21 Ottobre 2019 – Lunedì, XXIX del Tempo Ordinario (Rm 4,20-25; Lc 1,68-75; Lc 12,13-21)
I Lettura: L’incapacità di generare un figlio e la successiva richiesta divina di immolarlo sono prove che, anziché avvilire Abramo, lo rafforzano nella fede. Proprio questa “gli fu accreditata come giustizia” e ciò vale anche per coloro che non rimarranno increduli davanti ai segni di Dio.
Vangelo: I rabbini fungevano da mediatori nelle controversie, ma Gesù si rifiuta di farlo dando un insegnamento su come rapportarsi con i beni materiali. Bisogna guardarsi dalla cupidigia: la vita non dipende da ciò che si possiede.
Quello che hai preparato, di chi sarà? – Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non di-pende da ciò che egli possiede». Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa
Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità – Mons. Vincenzo Paglia (Omelia, 22 ottobre 2007): Gesù torna a mostrare quale dev’essere l’atteggiamento dei discepoli verso i beni della terra. Lo spunto è offerto da un uomo che chiede a Gesù di intervenire perché due fratelli dividano equamente l’eredità. Egli si rifiuta di intervenire. Non è maestro di spartizioni. Egli è maestro della Parola di Dio. Interviene perciò non sull’eredità ma sul cuore degli uomini. Del resto è nel cuore dei fratelli che si annida il problema, non nelle cose che debbono dividersi. I cuori dei due fratelli erano appesantiti dal desiderio del denaro e soggiogati dall’avarizia; in un simile terreno non possono che germogliare divisioni e lotte. Paolo scrive a Timoteo: “l’avarizia è la radice di tutti i mali”. Gesù lo spiega con la parabola del ricco stolto. Quest’uomo ricco credeva che la felicità si ottenesse accumulando beni sulla terra. Nella sua vita – è la logica dell’avaro – non c’era spazio per gli altri, perché la vita consisteva nell’accumulare beni esclusivamente per sé. Il ricco aveva però dimenticato l’essenziale: nessuno è padrone della propria vita. E la felicità non sta nel possesso dei beni ma nell’amare Dio e i fratelli.
Stolto… – Evangelium Vitae 32: La parola e i gesti di Gesù e della sua Chiesa non riguardano solo chi è nella malattia, nella sofferenza o nelle varie forme di emarginazione sociale. Più profondamente toccano il senso stesso della vita di ogni uomo nelle sue dimensioni morali e spirituali. Solo chi riconosce che la propria vita è segnata dalla malattia del peccato, nell’incontro con Gesù Salvatore può ritrovare la verità e l’autenticità della propria esistenza, secondo le sue stesse parole: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi” (Lc 5,31-32). Chi, invece, come il ricco agricoltore della parabola evangelica, pensa di poter assicurare la propria vita mediante il possesso dei soli beni materiali, in realtà si illude: essa gli sta sfuggendo, ed egli ne resterà ben presto privo, senza essere arrivato a percepirne il vero significato: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?” (Lc 12,20).
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa
“Signore rendimi degno di disprezzare la mia vita per la vita che è in te. La vita in questo mondo è simile a coloro che si servono delle lettere per formare delle parole. Quando vogliono, aggiungono, tolgono, cambiano le lettere. La vita del mondo a venire, invece, è simile a ciò che sta scritto senza il minimo errore nei libri sigillati con il sigillo regale, in cui non c’è nulla da aggiungere né manca nulla. Dunque finché siamo in mezzo al cambiamento, stiamo attenti a noi stessi. Finché abbiamo il potere sul manoscritto delle nostre vite, su ciò che abbiamo scritto con le nostre mani, sforziamoci di aggiungervi il bene che facciamo e cancelliamo i difetti del nostro comportamento precedente. Finché siamo in questo mondo, Dio non appone il sigillo né sul bene né sul male. Lo fa soltanto nell’ora del nostro esodo, quando è compiuta la nostra opera, al momento di partire. Come ha detto Sant’ Efrem, ci occorre considerare che la nostra anima è simile a una nave pronta per il viaggio, ma non sa quando verrà il vento, o ancora è simile a un esercito che non sa quando suonerà la tromba che annuncia l’assalto. Se dice questo della nave e dell’esercito che aspettano una cosa che forse non succederà, quanto più occorre a noi prepararci prima che venga quel giorno all’improvviso, affinché sia gettato il ponte e aperta la porta del mondo nuovo? Possa Cristo, il mediatore della nostra vita, concederci di essere pronti” (Isacco di Siria).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia
«Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia». Gesù non ha mai predicato una povertà fine a se stessa, non ci invita alla indigenza e non ci sprona all’imprudenza. Il problema non si pone sul possedere dei beni o sull’avere proprietà o risparmi, ma sull’attaccare il cuore ad essi, sul lasciarsi turbare e rubare il sonno dalle preoccupazioni che le cose del mondo potrebbero darci. Peggio ancora se le preoccupazioni per ciò che già posseggo diventano brama per possessi più grandi, o paura di perdere quanto accumulato: in tal caso, entrano pericolosamente nel nostro cuore quei vizi che conducono alla morte: la cupidigia, che è questo affannarsi per accumulare sempre più; oppure l’avarizia che mi fa vivere da povero, pur essendo ricco, impedendomi di dare gloria a Dio per quanto posseggo, anche attraverso le opere di carità a favore dei più sfortunati. Dinanzi a quanto l’uomo possiede, non si pone un problema economico, ma un problema di cuore: se il cuore è in Dio, quelle ricchezze saranno motivo di ringraziamento, di carità, di beneficenza, di serenità. Ma se il cuore è nelle ricchezze, allora queste diverranno motivo di affanno, mi toglieranno la serenità e il sonno, mi renderanno avido e tirchio, mi faranno vivere male, facendo vivere male gli altri.
Preghiamo
Dio onnipotente ed eterno, crea in noi un cuore generoso e fedele, perché possiamo sempre servirti con lealtà e purezza di spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo…