Dal secondo libro di Samuèle (5,1-3) – Unsero Davide re d’Isra–ele: Il brano è il racconto dell’unzione regale di Davide e del riconoscimento da parte di tutte le tribù d’Israele: «Ecco noi siamo tue ossa e tua carne». Con il regno davidico Israele, unificandosi politicamente sotto un unico re, raggiungerà l’apice della potenza e dell’espan-sione. Con l’unzione regale, si realizza la parola del Signore (cfr 1Sam 16,1.13): per volontà divina Davide sarà pastore e capo. Pastore è uno dei più antichi titoli attribuiti ai re in tutto il mondo antico: dice responsabilità e cura indefessa del popolo; si dirà anche del Cristo (cfr 1Pt 2,25; 5,4) e del suo vicario in terra (cfr Gv 21,15ss).
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési (1,12-20) – Ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore: San Paolo descrive l’o-pera della salvezza come passaggio dalle tenebre al Regno del Cristo, Regno di luce (v. 13). Quest’opera salvifica è iniziativa del Padre. È lui infatti che ci ha resi eredi della promessa, mettendoci in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce (v. 12; Ef 1,11-13). La seconda parte del brano (vv. 15-20) è un inno al primato assoluto di Cristo.
Dal Vangelo secondo Luca (23,35-43) – Signore, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno: Nel brano evangelico odierno i versetti 39-43 sono propri di Luca e sono elaborati sulla linea della letteratura dei martiri. La morte del giusto, intesa come martirio (= testimonianza), conquista i peccatori (vv. 40-42). Nel testo, poi, possiamo ravvisare queste indicazioni: Gesù è il Signore, ha potere sulla vita e sulla morte; Giudice degli uomini dona il premio ai giusti e il castigo ai reprobi. Infine, l’universalità della salvezza: tutti gli uomini sono chiamati al banchetto del Regno. È la fede in Gesù a salvare l’uomo: «oggi con me sarai nel paradiso». Luca, ancora una volta, testimonia, con delicata finezza, la misericordia di Dio che si rivela soprattutto nel perdono (cfr Lc 15).
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
Approfondimento
Paradiso – Termine usato nella versione greca del libro della Genesi per designare l’Eden che a sua volta, probabilmente, è mutuato dalla lingua accadica o sumerica in cui edinu o edin significa “deserto” o “steppa”. Ma gli israeliti hanno interpretato la parola secondo l’ebraico «delizie», dalla radice ‘dn, la fertile sede del primo uomo, situata a oriente, bagnata da un fiume che si divideva in quattro bracci, l’Eufrate, il Tigri e due altri fiumi sconosciuti, il Ghicon e il Pison (cfr Gen 2,8-14).
Date le caratteristiche letterarie della narrazione di Gen 2,1, non è certo che l’autore intendesse indicare una precisa posizione geografica del luogo. All’autore sacro, in verità, stava a cuore evidenziare i rapporti che alle origini intercorrevano fra l’umanità e il suo Creatore. Attraverso questa descrizione avrebbe risposto ai perenni interrogativi che assediano il cuore dell’uomo: perché la morte? perché il dolore? perche la sofferenza degli innocenti e dei giusti? La risposta che si deduce leggendo Gen 1-3 è nitida e chiara: “Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo” (Sap 2,23-24).
Genesi 2,8 colloca il giardino in Eden a oriente perché secondo una tradizione diffusissima tutti i popoli vengono da levante.
Gli alberi della “conoscenza del bene e del male” e l’“albero della vita” non appartengono alla natura ma al simbolo, come gli “alberi dell’E-den scesi negli inferi” nella visione del profeta Ezechiele (31,17-18).
L’espressione “«bene e male» è probabilmente un’espressione idiomatica ebraica indicante tutta la scala della conoscenza morale, rappresentata dai due estremi. Mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male renderà perciò l’uomo uguale a Dio. L’albero della vita, diventato inaccessibile all’uomo dopo il peccato, ricompare nell’ultimo libro della Bibbia, che lo colloca lungo il fiume nella città della nuova Gerusalemme, dove Dio e il suo popolo vivono ancora una volta insieme. Là le sue foglie servono a «guarire le nazioni» [Ap 22,2]. La vera vita dipende in ultima analisi dalla presenza di Dio” (AA. VV., Guida alla Bibbia).
Per Isaia (51,3), Ezechiele (36,35) e Gioele (2,3) Eden è il simbolo della fertilità. In Ct 4,13 giardino è reso con pardes (Qo 2,5; Ne 2,8), vocabolo persiano che significa parco, da cui deriva il nostro «para-diso». Nel Nuovo Testamento il Paradiso indica la dimora di Dio e dei suoi eletti, cioè il cielo, vera dimora di delizie di cui l’Eden non era che la figura imperfetta (cfr Lc 23,43; 2Cor 12,4; Ap 21,9).
Commento al Vangelo
Il popolo stava a vedere – Il popolo sta a guardare la terrificante morte di Gesù, ma non si unisce ai dileggi dei capi e dei soldati.
La folla sembra essere soltanto smarrita: l’Uomo che pende dalla croce ha fatto solo del bene e numerose sono le testimonianze; molti hanno ritrovato la sanità fisica, altri quella spirituale, ecco perché quella morte crudele appare incomprensibile, assurda. Testimone di tanta bontà è anche uno dei due malfattori appesi alla croce: «Noi, giustamente… riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
Sentimenti opposti anche alla morte di Gesù: «le folle che erano accorse a questo spettacolo, se ne tornavano percuotendosi il petto» (Lc 23, 48); i capi invece si preoccuperanno di ben custodire il sepolcro per timore di essere subornati dai discepoli del Crocifisso (Mt 27,62-65).
… i capi invece deridevano Gesù… anche i soldati lo deridevano… Gli insulti che impietosamente piovono su Gesù riprendono i capi di accusa che lo hanno portato al patibolo: le guide del popolo, nell’in-sultare il Cristo, si riferiscono alla dichiarazione del processo giudaico (Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto); i soldati, invece, a quella del processo romano (Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso).
Il Cristo di Dio, l’eletto… Luca usa le stesse parole che troviamo nella confessione di Pietro: «Il Cristo di Dio» (9,20). E l’eletto ricorda la voce della nube nella trasfigurazione: «… dalla nube uscì una voce, che diceva “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!”» (9,35).
Anche i soldati lo deridevano… Al morente i soldati porgono dell’a-ceto: per Luca è un gesto di scherno, diversamente da Matteo e Marco che forse vi ravvisano un gesto di pietà (cfr Gv 19,28s). L’offerta dell’aceto, bevanda acidula di cui facevano uso i soldati romani, potrebbe alludere al Salmo 69,22: «Mi hanno messo veleno nel cibo e quando avevo sete mi hanno dato aceto».
Sopra di lui c’era anche una scritta… In questa cornice, la scritta che campeggia sulla croce è più una provocazione che un’attestazione della regalità del Cristo.
Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno. Due sono i malfattori che condividono la triste sorte di Gesù. Uno rabbiosamente fa coro con coloro che vomitano insulti; l’altro, reagendo con forza e dando prova di intuire il progetto salvifico del Cristo, si affida a Gesù chiedendogli «non una liberazione momentanea [come l’altro ladrone si sarebbe augurato], ma la salvezza eterna [riconosce in Gesù il Messia-salvatore]» (Carlo Ghidelli).
Nelle parole del morente si può raccogliere quindi una richiesta di salvezza: lui, condannato alla pena capitale, nel momento in cui sta per attraversare definitivamente la porta della morte si affida a Colui che ha dimostrato di essere giusto perché entrato nel suo regno si ricordi di lui.
Il buon ladrone «chiede un ricordo [forse una raccomandazione]. Senza che ne abbia lucida coscienza, il regno invocato è quello che cresce in terra, ma che si radica in cielo, quello che avviene nel tempo, ha caratteri di eternità. È il regno che Gesù sta meritando con il sacrificio della sua vita. È il regno che potrebbe avere il suo archetipo in quel giardino, un tempo luogo di incontro amoroso tra Dio e la sua creatura [cfr Gen 2], e ora sigillato dal peccato. Gesù si appresta a riaprirlo. Non servono chiavi. Occorre un atto di amore infinito che può compiere solo il Figlio dell’uomo che è altresì il Figlio di Dio» (Mauro Orsatti).
Oggi con me sarai nel paradiso. Il malfattore ottiene in modo insperato il dono desiderato: entrerà in Paradiso con il Cristo. Questo termine compare nel Nuovo Testamento soltanto qui, in 2Cor 12,4 e Ap 2,7. La promessa è solenne e nella risposta va messo in evidenza l’oggi: «la salvezza, che il ladrone si aspettava per la fine dei tempi, con la risurrezione dei giusti, gli viene offerta al momento della morte… La rappresentazione giudaica dell’oltretomba come di un luogo di delizie insieme con i patriarchi viene superata in senso cristiano con la certezza della partecipazione dopo la morte alla vita beata di Cristo, assiso alla destra di Dio, senza con questo escludere l’attesa del giudizio finale nella parusia del Figlio dell’uomo, comune nella concezione escatologica futura della chiesa primitiva» (A. Poppi).
Questa promessa di Gesù si farà verità per tutti i credenti: la morte non è tolta, ma viene trasformata in passaggio alla vera vita e alla vera felicità. Le parole di Gesù inaugurano il nuovo esodo che porta finalmente l’umanità verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele (cfr Es 3,8).
«Il peccato, che aveva chiuso il paradiso, viene sconfitto dalla redenzione, che lo riapre. Comincia il ritorno dell’umanità espulsa, errante senza posa. La dispersione è giunta ai suoi limiti estremi, Si compie il grande ritorno, la svolta decisiva. E il primo, che compie qui questa svolta, è un criminale condannato. Decisivi per la vita dell’uomo non sono i peccati che ha commessi, ma la fede, con la quale si volge a Cristo per riceverne la grazia» (Richard Gutzwiller).
Riflessione
“Il Regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono” (Mt 11,12) – Con queste parole Gesù vuole insegnare che entreranno nel suo Regno soltanto coloro che con forza odieranno il mondo e lotteranno contro la concupiscenza della carne e il diavolo (1Gv 2,16; Ef 6,10ss).
«Questa forza – scriveva Josemaría Escrivá – non è una violenza contro gli altri; ma fortezza per combattere le proprie debolezze e le proprie miserie, coraggio di non mascherare le proprie infedeltà, audacia per confessare la fede anche quando l’ambiente è ostile».
Seguendo il Catechismo della Chiesa Cattolica si può mettere in evidenza:
- tutti gli uomini sono chiamati ad entrare nel Regno di Dio: «Questo Regno messianico è destinato ad accogliere gli uomini di tutte le nazioni. Per accedervi, è necessario accogliere la Parola di Dio» (n. 543);
- il Regno di Dio appartiene ai poveri e ai piccoli, «cioè a coloro che l’hanno accolto con cuore umile» (n. 544);
- diventare come bambini «in rapporto a Dio è la condizione per entrare nel Regno; per questo ci si deve abbassare, si deve diventare piccoli; anzi, bisogna “rinascere dall’alto” (Gv 3,7), essere generati da Dio “per diventare figli di Dio” (Gv 1,12)» (n. 526).
Non vi sono privilegi e non si ammettono posti riservati. Tutti gli uomini, giusti o peccatori, sono invitati ad entrare nel Regno, a sedersi alla mensa del Figlio. Se di preferenze si deve parlare, allora bisogna ammettere che il cuore di Dio parteggia per i peccatori: «Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori» (1Tm 1,15).
È pressante l’attenzione di Gesù nei loro riguardi.
Li sprona ora con forza ora con dolcezza. Senza fare sconti, li invita alla conversione perché senza di essa non si può entrare nel Regno, ma nelle sue parole e nelle sue azioni mostra ai peccatori l’infi-nita misericordia del Padre suo e per invogliarli a ritornare tra le sue braccia fa conoscere loro la gioiosa festa che esplode «in cielo per un peccatore convertito» (Lc 15,7; vedi CCC 545).
Per salvare l’uomo peccatore, Gesù non esita a morire dissanguato su una Croce: il legno infamante è il trono regale su cui si asside l’Amore, pacifico Re di tenerezza e di misericordia.
Se la salvezza è squisito frutto della carità divina e dono gratuito dell’amore liberale di Dio, il Signore esige che l’uomo abbia la volontà di entrare nel Regno, perché Dio non violenta la sua libertà, e che indossi l’abito nuziale (cfr Mt 22,11-12) che, al dire di san Gregorio Magno, è la virtù della carità.
La festa di Cristo Re – Fu istituita da Pio XI nel 1925 con la lettera enciclica “Quas primas” per mettere un argine agli “errori e agli empi incentivi” del laicismo, “la peste dell’età nostra”.
Per il Papa, il laicismo “non maturò in un solo giorno ma da gran tempo covava nelle viscere della società. Infatti si incominciò a negare l’impero di Cristo su tutte le genti; si negò alla Chiesa il diritto – che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo – di ammaestrare, cioè, le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli all’eterna felicità. E a poco a poco la religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste; quindi la si sottomise al potere civile e fu lasciata quasi all’arbitrio dei principi e dei magistrati. Si andò più innanzi ancora: vi furono di quelli che pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell’irreligione e nel disprezzo di Dio stesso”.
Una festa per vanificare i “pessimi frutti” del laicismo: “i semi della discordia arsi dappertutto; accesi quegli odii e quelle rivalità tra i popoli, che tanto indugio ancora frappongono al ristabilimento della pace; l’intemperanza delle passioni che così spesso si nascondono sotto le apparenze del pubblico bene e dell’amor patrio; le discordie civili che ne derivarono, insieme a quel cieco e smoderato egoismo sì largamente diffuso, il quale, tendendo solo al bene privato ed al proprio comodo, tutto misura alla stregua di questo; la pace domestica profondamente turbata dalla dimenticanza e dalla trascuratezza dei doveri familiari; l’unione e la stabilità delle famiglie infrante, infine la stessa società scossa e spinta verso la rovina”.
Sembra il nostro mondo fotografato ottanti anni fa. Forse questa intenzione profetica dovrebbe dare un tono molto forte alla festa che oggi celebriamo.
La pagina dei Padri
Il Paradiso aperto a un ladro – San Giovanni Crisostomo: Vuoi vedere un’altra sua opera meravigliosa? Oggi ci ha aperto il paradiso, ch’era chiuso da più di cinquemila anni. In un giorno e in un’ora come questa, vi portò un ladro e così fece due cose insieme: aprì il paradiso e v’introdusse un ladro. In questo giorno ci ha ridato la nostra vera patria e l’ha fatta casa di tutto il genere umano, poiché dice: “Oggi sarai con me in paradiso” (Lc 23,43).
Che cosa dici? Sei crocifisso, hai le mani inchiodate e prometti il paradiso? Certo, dice, perché tu possa capire chi sono, anche sulla croce. Perché tu non ti fermassi a guardare la croce e potessi capire chi era il Crocifisso, fece queste meraviglie sulla croce. Non mentre risuscita un morto, o quando comanda ai venti e al mare, o quando scaccia i demòni, ma mentre è in croce, inchiodato, coperto di sputi e d’insulti, riesce a cambiar l’animo d’un ladro, perché tu possa scoprire la sua potenza.
Ha spezzato le pietre e ha attirato l’anima d’un ladro, più dura della pietra e l’ha onorata, perché dice: “Oggi sarai con me in paradiso”.
Sì, c’eran dei Cherubini a custodia del paradiso; ma qui c’è il Signore dei Cherubini. Sì, c’era una spada fiammeggiante, ma questi è il padrone della vita e della morte. Sì, nessun re condurrebbe mai con sé in città un ladro o un servo. L’ha fatto Cristo, tornando nella sua patria, v’introduce un ladro, ma senza offesa del paradiso, senza deturparlo con i piedi d’un ladro, accrescendone anzi l’onore; è onore, infatti, del paradiso avere un tale padrone, che possa fare anche un ladro degno della gioia del paradiso.