agosto, Liturgia

XX del Tempo Ordinario (C) 18 agosto 2019

      Dal libro del profeta Geremìa (38,4-6.8-10) – Mi hai partorito uomo di contesa per tutto il paese (Ger 15,10): Il profeta Geremia, di origine sacerdotale, visse e predicò nel regno di Giuda tra il 622 e oltre il 587 a.C., anni drammatici e tumultuosi che videro consumarsi la tragedia della Città santa, del tempio e delle istituzioni che reggevano il popolo di Dio. Perseguitato, incarcerato e percosso come traditore e disfattista a motivo del suo messaggio che non incontrava i progetti dei governanti, egli resta fedele al suo messaggio. Geremia non si ribella alla sua sorte iniqua in quanto ha la certezza che dall’E-terno gli verrà la salvezza (cfr. Bar 4,22): «Mi ha tratto dalla fossa della morte, dal fango della palude; i miei piedi ha stabilito sulla roccia, ha reso sicuri i miei passi» (Sal 39,3).

Dalla lettera agli Ebrei (12,1-4) – Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti: I cristiani, imitando i grandi testimoni del passato, devono cercare «le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio» (Col 3,1). Per correre sulla via della fede senza gli impacci del peccato, i credenti oltre a tenere lo sguardo su Gesù, «autore e perfezionatore della fede», in una continua e amorosa meditazione del mistero della Passione, devono nutrirsi dei dolori del Cristo: «Chiunque vuol vivere in perfezione non faccia altro che disprezzare quello che Cristo disprezzò sulla croce, e desiderare quello che egli desiderò. Nessun esempio di virtù è infatti assente dalla croce» (San Tommaso d’Aquino).

Dal Vangelo secondo Luca (12,49-53) – Non sono venuto a portare pace sulla terra, ma divisione: Gesù è in cammino verso Gerusalemme e parla ai suoi discepoli della sua missione che porterà al mondo pace e salvezza, ma che dovrà passare attraverso il crogiuolo della abnegazione, della rinunzia e della sofferenza. La pace che Gesù dona agli uomini non è pacifismo, ma è un frutto che si può cogliere soltanto sull’albero della croce. Il Vangelo è tutt’altro che comodo: accoglierlo comporta il rinnegamento di sé, la piena vittoria sul peccato e l’esigenza di fedeltà alla parola data a Dio e al suo Cristo. Il battesimo che Gesù deve ricevere è la sua Passione. Egli è angosciato «non per timore della propria morte, ma per il ritardo del compimento della nostra redenzione» (Sant’Ambrogio).

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Approfondimento

      Sono venuto a gettare fuoco – R. T. (Fuoco in Schede Bibliche – EDB): Il fuoco è un elemento presente fin dal tempo di Abramo nella storia delle relazioni tra Dio e il suo popolo; esso però «ha soltanto valore di segno, che bisogna superare per trovare Dio». Nelle teofanie, il fuoco è spesso un segno della presenza di Iahvé e ne rivela la santità sotto il suo duplice aspetto, attraente e temibile: Iahvé si manifesta all’uomo e gli parla, ma esige santità e purità.

Nei sacrifici, il fuoco è il segno della benevolenza e dell’amore di Dio, che accetta e gradisce l’offerta della creatura e la sua volontà di purificazione.

Il fuoco è anche il simbolo della collera divina, il fuoco dell’ira che divora gli empi e punisce il popolo eletto, quando si comporta da peccatore impenitente.

Gesù è annunciato da Giovanni Battista come il vagliatore che getta la paglia nel fuoco e come colui che battezza nello Spirito santo e nel fuoco: «Io vi battezzo con l’acqua per farvi convertire; ma colui che viene dopo di me è più potente di me ed io non sono degno neanche di portargli i calzari; lui vi battezzerà con lo Spirito santo e col fuoco. Ha in mano il suo ventilabro e monderà la sua aia, e raccoglierà il suo grano nel granaio e brucerà la pula con un fuoco inestinguibile» (Mt 3,11-12).

Giovanni, nella sua predicazione, presentava il regno dei cieli, or-mai imminente (cfr Mt 3,1-2), come una discriminazione ed un giu-dizio che si compiono in base alle opere di ognuno. L’era messianica è un tempo di discriminazione che purifica l’aia, ammassando il grano da una parte e gettando invece la paglia nel fuoco. Il messia dunque è il vagliatore; è il santificatore e, nello stesso tempo, il giudice. Egli inaugura il giorno di Iahvé, che porta la salvezza ai credenti, ma che riserva il fuoco della geenna a chi rifiuta la grazia. Dopo questa attestazione del Battista in suo favore, Gesù riceve il battesimo nel Giordano.

Questo atto dà inizio alla sua azione redentrice, ed è anche un segno precursore della sua passione e morte sulla croce, l’altro battesimo che egli attende di ricevere (Mc 10,38).

Nel vangelo di Luca, il battesimo di sangue che Gesù deve ricevere è accostato alla sua missione di portare il fuoco sulla terra (Lc 12,49-50). È questo il solo testo in cui Gesù paragona la sua opera all’azione del fuoco. Il battesimo che egli riceverà sulla croce, accenderà un fuoco nel mondo.

L’offerta sul Calvario, infatti, è la prova del fuoco, in cui la vittima pura viene consumata e diviene purificante per gli uomini, ai quali porta il dono della grazia e della vita nuova. Attraverso il battesimo di sangue di Gesù, «il fuoco è acceso»; esso diventerà operante per i credenti grazie all’azione dello Spirito. Per questo occorre essere battezzati nello Spirito santo e nel fuoco.

La Chiesa ormai vive di questo fuoco che infiamma il mondo grazie al sacrificio di Cristo.

Tale fuoco ardeva nel cuore dei pellegrini di Emmaus, mentre ascoltavano il Maestro risorto: «Ed essi si dissero l’un l’altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?”» (Lc 24,32). È disceso sui discepoli nel giorno della Pentecoste (cfr At 2,3), realizzando per essi il battesimo nello Spirito e nel fuoco (cfr At 1,5).

La vita cristiana è anch’essa sotto il segno del fuoco: non più quello del Sinai, ma quello che consuma l’olocausto delle nostre vite in un culto accetto a Dio (cfr Eb 12,18.28-29).

Per coloro che hanno accolto il fuoco dello Spirito, la distanza tra l’uomo e Dio è superata da Dio stesso, che si è interiorizzato perfettamente nell’uomo. In questo senso è necessario essere «salati» per mezzo del fuoco, il fuoco del giudizio e quello dello Spirito, attraverso i quali si condanna l’uomo vecchio e si entra a far parte del regno come fedeli: «Perché ciascuno sarà salato col fuoco. Buona cosa è il sale: ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace tra voi» (Mc 9,49-50).

Commento al Vangelo

Sono venuto a portare il fuoco sulla terra – Il brano si divide distintamente in due parti. Nella prima Gesù parla ai discepoli del significato profondo della sua missione sulla terra; nella seconda si rivolge alla folla biasimandola per l’ostinata incapacità a decidersi nei suoi riguardi con intelligenza e giustizia.

Gesù ‘sale’ verso la Città santa dove l’attendono la morte ignominiosa di croce e la gloria: durante questo tragitto ammaestra e prepara i discepoli al compimento del suo mistero pasquale.

Il fuoco nelle manifestazioni divine «è spesso un segno della presenza di Iahvé e ne rivela la santità sotto il duplice aspetto, attraente e terribile: Iahvé si manifesta all’uomo e gli parla, ma esige santità e purità» (R. T.). Invece, il fuoco che Gesù ha portato sulla terra è un po’ più misterioso: può essere il fuoco del giudizio escatologico, che purifica o castiga secondo ci si schiera pro o contro il Cristo.

Potrebbe essere invece il fuoco dello Spirito Santo che discende sui credenti immersi nelle acque salutari del Battesimo: un dono promesso e inviato da Gesù a compimento della sua missione di salvezza (cfr At 1,5). Un’altra ipotesi potrebbe essere quella del fuoco purificatore della Passione e della morte attraverso il quale Gesù brama di passare per portare a compimento la sua missione di salvezza. In questo modo fuoco e battesimo si saldano in un binomio inscindibile. Infatti, il battesimo che Gesù deve ricevere va inteso nel senso generico del termine battesimo, che in greco significa «immersione». Nella Passione, Gesù sarà come immerso in un mare indicibile di dolori.

Il linguaggio di Gesù ricorda «quello di Giovanni Battista, quando presentava il Messia appunto come colui che avrebbe battezzato i credenti “in Spirito Santo e fuoco” [Gv 3,16]. È tuttavia difficile sapere se in questo caso è al giudizio o allo Spirito che si riferisce il fuoco, per quanto concerne il testo di Luca. Ma un battesimo di nuovo tipo attende il Messia: il martirio. Gesù non ha certo un desiderio di morte; però il martirio non gli fa paura. E gli va incontro, perché la prova che segnerà la fine della sua missione terrena è indispensabile perché possa venire lo Spirito Santo – sotto forma di lingue di fuoco: At 2,3 – e possa continuare il tempo della Chiesa, un tempo di prova per tutti coloro che crederanno in lui» (Hugues Cousin).

La pace che Gesù dona al mondo non è una pace a buon mercato, perché comporta lacerazioni, divisioni, rotture di relazioni con gli amici, con i familiari, anche con i più intimi: «Gesù è un “segno di contraddizione” (Lc 2,34) che, senza volere le discordie, le provoca ne-cessariamente per le esigenze di scelta che richiede» (Bibbia di J.).

Alla fine, Gesù, si rivolge alla folla partendo da elementi ben sperimentabili. In Palestina, le grandi piogge vengono da sud-ovest, dal mare; lo scirocco, dal sud, porta il caldo.

Con profonda amarezza Gesù deve costatare che la folla, pur essendo ben preparata a cogliere i cambiamenti climatici, non è affatto capace di rilevare la presenza in mezzo ad essa di Colui che ha disposto con sapienza «l’avvicendarsi dei tempi e delle stagioni» (Pre-fazio V Domenica T. O.).

Colui, per mezzo del quale «sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili» (Col 1,16), vero Dio e vero Uomo (cfr Gv 1,14; Rm 9,5), è «disceso sulla terra» (Ef 4,9) ed è decisivo ai fini della salvezza pronunziarsi su di lui. È di massima urgenza perché è in gioco la salvezza: la decisione non va presa secondo preconcetti e velleità che nulla hanno a che fare con un giusto giudizio (cfr Lc 4,16-30).

Questa incapacità è anche ipocrisia perché i segni, attraverso i quali dare un giusto giudizio, nella vita di Gesù sono evidentissimi: «Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre» (Gv 10,36-38).

Respingendo Gesù, gli uomini si perdono senza speranza; peccano contro la verità. È il peccato contro lo Spirito Santo che non sarà perdonato né in questo secolo, né in quello futuro (cfr Mt 12,32).

Riflessione

Sono venuto a portare la divisione – Senza esagerare si può dire che non vi è lembo di terra che non sia bagnato e fecondato dal sangue dei martiri cristiani.

Avendo Gesù «manifestato la sua carità dando per noi la vita, nessuno ha più grande amore di colui che dà la vita per lui e per i fratelli [cfr 1Gv 3,16]. Già fin dai primi tempi quindi, alcuni cristiani sono stati chiamati, e altri lo saranno sempre, a rendere questa massima testimonianza d’amore davanti agli uomini, e specialmente davanti ai persecutori. Perciò il martirio, col quale il discepolo è reso simile al suo maestro che liberamente accetta la morte per la salute del mondo, e col quale diventa simile a lui nella effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come dono insigne e suprema prova di carità. Ché se a pochi è concesso, tutti però devono essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce durante le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa» (LG 42).

La ragione fondamentale della persecuzione sta nella lotta violenta tra il bene e il male, che spesso sul volto dei persecutori assume i tratti del ghigno satanico. Dinanzi ai torturatori il cristiano non può e non deve avere paura; non può e non deve abbandonare la sua opera evangelizzatrice: solo nella lotta avrà sempre la certezza di imitare Cristo, e quindi di essere nella linea della redenzione.

Benedetto XVI (Angelus, 19 agosto 2007) – C’è un’espressione di Gesù, nel Vangelo di questa domenica, che attira ogni volta la nostra attenzione e richiede di essere ben compresa. Mentre è in cammino verso Gerusalemme, dove lo attende la morte di croce, Cristo confida ai suoi discepoli: “Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione”. E aggiunge: “D’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera” [Lc 12,51-53]. Chiunque conosca minimamente il Vangelo di Cristo, sa che è messaggio di pace per eccellenza; Gesù stesso, come scrive san Paolo, “è la nostra pace” [Ef 2,14], morto e risorto per abbattere il muro dell’inimicizia e inaugurare il Regno di Dio che è amore, gioia e pace.

Come si spiegano allora queste sue parole? A che cosa si riferisce il Signore quando dice di essere venuto a portare – secondo la redazione di san Luca – la “divisione”, o – secondo quella di san Matteo – la “spada” [Mt 10,34]? Questa espressione di Cristo significa che la pace che Egli è venuto a portare non è sinonimo di semplice assenza di conflitti. Al contrario, la pace di Gesù è frutto di una costante lotta contro il male. Lo scontro che Gesù è deciso a sostenere non è contro uomini o poteri umani, ma contro il nemico di Dio e dell’uomo, Satana. Chi vuole resistere a questo nemico rimanendo fedele a Dio e al bene deve necessariamente affrontare incomprensioni e qualche volta vere e proprie persecuzioni.

Perciò, quanti intendono seguire Gesù e impegnarsi senza compromessi per la verità devono sapere che incontreranno opposizioni e diventeranno, loro malgrado, segno di divisione tra le persone, addirittura all’interno delle loro stesse famiglie. L’amore per i genitori infatti è un comandamento sacro, ma per essere vissuto in modo autentico non può mai essere anteposto all’amore di Dio e di Cristo. In tal modo, sulle orme del Signore Gesù, i cristiani diventano “strumenti della sua pace”, secondo la celebre espressione di san Francesco d’Assisi. Non di una pace inconsistente e apparente, ma reale, perseguita con coraggio e tenacia nel quotidiano impegno di vincere il male con il bene [cfr Rm 12,21] e pagando di persona il prezzo che questo comporta.

La Vergine Maria, Regina della Pace, ha condiviso fino al martirio dell’anima la lotta del suo Figlio Gesù contro il Maligno, e continua a condividerla sino alla fine dei tempi. Invochiamo la sua materna intercessione, perché ci aiuti ad essere sempre testimoni della pace di Cristo, mai scendendo a compromessi con il male.

La pagina dei Padri

I martiri danno testimonianza a favore della fede nella risurrezione – Sant’Agostino: A che cosa danno testimonianza tali miracoli (avvenuti nei luoghi destinati al culto dei martiri), se non a questa fede che predica la risurrezione di Cristo nella carne e la sua ascensione al cielo con la carne? Gli stessi martiri infatti furono «martiri» di questa fede, cioè suoi testimoni: a questa fede dettero testimonianza davanti al mondo inimicissimo e crudelissimo, che vinsero non combattendo, ma morendo. Per questa fede sono morti, e ora possono impetrarla al Signore, per il cui nome furono uccisi. È per questa fede che essi hanno anzitutto sofferto con una ammirevole pazienza affinché in seguito potessero manifestare questa grande potenza. Poiché, se la risurrezione della carne per l’eternità non ha avuto già luogo nel Cristo, o non deve aver luogo in futuro come l’ha predetto il Cristo e come l’hanno predetto i profeti che hanno annunziato il Cristo, perché tanto potere è stato concesso a dei morti che hanno gettato via la loro vita per una fede che proclama questa risurrezione? Infatti, sia che Dio stesso operi da sé in quel modo mirabile con cui egli, eterno, agisce nelle cose temporali, sia che operi per mezzo dei suoi ministri; e in questo caso, sia che agisca per mezzo dello spirito dei martiri, come fa per mezzo degli uomini ancora viventi in questa carne, sia per mezzo degli angeli, in cui opera in modo invisibile, immutabile e incorporeo – e di conseguenza i miracoli che si dicono compiuti dai martiri avverrebbero solo per le loro preghiere e impetrazioni, non per la loro opera – sia che egli li compia alcuni in un modo, altri in un altro modo che a noi mortali non è possibile comprendere: tuttavia è certo che questi prodigi sono una testimonianza in favore di quella fede che annuncia la risurrezione della carne per l’eternità.

 

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