I Lettura: Quasi introduzione all’intero libro di Isaìa, nel cap. 1 vengono anticipate le tematiche fondamentali che saranno poi riprese e sviluppate: all’amore fedele di Dio il popolo risponde con l’infedeltà (vv. 2-9), che gli attira il castigo divino. Il riferimento a Sòdoma e Gomorra (v. 10) si collega all’oracolo precedente (vv. 4-9): proprio a causa dell’infedeltà il popolo di Israele rischia di ricevere la stessa sorte delle due città. Il susseguirsi incalzante di ben nove imperativi in due soli versetti (vv. 16s) prospetta l’urgenza di un cambiamento, per accogliere il perdono dal Signore. Il popolo può ancora scegliere tra benedizione (v. 19) e maledizione (v. 20).
Vangelo: Gesù nel brano odierno mette in guardia dagli scribi e farisei smascherandone l’osten-tazione e la vanagloria ma riprende pure i discepoli contro il pessimo vizio dell’ambizione. Ogni atteggiamento di puro formalismo esterno o di ricerca di prestigio dissacra la religiosità rendendola idolatrica. Che fare dunque? Gesù invita al discernimento, a fare ciò che dicono ma non quello che fanno, e a guardare lui, vero Maestro, fedele interprete del Padre.
Dicono e non fanno – Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa
Autentico stile di vita – Paolo VI (Udienza Generale, 22 novembre 1972): Un desiderio arde sempre nel cuore della Chiesa, come una lampada che non si spegne, un desiderio comune della Chiesa come Popolo di Dio, e come coscienza personale d’ogni membro di questo mistico corpo di Cristo; un desiderio, che investe tutta la psicologia dei seguaci del Signore Gesù, e che fa parte d’ogni proposito e di ogni programma di riforma e di rinnovamento, il desiderio di rivestirsi di un autentico stile cristiano. Stile è dir poco; perché la parola stile si riferisce all’aspetto esteriore d’una cosa; ma in questo nostro caso stile vuol dire il risultato d’uno spirito interiore, vuol dire l’autenticità visibile d’un ordine morale, vuol dire l’espressione d’una mentalità, d’una concezione della vita, d’una coerenza e d’una fedeltà, che si alimentano dalle radici della personalità profonda e vitale di chi si manifesta nel suo proprio stile. Siamo ancora al vecchio proverbio: l’abito non fa il monaco. Vero. Ma l’abito per sé deve qualificare individualmente e socialmente colui che monaco si professa; può, sì, camuffarlo e rivestirlo d’ipocrisia (cfr Mt 15,7-8), e fargli recitare una parte fittizia che non lo definisce intimamente, come l’artista in teatro: ma l’intenzione stilistica dell’abito non solo tende a dire mediante l’aspetto esteriore chi uno è, ma a dargli altresì una coscienza interiore di chi egli deve essere.
Uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli – Giovanni Paolo II (Omelia, 14 giugno 1999): Volgiamo i nostri cuori verso Cristo, «vera luce che illumina ogni uomo» (cfr Gv 1,9). Lui è il Maestro, il Risorto che ha in sé la vita e che rimane sempre presente nella Chiesa e nel mondo. È lui a rivelarci la volontà del Padre e ad insegnarci come realizzare la vocazione ricevuta da Dio per opera dello Spirito Santo. Affidiamo a Cristo la grande opera dell’educazione. Solo lui conosce massimamente l’uomo e sa cosa si nasconde nell’intimo del suo cuore. Oggi Cristo ci dice: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5) – io, il vostro Maestro, voglio essere per voi la via e la luce, la vita e la verità «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
Il giudizio erroneo – CCC 1790-1791: L’essere umano deve sempre obbedire al giudizio certo della propria coscienza. Se agisse deliberatamente contro tale giudizio, si condannerebbe da sé. Ma accade che la coscienza morale sia nell’ignoranza e dia giudizi erronei su azioni da compiere o già compiute. Questa ignoranza spesso è imputabile alla responsabilità personale. Ciò avviene quando l’uomo non si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all’abitudine del peccato». In tali casi la persona è colpevole del male che commette.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa
Il pericolo della vanità – “Devi parlare in chiesa? Non provocarti un’acclamazione popolare, ma lacrime. Le lacrime di chi ti ascolta sono l’elogio più bello. E bada che un sacerdote deve dare sapore alla sua predica, leggendo la Scrittura. Non ti voglio sentire declamare, abbaiare, cianciare a vuoto, ma devi essere profondo in teologia e bene aggiornato sui misteri del tuo Dio. È proprio da ignoranti suscitare l’ammirazione verso di sé da parte del popolo incompetente, con artifici di parola e col parlare di corsa. Solo una faccia di legno può mettersi a spiegare ciò che non sa, e avendo indotto gli altri a crederci, autoconvincersi poi di essere un pozzo di scienza… Non c’è cosa più facile che incantare il basso popolino privo di istruzione, con un discorso retorico, dato che esso, quanto meno capisce, tanto più ne è ammirato” (Girolamo).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia
«… perché essi dicono e non fanno». Il Tempo di Quaresima è certamente un tempo opportuno per imparare a fare il bene (Prima Lettura). Il problema della testimonianza cristiana è spesso dato dalla separazione tra fede professata e vita vissuta. Diventa quindi anche per noi un pressante monito l’esortazione di Gesù a metterci a servizio di Dio e del prossimo. Fare il bene non sempre è spontaneo, anzi spesso richiede sforzo, perseveranza, umiltà, abnegazione… ecco perché la Liturgia della Parola ci invita ad imparare a fare il bene (Prima Lettura). Sì, bisogna andare a scuola, studiare e imparare a fare il bene. Il Maestro lo conosciamo: Gesù nostra guida e modello. La scuola è la Chiesa e quindi la Parola di Dio, i Sacramenti. E poi abbiamo i compiti, cioè tutte le prove che quotidianamente dobbiamo affrontare per fare il bene e farlo bene. Infine, appresa la lezione e avendo fatto buona pratica, con i sentimenti di Gesù nel cuore possiamo dire di operare secondo la divina Volontà e quindi di essere buoni testimoni del suo Amore. Ma ricordiamo che “gli esami non finiscono mai” e quindi guai a sentirci arrivati, a pensare di non dover più frequentare e vivere quindi di sola rendita! Ogni giorno la vita ci metterà dinanzi a nuove opere e nuovo bene da compiere, e spetta a noi farlo bene.
Preghiamo
Custodisci, o Padre, la tua Chiesa con la tua continua benevolenza, e poiché, a causa della debolezza umana, non può sostenersi senza di te, il tuo aiuto la liberi sempre da ogni pericolo e la guidi alla salvezza eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…