I Lettura: Giovanni non si è limitato ad amare Cristo, ma si è anche lasciato amare. “In concreto il lasciarsi amare comporta la docilità a lasciar lavorare Cristo nella propria vita, nel dargli campo libero di fare di me tutto quello che Egli voglia, e questo è molto difficile” (E. Cuffaro). È in questo abbandono che l’apostolo sperimenta la vera comunione con la Santissima Trinità.
Vangelo: Pietro e Giovanni rappresentano due diversi modi di amare Cristo e due ordini di conoscenza diversa: “la conoscenza sensibile e la conoscenza derivante dalla fede. Il vedere, infatti, è proprio degli occhi, mentre il contemplare è proprio della fede” (E. Cuffaro).
L’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro – Dal Vangelo secondo Giovanni
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa
San Giovanni – Benedetto XVI (Udienza Generale, 5 luglio 2006): Secondo la tradizione, Giovanni è “il discepolo prediletto”, che nel Quarto Vangelo poggia il capo sul petto del Maestro durante l’Ultima Cena (cfr Gv 13,21), si trova ai piedi della Croce insieme alla Madre di Gesù (cfr Gv 19,25) ed è infine testimone sia della Tomba vuota che della stessa presenza del Risorto (cfr Gv 20,2; 21,7). Sappiamo che questa identificazione è oggi discussa dagli studiosi, alcuni dei quali vedono in lui semplicemente il prototipo del discepolo di Gesù. Lasciando agli esegeti di dirimere la questione, ci contentiamo qui di raccogliere una lezione importante per la nostra vita: il Signore desidera fare di ciascuno di noi un discepolo che vive una personale amicizia con Lui. Per realizzare questo non basta seguirlo e ascoltarlo esteriormente; bisogna anche vivere con Lui e come Lui. Ciò è possibile soltanto nel contesto di un rapporto di grande familiarità, pervaso dal calore di una totale fiducia. È ciò che avviene tra amici; per questo Gesù ebbe a dire un giorno: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici… Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,13.15). Negli apocrifi Atti di Giovanni l’Apostolo viene presentato non come fondatore di Chiese e neppure alla guida di comunità già costituite, ma in continua itineranza come comunicatore della fede nell’incontro con “anime capaci di sperare e di essere salvate” (18,10; 23,8). Tutto è mosso dal paradossale intento di far vedere l’invisibile. E infatti dalla Chiesa orientale egli è chiamato semplicemente “il Teologo”, cioè colui che è capace di parlare in termini accessibili delle cose divine, svelando un arcano accesso a Dio mediante l’adesione a Gesù.
Figlioli miei, quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito – Dominum Et Vivificantem 5: Nel trasmettere la Buona Novella, gli apostoli saranno associati in modo speciale allo Spirito Santo. Ecco come continua a parlare Gesù: “Quando verrà il consolatore, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio” (Gv 15,26s). Gli apostoli sono stati i testimoni diretti, oculari. Essi “hanno udito” e “hanno veduto con i propri occhi”, “hanno guardato” e perfino “toccato con le proprie mani” Cristo, come si esprime in un altro passo lo stesso evangelista Giovanni (cfr. 1Gv 1,1-3; 4,14). Questa loro umana, oculare e “storica” testimonianza su Cristo si collega alla testimonianza dello Spirito Santo: “Egli mi renderà testimonianza”. Nella testimonianza dello Spirito di verità l’umana testimonianza degli apostoli troverà il supremo sostegno. E in seguito vi troverà anche l’interiore fondamento della sua continuazione tra le generazioni dei discepoli e dei confessori di Cristo, che si susseguiranno nei secoli. Se la suprema e più completa rivelazione di Dio all’umanità è Gesù Cristo stesso, la testimonianza dello Spirito ne ispira, garantisce e convalida la fedele trasmissione nella predicazione e negli scritti apostolici, mentre la testimonianza degli apostoli ne assicura l’espressione umana nella Chiesa e nella storia dell’umanità.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa
“Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni». Questi tre apostoli, compagni intimi di Gesù Cristo, raffigurano le tre facoltà della nostra anima, senza le quali nessuno può salire al monte della luce, cioè alla sublimità della familiarità divina. Pietro s’interpreta «colui che conosce», Giacomo «colui che soppianta o estirpa», Giovanni «grazia del Signore». Gesù dunque prese con sé Pietro, ecc. Anche tu, che credi in Gesù e da Gesù speri la salvezza, prendi con te Pietro, vale a dire la conoscenza, la consapevolezza del tuo peccato, il quale consiste in tre vizi: la superbia del cuore, la concupiscenza della carne e l’attaccamento alle cose del mondo. Prendi con te Giacomo, cioè la distruzione [supplantatio] di questi tre vizi, affinché quasi sotto la pianta della ragione, cioè con la forza della ragione, tu possa distruggere la superbia del tuo spirito, mortificare la concupiscenza della tua carne e rigettare la vana falsità delle cose del mondo. Prendi infine anche Giovanni, cioè la grazia del Signore – il quale sta alla porta e bussa [cfr. Ap 3,20] – affinché ti illumini e ti faccia conoscere il male che hai fatto e ti renda perseverante nel bene che hai incominciato a fare” (Sant’Antonio di Padova).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia
«… e vide e credette». San Giovanni è l’apostolo della concretezza. A volte lo si rende una figura ieratica, incoronandolo di un romanticismo che non gli appartiene affatto. È lui che, alla voce del Battista, senza pensarci due volte segue uno sconosciuto indicato come l’Agnello di Dio e rimane con Gesù (cfr Gv 1,37-39). È lui che all’invito del Maestro, senza indugio lascia reti, barche e padre e diventa pescatore di uomini (cfr Mt 4,21-22). E il carattere rude del marinaio (che lo rende molto simile a Pietro) se lo porta dentro: è lui, infatti, che vedendo uno che scacciava i demòni nel nome di Gesù, gli intima di tacere, quasi a mostrare un’esclusiva che invece non gli apparteneva (cfr Mc 9,38); è sempre lui che dinanzi al rifiuto di alcuni samaritani di accogliere Gesù nel loro villaggio vorrebbe addirittura far scendere un fuoco dal cielo perché li consumi (cfr Lc 9,54). Ben più forte e concreto di Pietro, Giovanni rimane fermo anche dinanzi allo scandalo della Croce (cfr Gv 19,26): unico tra gli Apostoli a ricevere il testamento del Maestro che lo rende primogenito di una moltitudine nel grembo fecondo della Vergine; unico tra gli Apostoli a fissare lo sguardo su Colui che hanno trafitto. E così, insieme a Pietro, sarà anche il primo a vedere la tomba vuota, a credere che la Vita ha trionfato. Con il suo esempio, la sua intercessione e i suoi scritti ispirati, Giovanni continua ad invitarci alla concretezza, a toccare e vedere, per poter credere e, credendo, avere la vita (cfr Gv 20,31).
Preghiamo
O Dio, che per mezzo dell’apostolo Giovanni ci hai rivelato le misteriose profondità del tuo Verbo: donaci l’intelligenza penetrante della Parola di vita, che egli ha fatto risuonare nella tua Chiesa. Per il nostro Signore Gesù Cristo…