2 Settembre 2019 – Lunedì, XXII del Tempo Ordinario – (1Ts 4,13-18; Sal 95[96]; Lc 4,16-30) – I Lettura: La comunità di Tessalonica era ancora piuttosto giovane nella fede e non aveva ancora avuto il tempo di approfondire tutti gli aspetti della vita in Cristo. Poiché nella Chiesa delle origini si credeva in un ritorno imminente di Gesù Cristo trionfante e glorioso, uno degli aspetti che più assillavano i Tessalonicési era la sorte di coloro che si erano convertiti ma erano già morti senza vedere il giorno del Signore. Vangelo: In questo brano l’evangelista Luca fa emergere con forza tre grandi linee tematiche che affronterà poi nel corso del suo scritto: il ruolo determinante dello Spirito nell’esistenza di Gesù; il tema dell’identità di Cristo; la traduzione di quell’identità in una forma di relazione con le cose, con gli altri, con Dio. Gesù ritorna in Galilea in un modo totalmente nuovo e in una forma che è appena stata inaugurata. Il Battesimo e le tentazioni hanno segnato un passaggio. Sono state una prova che l’ha introdotto in un tempo differente. Il discorso in sinagoga, dunque non è una generica dichiarazione di intenti, bensì una vera assunzione di identità, ma la reazione perplessa dei compaesani indica l’incapacità di cogliere il nesso tra il divino e l’incarnato. L’ordinarietà del figlio di Giuseppe resta per loro incompatibile con la grazia che esce dalla sue parole e i nazaretani sembrano incapaci di tenere insieme le due cose.
Mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio… Nessun profeta è bene accetto nella sua patria – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, Gesù venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: L’annunzio del regno di Dio – CCC 543-544: Tutti gli uomini sono chiamati ad entrare nel Regno. Annunziato dapprima ai figli di Israele, questo regno messianico è destinato ad accogliere gli uomini di tutte le nazioni. Per accedervi, è necessario accogliere la parola di Gesù: «La parola del Signore è paragonata appunto al seme che viene seminato in un campo: quelli che l’ascoltano con fede e appartengono al piccolo gregge di Cristo hanno accolto il regno stesso di Dio; poi il seme per virtù propria germoglia e cresce fino al tempo del raccolto». Il Regno appartiene ai poveri e ai piccoli, cioè a coloro che l’hanno accolto con un cuore umile. Gesù è mandato per «annunziare ai poveri un lieto messaggio» (Lc 4,18). Li proclama beati, perché «di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3); ai «piccoli» il Padre si è degnato di rivelare ciò che rimane nascosto ai sapienti e agli intelligenti. Gesù condivide la vita dei poveri, dalla mangiatoia alla croce; conosce la fame, la sete e l’indigenza. Anzi, arriva a identificarsi con ogni tipo di poveri e fa dell’amore operante verso di loro la condizione per entrare nel suo Regno
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: “Il nostro Salvatore divenne veramente «Cristo» secondo la carne e nello stesso tempo vero re e vero sacerdote. Egli è l’una e l’altra cosa insieme, perché nulla manchi al Salvatore di quanto aveva come Dio. Egli stesso afferma la sua dignità regale, quando dice: «Io sono stato consacrato re da lui sul santo monte Sion» [Sal 2,6 Vulg]. Il Padre inoltre attesta la dignità sacerdotale del Figlio con le parole: «Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek» [Sal 110,4] … Il Salvatore dunque, secondo la carne, è re e sacerdote. L’unzione però da lui ricevuta non è materiale, ma spirituale. Infatti coloro che presso gli Israeliti erano consacrati re e sacerdoti con l’unzione materiale dell’olio, diventavano re e sacerdoti, non però tutte e due le cose insieme, ma ciascuno di loro era o re o sacerdote. Solo a Cristo compete la perfezione e la pienezza in tutto, poiché era venuto a portare la legge a compimento. Quantunque tuttavia nessuno di loro fosse re e sacerdote insieme, quelli che erano consacrati con l’unzione materiale, o re o sacerdote, erano chiamati «cristi», cioè «unti» [Sal 89]. Il Salvatore però, che è il vero Cristo, fu unto dallo Spirito Santo, perché si adempisse quanto era stato scritto di lui: Per questo «Dio, il tuo Dio ti ha consacrato con olio di letizia a preferenza dei tuoi eguali» [Sal 45,8]. La sua unzione eccelle al di sopra di quella di tutti i suoi compagni perché egli è stato unto con l’olio di letizia, che altro non significa se non lo Spirito Santo.” (Faustino di Roma).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: «… ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». Oggi il Vangelo sembra mettere il dito nella piaga, quasi a far eco delle tante domande che spesso affollano la nostra mente, mettendo a dura prova la nostra già fragile fede: perché se tante erano le vedove in Israele la Provvidenza tramite il profeta aiutò solo una forestiera? E perché su tanti lebbrosi tra il popolo eletto, fu guarito solo un pagano? Potremmo attualizzare tali domande, chiedendoci: perché coloro che più sono vicini a Dio, appartenenti al popolo santo della Chiesa, concittadini dei santi e familiari di Dio (cfr Ef 2,19), spesso sembrano essere meno attenzionati dalla misericordia di Dio? Perché il Signore non guarisce in base alla fede, alle novene, alla vita sacramentale, ecc… di ciascuno dei suoi figli? Una risposta apparentemente banale potrebbe essere questa: i miracoli non sono il premio di un concorso a punti o una graduatoria in cui inserirsi in base al punteggio, nell’attesa che in ordine si possa essere esauditi! I miracoli non sono “meritati” dall’uomo, ma vengono realizzati da Dio per suscitare la fede, per confermare nella grazia e per la salvezza dell’anima. La finalità di Dio non è farci vincere un “gratta e vinci” così da sistemarci, non è farci vivere in eterna salute. Egli ci ha creati per cose ben più grandi e la sua opera mira all’eternità, alla nostra perfetta comunione con lui. Coloro di cui parla il Vangelo erano alla presenza del Dio fatto uomo, eppure si lamentavano perché volevano i miracoli. Noi abbiamo la Chiesa, i Sacramenti, l’Eucarestia e con essa ogni dono e grazia, eppure ci indigniamo e lamentiamo!
Preghiamo: O Dio, nostro Padre, unica fonte di ogni dono perfetto, suscita in noi l’amore per te e ravviva la nostra fede, perché si sviluppi in noi il germe del bene e con il tuo aiuto maturi fino alla sua pienezza. Per il nostro Signore Gesù Cristo…