16 Settembre 2019 – Lunedì, XXIV del Tempo Ordinario – Santi Cornelio e Cipriano (Memoria) – (1Tm 2,1-8; Sal 27[28]; Lc 7,1-10)
I Lettura: Una delle raccomandazioni principali che Paolo fa a Timòteo è che si promuovano suppliche e preghiere incessanti a Dio a favore di tutti gli uomini in particolare per chi riveste ruoli di responsabilità, così da vivere in pieno la pace, la quale favorisce meglio il vivere la fede. La preghiera non porta di per sé a compiere cose straordinarie, ma cambia il modo di vedere e di reagire di fronte agli avvenimenti. La preghiera porta ad amare le persone e le cose e non a disperarsi per esse.
Vangelo: A differenza del Vangelo di Matteo, in Luca il centurione sembra essere più timido o umile, in quanto non è personalmente lui ad andare da Gesù ma invia degli anziani dei Giudei per chie-dergli di salvare il suo servo che sta morendo. Il centurione era un pagano che pur essendo tale, ebbe fede nella parola di Gesù. L’incontro del Signore con l’ufficiale pagano indica il cammino ideale della fede di ogni credente, che deve essere caratterizzato da una fiducia e abbandono totale. Ancora oggi, noi cristiani, usiamo le stesse parole del centurione nel rito della comunione Eucaristica: “… ma di’ soltanto una parola…”
Neanche in Israele ho trovato una fede così grande – Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù, quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafàrnao. Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano -, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga». Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa». All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa
Signore, non sono degno… – Giovanni Paolo II (Omelia, 4 Giugno 1989): Le parole “Signore… io non sono degno” (Lc 7,6) furono pronunciate per la prima volta da un centurione romano, un uomo che era un soldato nella terra di Israele. Benché fosse uno straniero e un pagano, amava il popolo d’Israele, tanto che – come ci dice il Vangelo – aveva perfino costruito una sinagoga, una casa di preghiera (cfr. Lc 7,5). Per questo motivo i Giudei appoggiarono caldamente la richiesta che voleva fare a Gesù, di guarire il suo servo. Rispondendo al desiderio del centurione, Gesù s’incamminò verso la sua casa. Ma ora il centurione, volendo prevenire l’intento di Gesù, gli disse: “Signore, non stare a disturbarti, perché io non sono degno che tu venga sotto il mio tetto; ecco perché non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te. Ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito” (Lc 7,6-7). Cristo accedette al desiderio del centurione, ma nello stesso tempo “restò ammirato” dalle parole del centurione e rivolgendosi alla folla che lo seguiva disse. “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande” (Lc 7,9). Se ripetiamo le parole del centurione quando ci accostiamo alla Comunione, lo facciamo perché queste parole esprimono una fede che è forte e profonda. Le parole sono semplici, ma in un certo senso contengono la verità fondamentale la quale dice chi è Dio e chi è l’uomo. Dio è il santo, il creatore che ci dà la vita e che ha fatto tutto ciò che esiste nell’universo. Noi siamo creature e suoi figli, bisognosi di essere guariti dai nostri peccati. Non siano mai una formalità sulla nostra bocca, ma un sentito respiro del cuore, una consapevolezza, un impegno.
Il dono incommensurabile dell’Eucaristia – Ecclesia de Eucharistia 48: Come la donna dell’unzione di Betania, la Chiesa non ha temuto di «sprecare», investendo il meglio delle sue risorse per esprimere il suo stupore adorante di fronte al dono incommensurabile dell’Eucaristia. Non meno dei primi discepoli incaricati di predisporre la «grande sala», essa si è sentita spinta lungo i secoli e nell’avvi-cendarsi delle culture a celebrare l’Eucaristia in un contesto degno di così grande Mistero. Sull’onda delle parole e dei gesti di Gesù, sviluppando l’eredità rituale del giudaismo, è nata la liturgia cristiana. E in effetti, che cosa mai potrebbe bastare, per esprimere in modo adeguato l’accoglienza del dono che lo Sposo divino continuamente fa di sé alla Chiesa-Sposa, mettendo alla portata delle singole generazioni di credenti il Sacrificio offerto una volta per tutte sulla Croce, e facendosi nutrimento di tutti i fedeli? Se la logica del «convito» ispira familiarità, la Chiesa non ha mai ceduto alla tentazione di banalizzare questa «dimestichezza» col suo Sposo dimenticando che Egli è anche il suo Signore e che il «convito» resta pur sempre un convito sacrificale, segnato dal sangue versato sul Golgota. Il Convito eucaristico è davvero convito «sacro», in cui la semplicità dei segni nasconde l’abisso della santità di Dio: «O Sacrum convivium, in quo Christus sumitur!». Il pane che è spezzato sui nostri altari, offerto alla nostra condizione di viandanti in cammino sulle strade del mondo, è «panis angelorum», pane degli angeli, al quale non ci si può accostare che con l’umiltà del centurione del Vangelo: «Signore, non sono degno che tu entri sotto il mio tetto» (Mt 8,8; Lc 7,6).
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa
Il battesimo di sangue – Cipriano di Cartagine: Alcuni ci obiettano il caso dei catecumeni: se uno di costoro, prima di essere battezzato nella Chiesa, viene imprigionato e ucciso per la confessione del nome di Cristo, non perde la speranza della salvezza e la ricompensa della confessione, non essendo prima rinato dall’acqua? Sappiano dunque tali uomini, sostenitori e fautori degli eretici, che questi catecumeni conservano, anzitutto, la fede integra e aderiscono alla verità della Chiesa e che escono dagli accampamenti di Dio, per debellare il diavolo, con una conoscenza piena e sincera di Dio Padre, di Cristo e dello Spirito Santo; e poi che non vengono privati del sacramento, perché vengono battezzati col gloriosissimo e supremo battesimo di sangue, riguardo al quale il Signore si riferiva quando diceva che doveva essere battezzato con un altro battesimo [cfr. Lc 12,50]. Che vengano battezzati col loro sangue, che raggiungano la perfezione santificati dalle sofferenze e che ottengano la grazia della divina promessa, lo dichiara lo stesso Signore nel Vangelo, quando parla al ladrone – che nella sua stessa passione ha fede in lui e la professa -, e gli promette che sarà con lui in paradiso.
Silenzio / Preghiera / La tua traccia
«… che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere». San Paolo, rivolgendosi al discepolo e vescovo Timòteo, esorta la comunità cristiana alla preghiera per tutti gli uomini e in particolare per chi detiene il potere. Quando chi comanda è onesto, giusto, equilibrato e timorato di Dio, diviene una benedizione per l’intera società. Come il centurione di cui narra il Vangelo: egli è un pagano, ma viene osannato come amante del popolo e timorato al punto da aver egli stesso costruito una sinagoga per il popolo ebreo. Alla pietà e alla giustizia, il centurione associa anche una buona dose di umiltà, dichiarandosi indegno di accoglierlo nella sua casa. Inoltre egli si mostra oltremodo caritatevole, infatti osa disturbare il Maestro non per fini egoistici o familiari, ma per un servo ammalato. È bene ricordare che in questo contesto storico, gli schiavi valevano poco più che delle semplici bestie da lavoro, senza dignità o diritti, uomini da sfruttare e gettare via quando non erano più in grado di offrire i servizi al loro padrone. A tutte queste virtù fa da corona la fede che egli mostra in Cristo, ritenendolo in grado di comandare alle malattie con una signoria che è propria della divinità. Preghiamo per quanti ci governano, perché, indipendentemente dal colore politico, possano esercitar il loro governo con giustizia e pietà, con prudenza e ogni altra virtù.
Preghiamo
O Dio, che hai dato al tuo popolo i santi Cornelio e Cipriano, pastori generosi e martiri intrepidi, con il loro aiuto rendici forti e perseveranti nella fede, per collaborare assiduamente all’unità della Chiesa. Per il nostro Signore Gesù Cristo…