Liturgia, settembre

XXVI del Tempo Ordinario (C) 29 settembre 2019

Antifona d’ingresso

      Signore, tutto ciò che hai fatto ricadere su di noi l’hai fatto con retto giudizio; abbiamo peccato contro di te, non abbiamo dato ascolto ai tuoi precetti; ma ora glorifica il tuo nome e opera con noi secondo la grandezza della tua misericordia. (Dn 3,31.29.30.43.42)

Colletta      

O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono, continua a effondere su di noi la tua grazia, perché, camminando verso i beni da te promessi, diventiamo partecipi della felicità eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Oppure:

O Dio, tu chiami per nome i tuoi poveri, mentre non ha nome il ricco epulone; stabilisci con giustizia la sorte di tutti gli oppressi, poni fine all’orgia degli spensierati, e fa’ che aderiamo in tempo alla tua Parola, per credere che il tuo Cristo è risorto dai morti e ci accoglierà nel tuo regno. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Prima Lettura        Am 6,1a.4-7

Ora cesserà l’orgia dei dissoluti.

Il profeta Amos, con parole forti, rimprovera Israele perché, dimenticando l’alleanza con il Signore, è sprofondato nelle paludi del lusso, del godimento e del benessere. Il castigo di Dio non tarderà a raggiungere il popolo eletto per punirlo esemplarmente.

Dal libro del profeta Amos

Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell’arpa, come Davide improvvisano su strumenti musicali; bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano. Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l’orgia dei dissoluti.     Parola di Dio.

Salmo Responsoriale      Dal Salmo 145 (146)

Rit. Loda il Signore, anima mia.

Il Signore rimane fedele per sempre,

rende giustizia agli oppressi,

dà il pane agli affamati.

Il Signore libera i prigionieri. Rit.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,

il Signore rialza chi è caduto,

il Signore ama i giusti,

il Signore protegge i forestieri. Rit.

Egli sostiene l’orfano e la vedova,

ma sconvolge le vie dei malvagi.

Il Signore regna per sempre,

il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione. Rit.

Seconda Lettura       1Tm 6,11-16

Conserva il comandamento fino alla manifestazione del Signore.

L’apostolo Paolo non ha dubbi, per entrare nel regno di Dio è necessario attraversare molte tribolazioni (cfr At 14,22). È la logica della Croce, la vita cristiana è milizia.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo

Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni. Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo, che al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio, il beato e unico Sovrano, il Re dei re e Signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità e abita una luce inaccessibile: nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo. A lui onore e potenza per sempre. Amen.     Parola di Dio.

Canto al Vangelo            2Cor 8,9

Alleluia, alleluia.

Gesù Cristo da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. Alleluia.

Vangelo         Lc 16,19-31

Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.

«Il ricco Epulone, che durante la vita terrena non ha praticato la carità, soffre irrimediabilmente nell’oltrevita. Egli, come i suoi fratelli, conosceva la legge e le profezie che specificano i modi della giustizia divina: forse riteneva che per lui si sarebbe fatta un’eccezione, e invece tutto si compie alla lettera. Siamo avvertiti anche noi: non possiamo edulcorare la legge di Cristo, affidarci a una “misericordia” che non trovi corrispettivo nella nostra carità. Finché siamo quaggiù abbiamo tempo per compiere il bene, e in tal modo guadagnarci la felicità eterna: poi sarà troppo tardi. Gesù dà un senso anche alle sofferenze di Lazzaro: le ingiustizie terrene saranno largamente compensate nell’altra vita, l’unica che conta» (lachiesa.it).

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Parola del Signore.

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa

Il ricco cattivo e il povero Lazzaro – Spe Salvi 44: Gesù, nella parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro (cfr Lc 16,19-31), ha presentato a nostro ammonimento l’immagine di una tale anima devastata dalla spavalderia e dall’opulenza, che ha creato essa stessa una fossa invalicabile tra sé e il povero: la fossa della chiusura entro i piaceri materiali, la fossa della dimenticanza dell’altro, dell’incapacità di amare, che si trasforma ora in una sete ardente e ormai irrimediabile. Dobbiamo qui rilevare che Gesù in questa parabola non parla del destino definitivo dopo il Giudizio universale, ma riprende una concezione che si trova, fra altre, nel giudaismo antico, quella cioè di una condizione intermedia tra morte e risurrezione, uno stato in cui la sentenza ultima manca ancora.

Morì anche il ricco e fu sepolto – CCC 1021-1022: La morte pone fine alla vita dell’uomo come tempo aperto all’accoglienza o al rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo. Il Nuovo Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva dell’incontro finale con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più riprese, l’immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede. La parabola del povero Lazzaro e la parola detta da Cristo in croce al buon ladrone così come altri testi del Nuovo Testamento parlano di una sorte ultima dell’anima che può essere diversa per le une e per le altre. Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre. «Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore».

Gli inferi – CCC 633: La Scrittura chiama inferi, Shéol o Ade il soggiorno dei morti dove Cristo morto è disceso, perché quelli che vi si trovano sono privati della visione di Dio. Tale infatti è, nell’attesa del Redentore, la sorte di tutti i morti, cattivi o giusti; il che non vuol dire che la loro sorte sia identica, come dimostra Gesù nella parabola del povero Lazzaro accolto nel «seno di Abramo». «Furono appunto le anime di questi giusti in attesa del Cristo a essere liberate da Gesù disceso all’inferno». Gesù non è disceso agli inferi per liberare i dannati né per distruggere l’inferno della dannazione, ma per liberare i giusti che l’avevano preceduto.

Rispetto della persona umana – Gaudium et Spes 27: Scendendo a conseguenze pratiche di maggiore urgenza, il Concilio inculca il rispetto verso l’uomo: ciascuno consideri il prossimo, nessuno eccettuato, come un altro «se stesso», tenendo conto della sua esistenza e dei mezzi necessari per viverla degnamente, per non imitare quel ricco che non ebbe nessuna cura del povero Lazzaro. Soprattutto oggi urge l’obbligo che diventiamo prossimi di ogni uomo e rendiamo servizio con i fatti a colui che ci passa accanto: vecchio abbandonato da tutti, o lavoratore straniero ingiustamente disprezzato, o esiliato, o fanciullo nato da un’unione illegittima, che patisce immeritatamente per un peccato da lui non commesso, o affamato che richiama la nostra coscienza, rievocando la voce del Signore: «Quanto avete fatto ad uno di questi minimi miei fratelli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Inoltre tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l’integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, le costrizioni psicologiche; tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni di vita subumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili: tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose. Mentre guastano la civiltà umana, disonorano coloro che così si comportano più ancora che quelli che le subiscono e ledono grandemente l’onore del Creatore.

Ignorare il povero è disprezzare Dio – Papa Francesco (Catechesi, 18 Maggio 2016): Gesù dice che un giorno quell’uomo ricco morì: i poveri e i ricchi muoiono, hanno lo stesso destino, come tutti noi, non ci sono eccezioni a questo. E allora quell’uomo si rivolse ad Abramo supplicandolo con l’appellativo di “padre” (vv. 24.27). Rivendica perciò di essere suo figlio, appartenente al popolo di Dio. Eppure in vita non ha mostrato alcuna considerazione verso Dio, anzi ha fatto di sé stesso il centro di tutto, chiuso nel suo mondo di lusso e di spreco. Escludendo Lazzaro, non ha tenuto in alcun conto né il Signore, né la sua legge. Ignorare il povero è disprezzare Dio! Questo dobbiamo impararlo bene: ignorare il povero è disprezzare Dio. C’è un particolare nella parabola che va notato: il ricco non ha un nome, ma soltanto l’aggettivo: “il ricco”; mentre quello del povero è ripetuto cinque volte, e “Lazzaro” significa “Dio aiuta”. Lazzaro, che giace davanti alla porta, è un richiamo vivente al ricco per ricordarsi di Dio, ma il ricco non accoglie tale richiamo. Sarà condannato pertanto non per le sue ricchezze, ma per essere stato incapace di sentire compassione per Lazzaro e di soccorrerlo.

Preghiera dei Fedeli                                              (proposta)

Fratelli e sorelle, preghiamo il Signore che si è fatto povero per arricchire noi. Chiediamogli che ci aiuti a non chiuderci nel nostro egoismo, a servirlo attraverso gesti di carità donati ai fratelli.

Preghiamo insieme e diciamo: Ascoltaci, o Signore!

– Per la Chiesa di Cristo: annunci fedelmente il Vangelo nel mondo secolarizzato, soprattutto là dove gli uomini adorano idoli. Preghiamo. Rit.

– Per gli uomini di potere e le autorità politiche: perché la loro opera contribuisca a edificare la pace e la giustizia. Preghiamo. Rit.

– Per i poveri che mancano del necessario: trovino nei cristiani Gesù che si interessa di loro, li aiuta e li difende. Preghiamo. Rit.

– Per la nostra comunità cristiana: si lasci interpellare seriamente dalla Parola di Dio e apra il cuore per riconoscere e aiutare Gesù presente nei poveri. Preghiamo. Rit.

Celebrante

Signore, nutrici sempre con la tua parola, perché le nostre menti e i nostri cuori non si chiudano nell’egoismo, ma sappiano riconoscerti nei fratelli e nelle sorelle che vivono nella povertà. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.

Preghiera sulle offerte

Accogli, Padre misericordioso, i nostri doni, e da quest’offerta della tua Chiesa fa’ scaturire per noi la sorgente di ogni benedizione. Per Cristo nostro Signore.

 

Prefazio delle Domeniche del Tempo Ordinario III   (proposta)

La nostra salvezza nel Figlio di Dio fatto uomo.

È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza,

rendere grazie sempre e in ogni luogo

a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.

Abbiamo riconosciuto il segno della tua immensa gloria

quando hai mandato tuo Figlio

a prendere su di sé la nostra debolezza;

in lui nuovo Adamo hai redento l’umanità decaduta,

e con la sua morte ci hai resi partecipi della vita immortale.

Per mezzo di lui si allietano gli angeli

e nell’eternità adorano la gloria del tuo volto.

Al loro canto concedi, o Signore,

che si uniscano le nostre umili voci nell’inno di lode: Santo…

Antifona alla comunione

Ricorda, Signore, la promessa fatta al tuo servo: in essa mi hai dato speranza, nella mia miseria essa mi conforta. (Sal 119,49-50)

Oppure:

Da questo abbiamo conosciuto l’amore di Dio: egli ha dato la sua vita per noi, e anche noi dobbiamo dar la vita per i fratelli. (1Gv 3,16)

Oppure:

“Il povero fu portato dagli angeli nel seno di Abramo, il ricco nell’infer-no tra i tormenti”. (Lc 16,22-23)

Preghiera dopo la comunione

Questo sacramento di vita eterna ci rinnovi, o Padre, nell’anima e nel corpo, perché, comunicando a questo memoriale della passione del tuo Figlio, diventiamo eredi con lui nella gloria. Per Cristo nostro Signore.

Un po’ di pane per camminare

Anche questa domenica Lc ci propone una parabola centrata sul tema della ricchezza e della povertà; l’argomento simile con la parabola di domenica scorsa, ci ribadisce che i due racconti formano una sorta di dittico che permette a Lc di approfondire l’insegnamento a riguardo della ricchezza.

La parabola, raccontata con quei dettagli caratteristici della cultura del tempo, è una delle più famose e suggestive dell’Evangelo sull’uso e sul valore delle ricchezze. La narrazione è esclusiva di Lc.

Il racconto tuttavia non è una condanna dei ricchi ed un’esaltazione dei poveri di stampo manicheo; è piuttosto un ammonimento severo ad aprire gli occhi e usare giustamente dell’ingiusto “mammona”: il possidente stolto si converta nell’amministratore saggio.

C’era un uomo ricco…”. Subito, senza introduzioni, ci viene presentato il primo personaggio di questa parabola. Il suo modo di vestire ricorda la descrizione dei ricchi in Lc 7,25. “Porpora e lino finissimo” rappresenta il lusso che solo i reali e i ricchi si possono permettere (cfr Gdc 8,26; Sir 45,10; Est 1,6; 8,15). L’uomo ricco è presentato senza nome: un personaggio che ha un nome proprio, per la Bibbia, è un uomo pienamente realizzato, un uomo che risponde in pieno ai significati che Dio ha depositato nella sua vocazione irripetibile e individuale. L’uomo ricco non ha un nome e perciò è descritto in base a quello che fa: “indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti”.

Nella letteratura rabbinica la “porphýra-porpora” (il termine ebraico è uguale al greco) è riservata ai re e a Dio. Nell’impero romano era privilegio esclusivo degli imperatori. Quanto al “býsson”, si tratta di un lino particolarmente fine di provenienza egiziana o indiana, con il quale si confezionavano le tuniche. L’imperfetto di “endidúskōvestire, essere vestito di”, indica un’abitudine e non un’eccezione nel vestire, a confermare così una ricchezza alquanto ostentata.

 

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