13 Febbraio 2018 – Martedì, VI del Tempo Ordinario – (Gc 1,12-18; Sal 93[94]; Mc 8,14-21) – I Lettura: Giacomo, nei versetti della prima lettura di oggi, vuole sottolineare che la vita cristiana non preserva da problemi e disagi terreni di vario genere, ma garantisce la forza per affrontarli. In più si aggiunge la nostra concupiscenza che ci fa tendere a peccare, sottolineando che sono le passioni interne dell’uomo a produrre le tentazioni. Salmo: “Io obbedisco e credo, Signore: i pensieri degli uomini sono vani. Si deve attingere alla sorgente della tua sapienza e perciò essere istruiti da te. Tu ci ammaestri con le divine Scritture e noi vi troviamo anche la consolazione nelle sventure di questo mondo” (Eusebio). Vangelo: Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!: l’evangelista Matteo (16,12) interpreta il lievito dei farisei come l’insegnamento dei farisei e dei sadducei e Luca (12,1) come la loro ipocrisia. Alla base di entrambe le interpretazioni possiamo pensare che originariamente il detto deve essere stato riferito all’atteggiamento ostile dei farisei e dei sadducei nei confronti di Gesù e del suo messaggio. Le parole di Gesù però non vengono comprese dai discepoli: la preoccupazione per il cibo materiale impediva loro di comprendere che Gesù, che da poco aveva nutrito le folle operando un miracolo, era il Messia atteso dai Profeti, il vero Pane disceso dal Cielo in grado di nutrirli con il pane della vita.
Guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode – Dal Vangelo secondo Marco: In quel tempo, i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un solo pane. Allora Gesù li ammoniva dicendo: «Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!». Ma quelli discutevano fra loro perché non avevano pane. Si accorse di questo e disse loro: «Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Dodici». «E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Sette». E disse loro: «Non comprendete ancora?».
Riflessione: «Avete il cuore indurito?». Questa amara affermazione giunge in un tempo quanto mai opportuno: oggi si conclude la prima parte del Tempo Ordinario per lasciare, da domani, spazio ai Tempi Forti di Quaresima e di Pasqua. E tutto inizierà, domani, con il rito delle Sacre Ceneri in cui risuonerà il solenne invito alla conversione: «Oggi, se ascoltate la sua voce, non indurite il vostro cuore!» (Sal 95,8). Concludiamo quindi con questo amorevole lamento di Gesù circa il cuore indurito, per riprendere domani proprio dalle conseguenze che il cuore indurito, e quindi aperto al peccato, ha avuto nella storia della Salvezza: la Passione, morte e Risurrezione di Gesù. Avere il cuore indurito significa non essere attenti alla presenza di Dio nella nostra vita, non esserne riconoscenti, non vivere nella gioia della comunione con lui, non sentirne i passi, non avvertirne la luce, non seguirlo nel cammino, non intenderlo nel suo messaggio, non viverne i sentimenti, non aprirsi alla grazia, non mettersi a servizio dei suoi progetti di salvezza… Un cuore indurito è un cuore chiuso, buio, cieco, sordo, ostinatamente inattaccabile. Ma Gesù non si arrende e con una divina pazienza cerca di scuotere questi cuori duri, cerca di raggiungerli, di farli ragionare. E lo fa con un metodo che potrebbe essere un’ottima indicazione anche per noi: il fare memoria! Ricordando loro il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, li mette dinanzi ad una realtà che non necessita di fede ma soltanto di memoria. Come ebbe a dire in altre occasioni: «Anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre» (Gv 10,38). E la memoria più bella e viva la troviamo nelle Scritture che sono il canto dell’amore di Dio per noi. “La Scrittura, letta spiritualmente, avvalora il sospetto della nostra personale ingiustizia, mettendoci di fronte a Cristo. Alla sua presenza il sospetto matura nella certezza, e questa nella compunzione del cuore, che ci smuove alla sequela e quindi alla salvezza, mettendoci in cammino” (S. Fausti). Siamo duri di cuore quando supponiamo, come i farisei, di essere giusti; siamo duri di cuore, quando pensiamo che il pane che sazia sia frutto nostro e non della grazia.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Guardatevi dal lievito dei farisei – Giovanni Paolo II (Omelia, 20 ottobre 2000): Nella pagina di Vangelo proclamata poco fa Gesù mette in guardia i discepoli dall’assu-mere atteggiamenti ipocriti, illudendosi di poter mascherare cose non buone sotto un’onesta apparenza. Il Signore ci ricorda che tutto è destinato a venire alla luce, anche le cose nascoste e segrete.
Guardatevi dal lievito dei farisei – Giovanni Paolo II (Omelia, 15 Ottobre 1999): “Ho detto: confesserò al Signore le mie colpe” (Sal 31,5). Il Salmo […] sottolinea la consapevolezza sia della impossibilità di raggiungere Dio con le nostre sole forze sia della nostra condizione di peccatori. È a partire dalla presa di coscienza della sua lontananza da Dio che la persona umana si pone alla ricerca dell’incontro con Lui e si apre all’azione della grazia. Attraverso la fede, l’uomo accoglie la salvezza che il Padre gli offre in Gesù Cristo. Veramente beato è l’uomo a cui il Signore dona la salvezza […] il cuore di chi è in pace con Dio trabocca di gioia: “Gioite nel Signore ed esultate, giusti, giubilate voi tutti, retti di cuore” [Sal 31,11]. A questa sincera confessione dei propri peccati e alla necessità di aprirsi all’azione di Dio fa riferimento la prima parte dell’odierno brano evangelico. La durezza nel non riconoscere le proprie colpe e l’inca-pacità di accogliere il dono di Dio vengono definite da Gesù “lievito dei Farisei”: “Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia” [Lc 4,1]. Con queste parole Gesù stigmatizza non soltanto l’atteggiamento di falsità e la ricerca delle apparenze, ma la presunzione di essere in se stessi giusti, che preclude ogni possibilità di autentica conversione e di fede in Dio. L’atto di fede considerato nella sua integralità deve necessariamente tradursi in atteggiamenti e decisioni concrete. In tal modo diventa possibile superare l’apparente contrapposizione tra la fede e le opere. Una fede intesa in senso pieno non rimane un elemento astratto, avulso dalla vita di ogni giorno, ma coinvolge tutte le dimensioni della persona, compresi gli ambiti esistenziali e gli aspetti esperienziali della sua esistenza.
Guardatevi dal lievito dei farisei – CCC 579-580: Il principio dell’integralità dell’osservanza della Legge, non solo nella lettera ma nel suo spirito, era caro ai farisei. Mettendolo in forte risalto per Israele, essi hanno condotto molti Ebrei del tempo di Gesù a uno zelo religioso estremo. E questo, se non voleva risolversi in una casistica “ipocrita”, non poteva che preparare il Popolo a quell’inaudito intervento di Dio che sarà l’osservanza perfetta della Legge da parte dell’unico Giusto al posto di tutti i peccatori. L’adempimento perfetto della Legge poteva essere soltanto l’opera del divino Legislatore nato sotto la Legge nella Persona del Figlio. Con Gesù, la Legge non appare più incisa su tavole di pietra ma scritta nel “cuore” (Ger 31,33) del Servo che, proclamando “il diritto con fermezza” (Is 42,3), diventa l’“Al-leanza del Popolo” (Is 42,6). Gesù compie la Legge fino a prendere su di sé “la maledizione della Legge” (Gal 3,13), in cui erano incorsi coloro che non erano rimasti fedeli “a tutte le cose scritte nel libro della Legge” (Gal 3,10); infatti la morte di Cristo intervenne “per la redenzione delle colpe commesse sotto la Prima Alleanza” (Eb 9,15).
Il lievito – CCC 2832: Come il lievito nella pasta, così la novità del Regno deve «fermentare» la terra per mezzo dello Spirito di Cristo. Deve rendersi evidente attraverso l’instaurarsi della giustizia nelle relazioni personali e sociali, economiche e internazionali; né va mai dimenticato che non ci sono strutture giuste senza uomini che vogliono essere giusti.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Non intendete e non capite ancora? – «Davvero, o Signore, è luce inaccessibile quella in cui tu abiti. Io non la vedo, perché è troppa per me, e tuttavia tutto quello che vedo, lo vedo per mezzo di essa: come l’occhio infermo, ciò che vede lo vede per mezzo della luce del sole, però non vede nel sole stesso. Il mio intelletto non può nulla rispetto ad essa. Splende troppo, non la comprende e l’occhio dell’anima mia non sopporta di guardare a lungo in essa. È abbagliato dallo splendore, è vinto dall’immensità, è confuso dalla grandezza. O luce somma e inaccessibile, o verità intera e beata, quanto sei lungi da me che ti sono tanto vicino! Quanto sei remota dal mio sguardo, mentre io sono così presente al tuo! Tu sei presente tutta dovunque e io non ti vedo. Mi muovo in te, sono in te e non posso raggiungerti. Sei dentro di me e attorno a me e non arrivo a ‘coglier-ti’» (Sant’Anselmo d’Aosta).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: “La causa dello scontro tra Gesù ed i discepoli non era dovuta a cattiva volontà da parte loro. I discepoli non erano come i farisei. Anche loro non capivano, ma in loro c’era malizia. Si servivano della religione per criticare e condannare Gesù [Mc 2,7.16.18.24; 3,5.22-30]. I discepoli erano buona gente. Non avevano cattiva volontà. Poiché, pur essendo vittima del “lievito dei farisei e degli erodiani”, non interessava loro difendere il sistema dei farisei e degli erodiani contro Gesù. E allora qual era la causa? La causa dello scontro tra Gesù e i discepoli aveva a che fare con la speranza messianica. Tra i giudei c’era un’enorme varietà di aspettative messianiche. Secondo le diverse interpretazioni delle profezie, c’era gente che aspettava un Messia Re [cfr. Mc 15,9.32]. Altri, un Messia Santo o Sacerdote [cfr. Mc 1,24]. Altri, un Messia Guerriero sovversivo [cfr. Lc 23,5; Mc 15,6; 13,6-8]. Altri, un Messia Dottore [cfr. Gv 4,25; Mc 1,22.27]. Altri, un Messia Giudice [cfr. Lc 3,5-9; Mc 1,8]. Altri, un Messia Profeta [Mc 6,4; 14,65]. Ma sembra che nessuno aspettasse un Messia Servo, annunciato dal profeta Isaia [Is 42,1; 49,3; 52,13]. Loro non si aspettavano di considerare la speranza messianica come servizio del popolo di Dio all’umanità. Ognuno, secondo i suoi propri interessi e secondo la sua classe sociale, aspettava il Messia, volendo ridurlo alla propria speranza. Per questo, il titolo Messia, secondo la persona o la posizione sociale, poteva significare cose assai diverse. C’era un’enorme confusione di idee! E proprio in questo atteggiamento di Servo si trova la chiave che accende una luce nell’oscurità dei discepoli e li aiuta a convertirsi. Solamente accettando il Messia come il Servo Sofferente di Isaia, loro saranno capaci di aprire gli occhi e di capire il Mistero di Dio in Gesù” (www.carmelitani.it).
Santo del giorno: 13 Febbraio – San Paolo Liu Hanzuo, Sacerdote e martire: Paolo Liu Hanzuo fu un sacerdote del vicariato apostolico di Sichuan. Dopo l’ordinazione sacerdotale, s’impegnò a prendersi cura del popolo a lui affidato come aveva fatto con il gregge della sua famiglia. Si consegnò a coloro che erano venuti a imprigionarlo dopo aver chiesto loro di poter terminare la celebrazione della Messa. Morì per strangolamento il 13 febbraio 1818. Incluso nell’elenco dei 120 Martiri Cinesi, è stato canonizzato da san Giovanni Paolo II il 1° ottobre 2000.
Preghiamo: O Dio, che hai promesso di essere presente in coloro che ti amano e con cuore retto e sincero custodiscono la tua parola, rendici degni di diventare tua stabile dimora. Per il nostro Signore Gesù Cristo…