marzo, meditazioni

12 MARZO 2020 – GIOVEDÌ, II DEL TEMPO DI QUARESIMA

I Lettura: Secondo Geremìa, maledetto è colui che nella sua vita ha perduto il punto di riferimento necessario che è Dio. Tale maledizione non è pronunciata da Dio sull’uomo, ma è l’uomo stesso che se la procura. Benedetto, invece, è colui che sa e ricorda quanto Dio ha fatto per lui: come Egli si rende presente nella sua vita e con quali attenzioni tiene desta l’attesa della beata speranza.

Vangelo: Luca insiste sempre volentieri sul tema della povertà, mettendo in evidenza degli aspetti che gli altri evangelisti trascurano. In questa parabola la povertà è presentata come mezzo di rivelazione escatologica. Il ricco, che pure è figlio di Abramo, vittima del proprio egoismo si accorge troppo tardi di aver tradito Dio e trascurato il proprio fratello. Il povero, che ha vissuto in uno spogliamento totale, passa, come il Cristo, dalla morte alla gloria. Secondo Gesù, maledetto ed eternamente sfortunato è colui che non sa distinguere ciò che veramente vale da ciò che è effimero. Benedetto, invece, è colui che sa arricchirsi, che sa farsi un tesoro inesauribile presso Dio.

Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti – Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa

Un giorno il povero morì… – Spe Salvi 44: “La protesta contro Dio in nome della giustizia non serve. Un mondo senza Dio è un mondo senza speranza (cfr Ef 2,12). Solo Dio può creare giustizia. E la fede ci dà la certezza: Egli lo fa. L’immagine del Giudizio finale è in primo luogo non un’immagine terrificante, ma un’immagine di speranza; per noi forse addirittura l’immagine decisiva della speranza. Ma non è forse anche un’immagine di spavento? Io direi: è un’immagine che chiama in causa la responsabilità. Un’immagine, quindi, di quello spavento di cui sant’Ilario dice che ogni nostra paura ha la sua collocazione nell’amore. Dio è giustizia e crea giustizia. È questa la nostra consolazione e la nostra speranza. Ma nella sua giustizia è insieme anche grazia. Questo lo sappiamo volgendo lo sguardo sul Cristo crocifisso e risorto. Ambedue – giustizia e grazia – devono essere viste nel loro giusto collegamento interiore. La grazia non esclude la giustizia. Non cambia il torto in diritto. Non è una spugna che cancella tutto così che quanto s’è fatto sulla terra finisca per avere sempre lo stesso valore. Contro un tale tipo di cielo e di grazia ha protestato a ragione, per esempio, Dostoëvskij nel suo romanzo «I fratelli Karamazov». I malvagi alla fine, nel banchetto eterno, non siederanno indistintamente a tavola accanto alle vittime, come se nulla fosse stato. Vorrei a questo punto citare un testo di Platone che esprime un presentimento del giusto giudizio che in gran parte rimane vero e salutare anche per il cristiano. Pur con immagini mitologiche, che però rendono con evidenza inequivocabile la verità, egli dice che alla fine le anime staranno nude davanti al giudice. Ora non conta più ciò che esse erano una volta nella storia, ma solo ciò che sono in verità. «Ora [il giudice] ha davanti a sé forse l’anima di un […] re o dominatore e non vede niente di sano in essa. La trova flagellata e piena di cicatrici provenienti da spergiuro ed ingiustizia […] e tutto è storto, pieno di menzogna e superbia, e niente è dritto, perché essa è cresciuta senza verità. Ed egli vede come l’anima, a causa di arbitrio, esuberanza, spavalderia e sconsideratezza nell’agire, è caricata di smisuratezza ed infamia. Di fronte a un tale spettacolo, egli la manda subito nel carcere, dove subirà le punizioni meritate […] A volte, però, egli vede davanti a sé un’anima diversa, una che ha fatto una vita pia e sincera […], se ne compiace e la manda senz’altro alle isole dei beati». Gesù, nella parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro (cfr. Lc 16,19-31), ha presentato a nostro ammonimento l’immagine di una tale anima devastata dalla spavalderia e dall’opulenza, che ha creato essa stessa una fossa invalicabile tra sé e il povero: la fossa della chiusura entro i piaceri materiali, la fossa della dimenticanza dell’altro, dell’incapacità di amare, che si trasforma ora in una sete ardente e ormai irrimediabile. Dobbiamo qui rilevare che Gesù in questa parabola non parla del destino definitivo dopo il Giudizio universale, ma riprende una concezione che si trova, fra altre, nel giudaismo antico, quella cioè di una condizione intermedia tra morte e risurrezione, uno stato in cui la sentenza ultima manca ancora.

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa

«Bisogna far bene attenzione al modo di narrare usato dalla Verità, quando indica il ricco superbo e l’umile povero. Si dice infatti: “Un tale era ricco”, e poi si aggiunge subito: “E c’era un povero di nome Lazzaro”. Certo, tra il popolo son più noti i nomi dei ricchi, che quelli dei poveri. Perché allora il Signore, parlando di un ricco e di un povero, tace il nome del ricco e ci dà quello del povero? Certo, perché il Signore riconosce e approva gli umili e ignora i superbi. Perciò dice anche ad alcuni che s’insuperbivano dei miracoli da loro operati: “Non vi conosco; andate via da me, gente malvagia” [Mt 7,23]. Invece di Mosè è detto: “Ti conosco per nome” [Es 33,12]. Del ricco, dunque, dice: “Un tale ricco”; del povero, invece: “Un mendicante di nome Lazzaro”, come se volesse dire: Conosco il povero, umile, non conosco il ricco, superbo; quello lo approvo riconoscendolo, questo lo condanno rifiutando di conoscerlo» (San Gregorio Magno).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia

«Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore». Questa grave affermazione di Geremìa (Prima Lettura) trova perfetto riscontro nella parabola evangelica che l’odierna Liturgia della Parola ci propone. Questo tale, ricco e senza nome, non ci viene presentato come un ladro, un adultero o un assassino: era semplicemente un uomo che, avendone possibilità e facoltà, si godeva la vita. Anche nei confronti del povero Lazzaro, egli ufficialmente poteva affermare di non avere colpe se quel disgraziato era povero e se il destino gli era stato avverso. Perché dunque, dopo la sua morte, lo ritroviamo nella disperazione dell’Inferno? Cosa gli ha causato cotanto eterno castigo? Quale il peccato commesso? Quest’uomo aveva semplicemente, ma colpevolmente, distolto lo sguardo da Dio. Tutto intento a godersi la vita, non confidava in Dio ma nei suoi averi, nelle ricchezze, ponendo nella carne il suo sostegno. Una sguardo chinato verso se stesso, che non gli faceva vedere Dio e non ci faceva incontrare il fratello, nella persona del povero Lazzaro.

Preghiamo

O Dio, che ami l’innocenza, e la ridoni a chi l’ha perduta, volgi verso di te i nostri cuori e donaci il fervore del tuo Spirito, perché possiamo esser saldi nella fede e operosi nella carità. Per il nostro…

 

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