28 Settembre 2019 – Sabato, XXV del Tempo Ordinario – (Zc 2,5-9.14-15a; Ger 31,10-12b.13; Lc 9,43b-45)
I Lettura: “Il profeta vive nell’epoca post-esilica e la sua visione dell’uomo con la fune indica la rinascita di Gerusalemme dopo l’esilio, una città ancora più splendida di quella assediata e saccheggiata dai Babilonesi e che sarà così grande da non potere avere più le mura per i numerosi abitanti che vi si insedieranno coi loro beni e le loro mandrie numerose fino all’eccesso” (E. Cuffaro).
Vangelo: “La profezia a breve termine pronunciata da Gesù costituisce il secondo annuncio della Passione. Esso si colloca immediatamente dopo la trasfigurazione… L’evangelista Luca si compiace di mettere in contrasto il potere salvifico di Gesù, che si è appena manifestato nella guarigione del ragazzo epilettico, con l’annuncio della sua umiliazione e della sua sofferenza personale” (Cuffaro).
Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato. Avevano timore di interrogarlo su que–sto argomento – Dal Vangelo secondo Luca
In quel giorno, mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, Gesù disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini». Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa
Ascoltate, genti, la parola del Signore, annunciatela alle isole più lontane e dite: «Chi ha disperso Israele lo raduna e lo custodisce come un pastore il suo gregge» (Ger 3,10) – Sacramentum Caritatis 31: Se è vero che i Sacramenti sono una realtà che appartiene alla Chiesa pellegrinante nel tempo verso la piena manifestazione della vittoria di Cristo risorto, è tuttavia altrettanto vero che, specialmente nella liturgia eucaristica, ci è dato di pregustare il compimento escatologico verso cui ogni uomo e tutta la creazione sono in cammino (cfr Rm 8,19ss.). L’uomo è creato per la felicità vera ed eterna, che solo l’amore di Dio può dare. Ma la nostra libertà ferita si smarrirebbe, se non fosse possibile già fin d’ora sperimentare qualcosa del compimento futuro. Del resto, ogni uomo per poter camminare nella direzione giusta ha bisogno di essere orientato verso il traguardo finale. Questa meta ultima, in realtà, è lo stesso Cristo Signore vincitore del peccato e della morte, che si rende presente a noi in modo speciale nella Celebrazione eucaristica. Così, pur essendo noi ancora «stranieri e pellegrini» (1Pt 2,11) in questo mondo, nella fede già partecipiamo alla pienezza della vita risorta. Il banchetto eucaristico, rivelando la sua dimensione fortemente escatologica, viene in aiuto alla nostra libertà in cammino. Riflettendo su questo mistero, possiamo dire che con la sua venuta Gesù si è posto in rapporto con l’attesa presente nel popolo di Israele, nell’intera umanità ed in fondo nella stessa creazione. Con il dono di se stesso, Egli ha obiettivamente inaugurato il tempo escatologico. Cristo è venuto per chiamare a raccolta il Popolo di Dio disperso (cfr Gv 11,52), manifestando chiaramente l’intenzione di radunare la comunità dell’alleanza, per portare a compimento le promesse di Dio fatte agli antichi padri (cfr Ger 23,3; 31,10; Lc 1,55.70). Nella chiamata dei Dodici, da porre in relazione con le dodici tribù di Israele, e nel mandato loro affidato nell’Ultima Cena, prima della sua Passione redentrice, di celebrare il suo memoriale, Gesù ha mostrato di voler trasferire all’intera comunità da Lui fondata il compito di essere, nella storia, segno e strumento del raduno escatologico, in Lui iniziato. Pertanto, in ogni Celebrazione eucaristica si realizza sacramentalmente il radunarsi escatologico del Popolo di Dio. Il banchetto eucaristico è per noi reale anticipazione del banchetto finale, preannunziato dai Profeti (cfr Is 25,6-9) e descritto nel Nuovo Testamento come «le nozze dell’Agnello» (Ap 19,7.9), da celebrarsi nella gioia della comunione dei santi.
Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini – CCC 554: Dal giorno in cui Pietro ha confessato che Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, il Maestro «cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme, e soffrire molto […] e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno» (Mt 16,21). Pietro protesta a questo annunzio, gli altri addirittura non lo comprendono. In tale contesto si colloca l’episodio misterioso della trasfigurazione di Gesù su un alto monte, davanti a tre testimoni da lui scelti: Pietro, Giacomo e Giovanni. Il volto e la veste di Gesù diventano sfolgoranti di luce, appaiono Mosè ed Elia che parlano «della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme» (Lc 9,31). Una nube li avvolge e una voce dal cielo dice: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo» (Lc 9,35).
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa
«Essi però non comprendevano… Questa ignoranza dei discepoli non nasce tanto dalla limitatezza del loro intelletto, quanto dall’amore che essi nutrivano per il Salvatore, questi uomini ancora carnali e ignari del mistero della croce, non avevano la forza di accettare che colui che essi avevano riconosciuto essere vero Dio tra poco sarebbe morto. Ed essendo abituati a sentirlo parlare per parabole, poiché inorridivano alla sola idea della sua morte, tentavano di dare un significato figurato anche a quanto egli diceva apertamente a proposito della sua cattura e della sua passione» (Beda).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia
«Mettetevi bene in mente queste parole…». “La società contemporanea fa di tutto per tenere separate tristezza e gioia. Il dolore e la sofferenza devono essere messi in disparte ad ogni costo, perché sono l’opposto della gioia e della felicità che desideriamo. La visione che Gesù ci offre si pone in netto contrasto con questa prospettiva mondana. Gesù, sia nei suoi insegnamenti che con la sua vita, ci ha mostrato che la vera gioia spesso è nascosta in mezzo al nostro dolore, e che la danza della vita trova il suo inizio nel dolore. Egli dice: «Se il grano non muore non può portare frutto… Se non perdiamo la nostra vita, non potremo ritrovarla… Se il Figlio dell’uomo non muore non può mandare lo Spirito…». Ci rivela qui un modo completamente nuovo di vivere. È quello che ci permette di abbracciare il dolore, non per desiderio di soffrire, ma sapendo che qualcosa di nuovo nascerà dal dolore. La croce è diventata il simbolo più potente di questa nuova visione. La croce è un simbolo di morte e di vita, di sconfitta e di vittoria. È la croce che ci mostra il cammino. Rimarrà sempre molto difficile per noi abbracciare la nostra sofferenza, confidando che ci condurrà a una vita nuova… Gesù ha preso su di sé la sofferenza della gente e ne ha fatto un dono di compassione al Padre. Questa è davvero la via che dobbiamo seguire”. (H. J. M. Nouwen, Vivere nello spirito, 29)
Preghiamo
O Dio, che nell’amore verso di te e verso il prossimo hai posto il fondamento di tutta la legge, fa’ che osservando i tuoi comandamenti meritiamo di entrare nella vita eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…