Dal libro della Sapienza (11,22-12,2) – Hai compassione di tutti, perché ami tutte le cose che esistono: L’autore del Libro della Sapi-enza ci invita a riflettere sulla bontà di Dio. Il Signore ama tutti gli uomini e poiché è misericordioso e non vuole la morte del peccatore (cfr Ez 18,23), non guarda «ai peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento».
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési (1,11-2,2) – Sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi, e voi in lui: I Tessalonicési, oltre ad essere turbati da falsi voci sulla prossimità della venuta gloriosa del Cristo (cfr 2,1-3), sono duramente provati dalla persecuzione. In questo contesto di paura e di dolore, l’apostolo Paolo scrive ai Tessalonicési cercando di rasserenare gli animi annunciando che la giustizia di Dio non tarderà a liberarli dalle afflizioni punendo esemplarmente i persecutori (cfr 1,5-10). Ai cristiani di Tessalonica non rimane che una scelta: mantenersi saldi nella vocazione di cui sono stati favoriti (cfr 1,11), perseverare nel bene in cui si sono impegnati e vivere il presente con la forza che viene dalla fede, affinché nella loro vita sia glorificato il nome del Signore.
Dal Vangelo secondo Luca (19,1-10) – Il Figlio dell’uomo era ve–nuto a cercare e a salvare ciò che era perduto: L’episodio di Zacchèo si trova in Luca nell’ultimo periodo del ministero di Gesù (18,1-21,38). Zacchèo è un pubblicano, il che equivale ad essere additato come peccatore pubblico. In più egli è anche ricco e quindi è assai difficile per lui entrare nel Regno di Dio (cfr Lc 18,18-27). Ma cerca e accetta l’incontro con Gesù. Folgorato dalla grazia si pente di aver frodato il prossimo, si libera della ricchezza disonesta distribuendola ai poveri. Ora può ottenere la salvezza mediante la sua fede. È il trionfo della misericordia: nonostante l’odioso peccato nessuna condizione è incompatibile con la salvezza (cfr Lc 3,12-14).
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
Approfondimento
La gioia – L’evangelista Luca più di ogni altro sottolinea la gioia come il segno concreto dell’accoglienza della «lieta notizia»: la gioia di Elisabetta, della Vergine Maria, dei pastori, di Giovanni il Battista, della donna che rinviene la moneta perduta, del pastore che ritrova la pecorella smarrita, la gioia del padre per il ritorno del figlio prodigo (cfr Lc 1,39-45; 1,46s; 2,10; 15,1s). Questa gioia, però, «non va confusa con un vago sentimento di piacere, bensì come partecipazione alla gioia di Dio Padre, il quale fa festa per il ritorno di un peccatore e per la conversione dei lontani [cfr Lc 15,7.10.32]. La gioia di Dio, possiamo dire sulla scorta di Ne 8,10, diventa la nostra forza» (Carlo Ghidelli).
Se per il saggio Qoèlet la gioia è vanità (cfr Qo 2,1), è invece comunemente accettato che la gioia del cuore è vita per l’uomo, e da essa scaturisce una vita lunga e serena (cfr Sir 30,22).
La gioia è un dono che Dio elargisce abbondantemente ai suoi amici, mentre ai peccatori è riservato un destino fatuo: «Dio concede a chi gli è gradito sapienza, scienza e gioia, mentre a chi fallisce dà la pena di raccogliere e di ammassare, per darlo poi a colui che è gradito a Dio» (Qo 2,26). Per l’uomo giusto che compie le opere del Signore tutto è gioia, sopra tutto il frutto del suo duro lavoro: «Su, mangia con gioia il tuo pane e bevi il tuo vino con cuore lieto, perché Dio ha già gradito le tue opere» (Qo 9,7). Il vino è gioia del cuore purché sia bevuto con misura: «Il vino è come la vita per gli uomini, purché tu lo beva con misura. Che vita è quella dove manca il vino? Fin dall’inizio è stato creato per la gioia degli uomini. Allegria del cuore e gioia dell’anima è il vino bevuto a tempo e a misura» (Sir 31,27-28).
Nel Nuovo Testamento, la gioia è il primo frutto che si coglie dopo aver incontrato Gesù (cfr Gv 20,20).
Alla luce della gioia pasquale, il contrario della gioia non è il dolore, perché paradossalmente è possibile una vera gioia anche nelle sofferenze: Luca negli Atti affermerà esplicitamente che gli apostoli erano «lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù» (5,41). Questa gioia è possibile perché l’entusiasmo per il tesoro scoperto è più coinvolgente del dolore, delle persecuzioni, delle sofferenze, delle percosse e delle rinunzie (cfr Mt 13,44). Anche in questo contesto storico di dolore e di persecuzione, la gioia non avvizzisce, ma, come albero rigoglioso, porta abbondanti frutti di salvezza: «Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime» (1Pt 1,8-9).
La gioia cristiana è «frutto dello Spirito Santo» (Gal 5,22) e non ha nulla da spartire con la gioia del mondo. Il mondo sembra felice, spensierato, ma quando si spengono le luci della ribalta scivola in una situazione disperata e drammatica perché si trova affogato nella solitudine; roso dal verme della noia, della tristezza e della malinconia, giace inerte sotto il peso della disperazione e dell’angoscia.
Alla gioia, «frutto dello Spirito Santo», si oppongono le «opere della carne»: «fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere» (Gal 5,19-21). Vizi che rendono gli uomini ottusi, ciechi, tristi, schiavi della carne, incapaci di riconoscere l’agire meraviglioso di Dio, che si svela nella dolcezza del Padre, nell’amabilità del Figlio, nella soavità dello Spirito Santo.
Se è vero che «tutto il mondo giace sotto il potere del Maligno» (1Gv 5,19), a noi cristiani, il peccato del mondo «non può impedire di parlare della gioia, di sperare la gioia. È nel cuore delle loro angosce che i nostri contemporanei hanno bisogno di conoscere la gioia, di sentire il suo canto. Noi abbiamo profonda compassione della pena di coloro sui quali la miseria e le sofferenze di ogni genere gettano un velo di tristezza. Noi pensiamo in particolare a quelli che si trovano senza risorse, senza soccorso, senza amicizia, che vedono annientate le loro speranze umane» (Paolo VI). Il mondo, oggi, più che mai è bisognoso di essere raggiunto dalla «lieta notizia» e di essere trasfigurato dalla gioia cristiana.
Commento al Vangelo
Il Figlio dell’uomo infatti è venuto… – La storia di Zacchèo la si trova soltanto nel Vangelo di Luca e vuole esemplificare il giusto atteggiamento nei confronti delle ricchezze. Gèrico era un’importante sede dell’amministrazione romana e sosta obbligata per chi dalla Perea si recava a Gerusalemme.
Zacchèo non faceva certamente onore al suo nome: forma grecizzata – Zakchaios – dell’ebraico Zakkai o Zaccai, il nome significa puro e innocente. E Zacchèo non era né puro né innocente: «capo della mafia di Gerico» (Don Luigi Giussani), strozzino, ladro, collaborazionista degli odiati romani, certamente non poteva non essere che odiato. Per la sua professione, esattore delle tasse, e per il suo hobby preferito, estortore incallito, era considerato peccatore pubblico, cioè tagliato fuori dalla salvezza e di conseguenza emarginato dalla società e allontanato dalle famiglie.
… era piccolo di statura. Zacchèo vuole vedere Gesù ed essendo piccolo di statura si arrampica su un sicomoro. Questo particolare fisico di Zacchèo ha incuriosito il grande vescovo Ambrogio: «Perché le Scritture non precisano mai la statura di nessuno mentre di Zacchèo si dice che “era piccolo di statura” [Lc 19,3]? Vedi se per caso egli non era piccolo nella sua malizia, o piccolo nella sua fede: egli non aveva ancora promesso niente, quando era salito sul sicomoro; non aveva ancora visto Cristo, e perciò era piccolo».
Gesù non sta a controllare il curriculum vitae del capo dei pubblicani e lo invita a scendere subito dall’albero su cui si era arrampicato. La fretta indica l’urgenza messianica. Poiché il tempo della salvezza è arrivato e non si può più rimandare, Zaccheo è invitato a scendere subito, senza tentennamenti e senza perdere ulteriore tempo.
È entrato in casa di un peccatore. Come era previsto si alza un coro di dissensi. I soliti farisei, miopi di professione, ligi alla legge e incollati ad una sua comprensione letterale, si scandalizzano: un ebreo non poteva venire a contatto con un peccatore (cfr Mt 8,8).
… se ho rubato a qualcuno. Zacchèo sembra voler dare una mano a Gesù nel tentativo di tappare la bocca ai soliti saccenti: secondo la legge, la conversione a un pubblicano costava il venti per cento dei suoi beni da distribuire ai poveri come segno di pentimento; Lv 5,20-24 suggeriva di restituire i beni rubati con un quinto in più. Zacchèo va ben oltre la legge. Una decisione maturata nella gioia della ritrovata salvezza che lo catapulta tra le braccia di Dio misericordioso: «Zacchèo ha dimostrato con i fatti, cioè con “frutti degni della conversione” [Lc 3,8], che la salvezza l’aveva raggiunto nella sua casa. Anche lui, avendo imitato la fede di Abramo, doveva essere considerato suo vero figlio, appartenente al popolo di elezione a pieno diritto» (Angelico Poppi).
Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto, un’affermazione che fa strabuzzare gli occhi alle ipocrite guide d’Israele. Con questa frase conclusiva, Gesù, come già aveva solennemente proclamato nella sinagoga di Nazaret (cfr Lc 4,16-30), rivela la sua vera identità: Egli è il Salvatore di tutti gli uomini.
I pochi anni vissuti in mezzo agli uomini lo hanno visto portare la vita ai morti, la salute fisica agli ammalati, il perdono ai peccatori, la consolazione alle vedove e soprattutto il dono della grazia a coloro che gli si sono avvicinati con fede. Come all’adultera o alla donna peccatrice, ora Gesù porta la salvezza al piccolo Zacchèo.
Gesù significa “Dio salva” (Mt 1,21), un Nome che ben manifesta la divina missione del Figlio di Maria: «ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,21). Gesù, vero Dio e vero Uomo, è il salvatore di tutti gli uomini e «invita i peccatori alla mensa del Regno: “Non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori” [Mc 2,17]. Li invita alla conversione, senza la quale non si può entrare nel Regno, ma nelle parole e nelle azioni mostra loro l’infinita misericordia del Padre suo per loro e l’immen-sa “gioia” che si prova “in cielo per un peccatore convertito” [Lc 15,7]. La prova suprema di tale amore sarà il sacrificio della propria vita “in remissione dei peccati” [Mt 26,28]» (CCC 545).
Riflessione
Se ho frodato qualcuno – Zacchèo era il capo dei pubblicani, ed era anche molto ricco. Due note assai interessanti per quel tempo. Praticamente l’omino scalatore di sicomori come esattore delle tasse collaborava con gli odiati Romani e la sua ricchezza era inequivocabilmente frutto di angherie e di frodi.
In genere, nell’Antico Testamento l’abbondanza di beni materiali e la ricchezza sono considerate come un segno di predilezione di Dio (cfr Pro 10,4; 11,16; 24,3). Ma a poco a poco si fa strada nella coscienza del popolo d’Israele la convinzione che la ricchezza non sempre è apportatrice di bene in quanto può nascondere delle insidie sopra tutto alla vita spirituale (cfr Sir 13,3; Pro 11,28; 22,1; 28,6; Sap 7,8).
Anche il Nuovo Testamento, pur non condannando la ricchezza in sé, la giudica negativamente a motivo del fascino seducente che può esercitare sul cuore dell’uomo. Paolo confiderà al suo discepolo Timoteo: «L’avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti» (1Tm 6,10).
Nella spiegazione della parabola del seminatore, la parte di semente tra le spine indica «coloro che hanno ascoltato la Parola», ma sopraggiunte «le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, soffocano la Parola e questa rimane senza frutto» (Mc 4,18-19).
La parabola del “ricco epulone” (cfr Lc 16,19-31) va anche in questa direzione. Luca non dà giudizi etici sul ricco, non dice che è empio o perverso, e non dà giudizi su Lazzaro, non afferma che è buono, pio o giusto. L’assenza di giudizi sta a sottolineare che il giudizio è sulla ricchezza in generale, che ancora una volta viene presentata come un serio ostacolo, in se stessa, per entrare nel Regno di Dio.
La parabola del “ricco stolto” (cfr Lc 12,13-21) presenta lo stesso insegnamento. In questo racconto l’evangelista ancora una volta non dà dei giudizi morali sull’uomo ricco: è semplicemente un uomo che ha lavorato duramente, sacrificando tempo, energie e capacità intellettive, ed ora, all’apice della ricchezza, fa progetti e vuole godersi la fortuna accumulata. Ma agli occhi della sapienza evangelica è un po-vero stolto, illuso nel credere che la vita umana dipende dai beni terreni: la morte improvvisa spazzerà via questa illusione e lui sarà per sempre perduto. L’unico suo scampo sarebbe invece di arricchirsi presso Dio (cfr Lc 12,21).
Come usare, allora, le ricchezze mondane? La Parola di Dio offre due soluzioni.
O amministrarle con fedeltà, come beni che sono stati affidati da Dio. Praticamente, saper riconoscere nei beni terreni il segno della benedizione divina e usarli come doni di Dio senza appropriarsene indebitamente anche se frutto della propria fatica.
Oppure, decidersi per una risoluzione coraggiosa: quella di spogliarsi delle ricchezze a favore dei poveri per assicurarsi la felicità eterna (cfr Lc 16,9). Questo significa arricchirsi presso a Dio, cioè tesoreggiare per sé, «così si metteranno da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera» (1Tm 6,19). È la via della carità e della condivisione fraterna. La via più sicura per entrare nel Regno del Padre (cfr Mt 25,31s) ed è la via imboccata da Zacchèo, con umiltà e decisione.
Il capo dei pubblicani sa di essere “visitato dalla grazia”, sente fluire in tutto il suo essere, come un fiume in piena, il perdono di Dio, ma, allo stesso tempo, fa una scoperta che lo sconvolge inducendolo a restituire immantinènte il maltolto e a condividere le sue ricchezze con i poveri. Ha capito che Dio è pronto a perdonare i peccati commessi contro di Sé, ma perché perdoni i peccati commessi contro il prossimo, Dio attende che il peccatore si riconcili con il prossimo e ripari il danno materiale e morale che ha provocato.
Perché il peccatore possa entrare nella casa del Padre ha bisogno di un perdono totale, pieno: il perdono di Dio e il perdono del prossimo. La venuta di Gesù ha spalancato le porte del Cielo, ma ha dissodato anche i sentieri della carità che conduce al prossimo: solo attraversando queste vie, l’uomo può varcare quelle porte già aperte dal sangue preziosissimo di Cristo.
La pagina dei Padri
La risposta di fede alla chiamata di Dio – Cirillona: Gesù, passando vicino all’albero, ha visto il peccatore, lo ha abbracciato con lo sguardo e si è fermato.
Un giorno per Simone, oggi ha gioito per Zacchèo e gli ha ordinato di scendere subito dal sicomoro. Il giusto ha comandato al peccatore di comparire triste davanti al tribunale. Come si sarà rallegrato il colpevole, quando ha incontrato il Giudice misericordioso. Quanto più Zacchèo ha temuto, quanto meno ha osato chiedere il perdono; tanto più il Signore ha avuto pietà, tanto più gli ha usato misericordia.
Giusto e clemente è il Signore, non abbiate paura, voi peccatori, ma abbiate fiducia! Perdona le colpe a coloro che fanno penitenza e manda castighi agli ostinati. Per mezzo di Zacchèo, egli ci chiama: guardate al suo amore!
Come il pescatore, il Signore getta le reti per potervi prendere in gran numero. Ha preso il penitente dall’albero, l’ha trapiantato subito nel suo giardino. Ha visto che come Adamo egli aveva perduto la sua gloria, perciò lo ha vestito di un abito tessuto di misericordia.
Lodate il Signore che ha trovato e accolto un peccatore, che altrimenti si sarebbe perduto. Ci ha mostrato con ciò la via della sua misericordia.
Signore, invece di salire su un albero, io vengo nella tua casa, mi salvi il tuo mistero! Più grande è la croce che il ramo, si riversi sopra di me la tua misericordia!