede in lui, anche se muore, vivrà (cfr. Gv 11,25). Gesù ha il potere di dare la vita e di riprenderla di nuovo (cfr. Gv 10,17-18). Se nell’episodio della purificazione del Tempio, l’attestazio-ne della divinità di Gesù è discreta e alquanto velata, questa si farà sempre più chiara con l’incalzare degli eventi tanto da entrare tra i capi d’accusa contro il giovane Rabbi di Nazaret: i Giudei cercavano di ucciderlo: «perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio» (Gv 5,18).

L’espressione tre giorni indica un periodo di tempo breve ma indefinito (cfr. Os 6,2).

Approfittando quindi di un equivoco verbale, Gesù conduce i suoi interlocutori alla realtà del suo corpo che sarà distrutto dalla morte e fatto risorgere dalla potenza di Dio il giorno di Pasqua. E ad evitare ulteriori equivoci, l’annotazione giovannea, ma egli parlava del tempio del suo corpo, toglie definitivamente ogni fraintendimento nell’interpretazione del segno offerto da Gesù, il quale si presenta come il vero Tempio di Dio (cfr. Gv 1,14), cioè come la presenza di Dio tra gli uomini.

Credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù, un inciso da mettere in evidenza perché qui “la parola di Gesù è messa sullo stesso piano della Scrittura. Lui infatti è la Parola diventata carne: anche le parole della Scrittura si capiscono da ciò che avviene nella sua carne, che passa dalla morte alla vita, realizzando ogni promessa di Dio. Ancora oggi ci parla dalla sua carne, che sono i suoi fratelli più poveri. C’è sempre il pericolo di fare della sua Parola un feticcio del passato, senza accorgerci che ci parla «ora». Questo diverso modo di concepire la Parola fa la differenza fra gli scribi e i profeti” (Silvano Fausti, Una comunità legge il vangelo di Giovanni, EDB).

Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo. Molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome: alla fede dei neo convertiti non corrisponde la fiducia di Gesù proprio perché, come annota l’evangelista, la loro fede era basata sui segni. Praticamente, una fede in «Gesù taumaturgo. Gesù conosce il cuore dell’uomo [1,42-27; 6,70-71] e perciò non si fida di questa fede, anche se essa alle volte può arrivare alla perfezione, come accadde al cieco nato e allo stesso Nicodemo, che viene ovviamente considerato uno di coloro che credettero in Gesù per i segni da lui operati» (Giuseppe Segalla).

 Riflessione

 Allora fece una frusta di cordicelle… – Gesù si svela ai nostri occhi come modello di fortezza e di coraggio. Virtù quest’ultime necessarie sopra tutto oggi. Il Concilio Vaticano II ammonisce i vescovi, successori degli Apostoli e pastori del gregge di Cristo di compiere il loro ministero in santità e generosità, in umiltà e fortezza, ad imitazione di Gesù sommo ed eterno Sacerdote (LG 41). Anche gli aspiranti al sacerdozio devono essere formati alla fortezza d’animo (OT 11). Allo stesso modo la vita religiosa deve favorire la virtù della fortezza (PC 5).

La fortezza cristiana però è particolarmente necessaria ai missionari e ai laici, i quali devono rendere testimonianza al vangelo in luoghi spesso ostili al messaggio di Cristo: “Annunziando il Vangelo alle genti, l’inviato deve far conoscere con fiducia il mistero del Cristo, del quale è ambasciatore, e avere in lui, il coraggio di parlare, quando è necessario, senza arrossire dello scandalo della croce. Seguendo l’esempio del suo maestro, mite e umile di cuore, deve dimostrare che il suo giogo è soave e il suo peso leggero. Vivendo autenticamente il Vangelo, con la pazienza, con la longanimità, con la benignità, con la carità sincera, egli deve rendere testimonianza al suo Signore fino a spargere, se necessario, il suo sangue per lui. Egli chiederà a Dio virtù e fortezza, per riconoscere come sia proprio nella lunga prova della tribolazione e della povertà profonda che risiede l’abbondanza della gioia” (AG 24; cfr. AA 17). Al di là di queste indicazioni che investono tutta la Chiesa, noi dobbiamo avere il coraggio di rivolgerci alcune domande: siamo animati dalla stessa fortezza di Cristo? Sappiamo andare contro corrente? In un mondo sempre più pagano nella fede e nei costumi, siamo capaci di ribellarci alle mode del nostro tempo, tutt’altro che conformi ai valori evangelici? In una società sempre più parolaia abbiamo il coraggio di opporci alle idee e alle usanze dominanti ai nostri giorni? Se non siamo capaci di porci queste domande e di dare una risposta, allora vuol dire che stiamo nel Tempio non come testimoni, ma come infiltrati, venditori di pecore e di buoi, astuti soci dei traffici dei cambiamonete.

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