marzo, meditazioni

21 MARZO 2020 – SABATO, III DEL TEMPO DI QUARESIMA

I Lettura: Il profeta Osèa “immagina una liturgia di penitenza, la cui terminologia è forse ripresa da qualche cerimonia espiatoria. Il popolo, spaventato dall’annuncio del castigo e dell’abbandono del Signore (Os 5,14-15), è esortato a ritornare a lui. Ma questo ritorno è effimero, senza conversione interna” (Bibbia di Gerusalemme).

Vangelo: Il valore della preghiera non dipende dalla sua prolissità, ma dalle disposizioni del cuore. La preghiera del povero, spoglia di arroganza e di sedicenti meriti, penetrando le nubi arriva fino al cuore di Dio che è pronto ad intervenire per rendere soddisfazione ai giusti e ristabilire l’equità.

Il pubblicano tornò a casa sua giustificato, a differenza del fariseo – Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa

Il messaggio della parabola del fariseo e del pubblicano – Veritatis Splendor 104: Mentre è umano che l’uomo, avendo peccato, riconosca la sua debolezza e chieda misericordia per la propria colpa, è invece inaccettabile l’atteggiamento di chi fa della propria debolezza il criterio della verità sul bene, in modo da potersi sentire giustificato da solo, anche senza bisogno di ricorrere a Dio e alla sua misericordia. Un simile atteggiamento corrompe la moralità dell’intera società, perché insegna a dubitare dell’oggettività della legge morale in generale e a rifiutare l’assolutezza dei divieti morali circa determinati atti umani, e finisce con il confondere tutti i giudizi di valore. Dobbiamo, invece, raccogliere il messaggio che ci viene dalla parabola evangelica del fariseo e del pubblicano (cfr Lc 18,9-14). Il pubblicano poteva forse avere qualche giustificazione per i peccati commessi, tale da diminuire la sua responsabilità. Non è pero su queste giustificazioni che si sofferma la sua preghiera, ma sulla propria indegnità davanti all’infinita santità di Dio: “O Dio, abbi pietà di me peccatore” (Lc 18,13). Il fariseo, invece, si è giustificato da solo, trovando forse per ognuna delle sue mancanze una scusa. Siamo così messi a confronto con due diversi atteggiamenti della coscienza morale dell’uomo di tutti i tempi. Il pubblicano ci presenta una coscienza “penitente”, che è pienamente consapevole della fragilità della propria natura e che vede nelle proprie mancanze, quali che ne siano le giustificazioni soggettive, una conferma del proprio essere bisognoso di redenzione. Il fariseo ci presenta una coscienza “soddisfatta di se stessa”, che si illude di poter osservare la legge senza l’aiuto della grazia ed è convinta di non aver bisogno della misericordia.

Due uomini salirono al tempio a pregare – CCC 2559: «La preghiera è l’elevazione dell’anima a Dio o la domanda a Dio di beni convenienti». Da dove partiamo pregando? Dall’altezza del nostro orgoglio e della nostra volontà o «dal profondo» (Sal 130,1) di un cuore umile e contrito? È colui che si umilia ad essere esaltato. L’umiltà è il fondamento della preghiera. «Nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare» (Rm 8,26). L’umiltà è la disposizione necessaria per ricevere gratuitamente il dono della preghiera: l’uomo è un mendicante di Dio

Tornò a casa sua giustificato – Giovanni Paolo II (Omelia, 11 febbraio 1984): La misericordia di Dio, mediante il perdono, cancella il peccato, ma non toglie la necessità di compensare l’amore divino offeso mediante un’opera espiatrice fondata sulla carità e sul valore infinito dei meriti di Cristo. Il valore dell’indulgenza trae proprio da questo principio la sua ragion d’essere. Il peccato è stato perdonato, ma resta pur sempre una pena da scontare: e l’indulgenza ci aiuta appunto in questo. Essa pero non è il solo aiuto, ma esiste anche un altro mezzo necessario ed efficacissimo per riparare i nostri peccati: il compimento delle opere di misericordia, secondo il chiarissimo insegnamento del Vangelo: noi potremo ottenere misericordia nella misura in cui avremo donato misericordia.

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa

Dio non preferisce il peccatore a chi non ha peccato – “Dato che egli aggiunge: «Perché dunque questa preferenza accordata ai peccatori?» e cita opinioni analoghe, per rispondere dirò: il peccatore non è assolutamente preferito a chi non ha peccato. Capita che un peccatore che ha preso coscienza della sua colpa, e per tal motivo progredisce sulla via della conversione umiliandosi per i suoi peccati, venga preferito ad un altro che si riguarda come meno peccatore, e che, lungi dal credersi peccatore, si gonfia di orgoglio per certe qualità superiori che crede di possedere. È quel che rivela a chi legge lealmente il vangelo la parabola del pubblicano che dice: «Abbi pietà di me peccatore», mentre il fariseo, con sufficienza perversa, si gloriava dicendo: Ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri, e neppure come quel pubblicano». Gesù, infatti, conclude il suo discorso sui due uomini: «Il pubblicano scese a casa sua giustificato, al contrario dell’altro, poiché chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» [Lc 18,13; 1,14]. Siamo ben lontani, perciò, «dal bestemmiare Dio e dal mentire», insegnando ad ogni uomo, chiunque esso sia, a prendere coscienza della propria umana piccolezza in rapporto alla grandezza di Dio, e a chiedere incessantemente ciò che manca alla nostra natura a colui che solo può colmare le nostre insufficienze” (Origene).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia

«O Dio, abbi pietà di me peccatore». Con la parabola del fariseo e del pubblicano che salgono al tempio, Gesù non ci dice solo come pregare, ma ci suggerisce come vivere. Il differente atteggiamento religioso visibile nei due oranti evidenzia come lo stile della preghiera e del nostro rapporto con Dio riveli il nostro stare in relazione con noi stessi e con gli altri. Il fariseo resta in piedi, davanti a se stesso, sicuro di sé e dei meriti delle sue buone — davvero buone — azioni, forte della solidità del suo cammino spirituale e della sua coerenza di vita. Egli confida in se stesso, non manca di nulla. Neanche la sua preghiera può fare spazio a Dio e ai fratelli e, paradossalmente, diviene luogo di separazione dal Padre e dai fratelli. L’amore, per lui, si esaurisce in se stesso, tutto ciò che è altro risulta indegno d’amore, disprezzabile. Il pubblicano invece si ferma a distanza, non osa neppure alzare gli occhi al cielo, accusa se stesso e invoca il perdono di Dio. La sua preghiera è rivolta a un tu: c’è lo spazio per l’incontro. Il pubblicano, consapevole della sua lontananza da Dio, non ripone la sua fiducia nel proprio io né nelle opere di giustizia compiute: si presenta davanti al Signore così com’è, confidando nella gratuità e nella misericordia di Dio, dal quale sa che, solo, può giungere il dono della salvezza. La preghiera è per noi uno specchio: da come preghiamo possiamo capire come viviamo e viceversa. Riscopriamo la preghiera come luogo in cui lasciarsi educare all’umiltà, ovvero ad una relazione vera, autentica, giusta, con Dio, con se stessi, con gli altri.      (Da Lectio Brevis, Clarisse di Cortona)

Preghiamo

O Dio, nostro Padre, che nella celebrazione della Quaresima ci fai pregustare la gioia della Pasqua, donaci di approfondire e vivere i misteri della redenzione per godere la pienezza dei suoi frutti. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

 

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