Ahò, l’ha detto e l’ha fatto. Laura Mesi, istruttrice di fitness di Lissone (nuova provincia di MB, Monza & Brianza), si è sposata con se stessa. Sì, uno di Napoli l’ha fatto prima di lei, ma lei ha tenuto a precisare di averci pensato prima. Due anni fa aveva trentotto anni e si è detta: se a quaranta ancora non ho trovato l’anima gemella faccio da me, self-marriage. E l’ha fatto davvero, con tanto di abito bianco, bomboniere, torta e cerimonia del taglio, lancio del bouquet nuziale di spalle (chissà chi l’ha preso: rischia un matrimonio single pure lei; in altri tempi si sarebbe detto «restare zitella»). Invitati commossi.
NIENTE PRETE, PER OVVIE RAGIONI
Nemmeno il sindaco o equipollente funzionario comunale: la legge non riconosce (ancora) simili stravaganze, ma se si diffonde la moda stiamo sicuri che qualche Cirinnà della situazione si attiverà perché il Legislatore prenda atto di un «cambiamento nel costume» e di un «fenomeno ormai diffuso». La neo self-sposa ha dichiarato a «Repubblica.it» che le chiedeva spiegazioni: «Credo fermamente che ciascuno di noi debba innanzi tutto amare se stesso. Si può vivere una fiaba anche senza il principe azzurro». Ahò, e se lo dice lei… La domanda numero due («Scusi, come si fa a vivere un fiaba da soli?») non le è stata posta, perciò arrestiamoci al quia.
Un tempo si diceva, lamentandosene: «ahimè, sono solo come un cane». Sì, perché era il timore della solitudine a spingere la gente a cercare di coniugarsi. Prima o poi viene la vecchiaia, per tutti, e da soli non ci se la cava: chi ci assiste quando siamo malati? L’Asl? Seeeh, vai a fare la fila con la febbre? Ma sprecherei il mio tempo se elencassi tutti i vantaggi pratici (che non sono i soli) del coniugio, motivo per cui tutti ci tengono tanto, perfino i preti e gli omosessuali. No, cercheremo di capire le motivazioni della signorina (pardon, adesso signora) Mesi, felicemente (si fa per dire) autosposatasi.
Temiamo che si tratti del solito, ormai trito, warholiano «quarto d’ora di celebrità». Infatti, la neoautosposa l’ha avuto. Scarsino, ma effettivo. Sì, perché per leggere l’articolo che «Repubblica.it» ha dedicato al suo evento nuziale ci vuole meno del classico quarto d’ora. Diciamo, allora, dieci-cinque minuti di celebrità. Pagati piuttosto carucci: l’articolo parla di diecimila euro per abito, pranzo catering, prenotazione sala e doppio anello intrecciato. Gran parte della somma è stata raccolta tramite i regali di «nozze» e, dice l’articolo, c’è stato pure chi ha avuto il coraggio di commuoversi.
SOLO STRANEZZE?
«Ma la sposa garantisce che le emozioni provate sono state assolutamente reali: “Ho promesso di amarmi per tutta la vita e di accogliere i figli che la natura vorrà donarmi.”». Pure questi self-made? Boh. «Anche i miei familiari sono stati molto felici – continua la sposa – compreso mio fratello che all’inizio era scettico sulla mia idea e invece poi ha finito per commuoversi accompagnandomi verso il celebrante». Be’, almeno all’inizio era scettico; chissà che cosa, poi, lo ha convinto. Settanta invitati, chissà quanti almeno inizialmente scettici.
Ma poi, si sa com’è, l’entusiasmo è contagioso. Ammette la protagonista della vicenda: «Per portate avanti un progetto del genere servono una certa disponibilità economica, il sostegno di chi si ha intorno e soprattutto un pizzico di follia». Il terzo requisito, però, è un portato dei tempi, perché in certe follie c’è del metodo. Viviamo in un’epoca in cui le «unioni civili» permettono comportamenti che solo qualche anno fa sarebbero stati giudicati piuttosto maluccio. Oggi, invece, l’ossessiva attenzione su queste tematiche e la martellante propaganda Lgbt inducono a catalogare come, al massimo, stranezze, matrimoni same-sex, a tre o più, e quant’altro la fantasia umana riesce a escogitare. Perciò, la signora di Lissone, spiacenti, ma non è riuscita ad essere originale. Ormai, specialmente in tema di sesso, non ci stupisce più niente. Anche il Guinness dei Primati se ne frega. Insomma, diecimila euro che avrebbero potuto trovare più utile impiego.