agosto, Liturgia

XIX del Tempo Ordinario (C) 11 agosto 2019

      Dal libro della Sapienza (18,6-9) – Come punisti gli avversari, così glorificasti noi, chiamandoci a te: Il libro della Sapienza, l’ulti-mo libro dell’Antico Testamento, pur presentandosi come opera del re Salomone, è stato composto da un pio giudeo di lingua greca, sicuro conoscitore del mondo ellenistico, che viveva in Alessandria d’Egitto tra il 120-80 a.C.. Imbevuto della più pura tradizione biblica, l’autore si rivolge ai suoi correligionari che vivevano in ambiente greco, per convincerli della superiorità della sapienza ebraica, ispirata da Dio e concretamente espressa nella legge che governa il popolo eletto, sulla filosofia e la vita pagana. Il testo odierno celebra la potenza di Dio che «con braccio teso e con grandi castighi» (Es 6,6) ha liberato Israele dalla schiavitù egiziana conducendolo, come fa un padre con un figlio (cfr 2Sam 7,14), fino alla terra promessa, terra lussureggiante dove «scorre latte e miele» (Es 3,8).

  Dalla lettera agli Ebrei (11,1-2.8-19) – Egli aspettava la città il cui architetto e costruttore è Dio stesso: La Lettera agli Ebrei è un discorso esortativo rivolto ai cristiani di origine giudaica, i quali, trovandosi in un grave pericolo, erano tentati di ritornare all’ebraismo. Ricordando la fede e l’esempio di Abramo, di Sara e di innumerevoli altri testimoni, l’autore, spiega agli ebrei, scoraggiati dalle persecuzioni, «che la fede è completamente orientata verso l’avvenire e si at-tacca solo all’invisibile. Questo versetto è diventato una specie di de-finizione teologica della fede, possesso anticipato e conoscenza certa delle realtà celesti [cfr Eb 6,5; Rm 5,2; Ef 1,13s]. Gli esempi presi dall’agiografia dell’AT [cfr Sir 44-50] dimostrano di quale pazienza e di quale forza essa è fonte» (Bibbia di Gerusalemme). La vittoria arriderà solo al cristiano che avrà impugnato lo scudo della fede.

  Dal Vangelo secondo Luca (12,32-48; forma breve 12,35-40) – Anche voi tenetevi pronti: La vigilanza amorosa permette all’uomo di stare sempre unito con il suo Signore, donando, in questo modo, al suo cuore, trasfigurato dalla presenza viva dello Spirito Santo, la certezza infallibile del conseguimento dei beni promessi da Dio. In questo atteggiamento di attesa, costruito sull’amore, sulla fede e sulla speranza, c’è tutta la vita dell’uomo credente.

Dal Vangelo secondo Luca

  In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

Approfondimento

      La fede – Nell’Antico Testamento, la fede, più che un gesto di adesione volontaria alle verità rivelate da Dio e a Dio stesso, significa una pratica di obbedienza e di confidenza verso Dio.

      L’esempio tipico dell’uomo di fede è Abramo il quale “credette al Signore” (Gen 15,6) “sperando contro ogni speranza” (Rm 4,18). Egli, infatti, rimettendosi a Dio e credendo alle sue promesse e alla sua potenza nell’attuarle (cfr Rm 4,17-21; Eb 11,19), abbandonando ogni altra sicurezza umana, se ne va dalla sua terra per un paese sconosciuto (Gen 12,1ss).

  “L’esistenza e l’avvenire del popolo eletto dipendono da questo atto assoluto di fede [cfr Eb 11,8-9]. Non si tratta soltanto della sua discendenza carnale, ma di tutti coloro che la stessa fede renderà figli di Abramo, come lo mostra san Paolo [cfr Rm 4; Gal 3,7]” (Bibbia di Gerusalemme).

  I profeti parlano raramente di fede in Dio; è Isaia che usa per primo questo concetto (cfr Is 7,9). Egli invita continuamente il popolo d’Israele ad una fede assoluta in Dio che li proteggerà dai popoli che lo minacciano. Solo con la fede sarà possibile rimanere forti e sopravvivere: “Dice il Signore Dio: Ecco io pongo una pietra in Sion, una pietra scelta, angolare, preziosa, saldamente fondata: chi crede non vacillerà” (Is 28,16; cfr Is 7,4; 30,15; 35,10).

  “Lo scopo della fede richiesta da Isaia dimostra che la fede è una dedizione totale a Yahweh, una rinuncia ai mezzi secolari e materiali, una ricerca di sicurezza soltanto nel volere salvifico di Dio. In questo modo veramente si accetta Dio come fedele e sincero” (John L. Mckenzie).

  Nel Nuovo Testamento è in Gesù che bisogna credere (cfr Mt 8,10; Gv 3,11): è lui stesso a chiederlo (cfr Mt 9,28; Mc 4,36; Lc 8,25); elogia la fede (cfr Lc 7,9) e quando guarisce miracolosamente qualcuno afferma che è stata la fede a donare la sanità del corpo che spesso coinvolge quella dello spirito (cfr Mt 9,22; Mc 2,5; 5,34; Lc 8,48).

  Per gli Atti degli Apostoli diventare cristiani significa “crede-re” (cfr At 4,4; 13,12; 14,1; 15,7): credere in Cristo Gesù, credere che si è salvati “per la grazia del Signore Gesù” (At 15,11). Credente è la designazione comune di chi accetta la predicazione degli Apostoli e si associa alla comunità cristiana. San Paolo ricorda spesso il suo “in-contro” con il Risorto perché da quel giorno, il giorno della sua conversione, per mezzo della fede (cfr Rm 1,16), il Cristo è diventato il soggetto di tutte le sue azioni vitali: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 5,20). A rendere l’uomo giusto è la fede insieme al battesimo (cfr Rm 1,17; 3,22-30; ecc.) e in Rm 10,8-9 san Paolo verga sinteticamente un compendio della fede: “Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore: cioè la parola della fede che noi predichiamo. Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo”. La fede del cristiano, il quale vive nel mondo cercando “le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio” (Col 3,1), è ancora oscura (cfr Gv 20,29; 2Cor 5,7; Eb 11,1).

  Accompagnata “dalla speranza [cfr Rm 5,2], essa deve crescere [cfr 2Cor 10,15; 1Ts 3,10; 2Ts 1,3] nella lotta e nelle sofferenze [cfr Fil 1,29; Ef 6,16; 1Ts 3,2-8; 2Ts 1,4; Eb 12,2; 1Pt 5,9], nella fortezza [cfr 1Cor 16,13; Col 1,23; 2,5.7] e nella fedeltà [cfr 2Tm 4,7; Rm 1,14; 1Tm 6,20] fino al giorno della visione e del possesso [cfr 1Cor 13,12; 1Gv 3,2]” (Bibbia di Gerusalemme).

  In questo giorno, beato e perfetto, le “profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà” (1Cor 13,8) e i credenti vedranno Dio “faccia a faccia” (1Cor 13,12): “Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto” (ibidem).

Commento al Vangelo

  Non temere piccolo gregge (vedi forma lunga) – Nell’Antico Testamento, il popolo d’Israele aveva goduto il privilegio di essere il gregge di Dio (cfr Ger 23,1-6; Ez 34,1ss; Zc 11,4-17), ora, nel Nuovo Testamento, a goderlo è la Chiesa; i credenti sono il nuovo e vero gregge di Dio, «il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui» (1Pt 2,9; cfr Gal 3,29; 6,16; Fil 2,3).

  Il termine poimnion indica già un piccolo gregge, Luca aggiungendovi mikron (piccolo) lo rende ancora più piccolo, più indifeso. Uno sparuto gregge sempre sotto attacco. Da una parte feroci e famelici lupi e dall’altra le preoccupazioni della vita (cfr Lc 12,4.22-31).

  Dinanzi a tali ineludibili pericoli e affanni (cfr Gv 15,20), Gesù, volendo infondere coraggio, svela ai suoi discepoli il disegno del Padre: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno» (Lc 12,32).

  Davanti a tale benevolenza le possenti e fameliche mandibole degli avversari non devono più far paura: la volontà divina deve generare nei credenti fiducia, pace, sicurezza (cfr Rm 8,31).

  Così la povertà: non sarà più un terribile spauracchio. Da qui il fermo proposito di disfarsi delle ricchezze il cui attaccamento è «la radice di tutti i mali» (1Tm 6,10). Luca ama mettere l’accento sul pericolo delle ricchezze (cfr Lc 23,11; 5,11-28; 6,30; 7,5; 11,41; 12,33-34; 14,13.33; 16,9; 18,22; 19,8; At 9,36; 10,2.4.31).

  A una società licenziosa, dove il denaro è tutto ed è sinonimo di potenza, lusso, prepotenza, angherie, sfrenatezze di ogni natura e specie, i cristiani devono contrapporre una comunità povera, abbandonata alla Provvidenza. Ciò è stato compreso fin dalla prima ora dagli Apostoli e dai discepoli i quali, proprio per essere fedeli a questa radicalità evangelica, metteranno in comune i loro beni (cfr At 2,44ss; 4,32-37; 5,1-11).

  Le parole di Gesù «Vendete ciò che avete… fatevi un tesoro inesauribile nei cieli…», così sono state commentate da san Giovanni Crisostomo: «Se porrete il vostro tesoro in Cielo, non trarrete solo il vantaggio di ottenere i premi preparati per esso, ma riceverete anche una ricompensa anticipata: mentre ancora siete in questa esistenza, potrete volgervi al Cielo, pensare alle realtà celesti e non avere altra preoccupazione che per i beni di lassù, perché, è evidente, ov’è il tuo tesoro, là è anche il tuo cuore. Se, invece, nasconderete il vostro tesoro in terra, vi accadrà tutto l’opposto» (Exp. in Matth. XX, 3).

  Affrancati da pesi inutili quali la paura della morte violenta o la brama di possedere, i discepoli possono tenere bene gli occhi aperti sulle realtà future (cfr Col 3,1-3) e attendere con gioia e fiducia la venuta gloriosa dello Sposo celeste. Una vigilanza ad oltranza, che deve andare al di là dei tanti pronostici più o meno umani.

  Forse le parole di Luca celano la delusione di quei primi cristiani i quali credevano imminente la venuta del Cristo (cfr 2Ts 2,1-12): il ri-tardo non deve sfiancare i credenti i quali non devono prendere pretesto da questo ritardo per agire irresponsabilmente (cfr Mt 24,48).

  L’insegnamento è illustrato in modo molto incisivo da due parabole: quella del padrone che rientra di notte e quella del ladro che viene di notte.

  La fine, quella personale e quella del mondo, sarà improvvisa perché è incerto il momento della morte e del ritorno del Signore. Quindi, la prospettiva è «quella della parusia: bisogna star pronti perché non si sa a che ora il Signore ritornerà. [Con i] fianchi cinti e le lucerne accese… Si tratta di tenersi pronti, cioè in tenuta da viaggio [cfr Es 12,11 per celebrare la Pasqua è necessario avere i fianchi cinti!]: si tratta, ancora una volta, di andare incontro al Signore che passa, che viene. Tenetevi pronti: come si vede, l’invito alla vigilanza viene articolato in ammonimenti [vv. 35 e 40], in parabole [36-38.39-40] e in beatitudini [37s]: alla luce dell’insegnamento sapienziale, Gesù non lascia mancare la promessa delle beatitudini» (Carlo Guidelli, Luca, Nuovissima Versione della Bibbia).

  Oltre a tenersi pronto per il ritorno del padrone, il servo, come diligente amministratore, deve imparare ad essere fedele, per custodire i beni del padrone, e farsi prudente per una oculata amministrazione. Queste qualità in seguito verranno richieste agli episcopi e ai presbiteri (cfr 1Tm 3,2-7; Tt 1,5-9).

  Come il premio è commisurato alla diligenza, così il castigo alla pigrizia e alla conoscenza più o meno approfondita della volontà del padrone: come ricompensa, il servo fedele e saggio si vedrà affidare dal suo padrone un incarico più prestigioso, l’amministrazione di tutti i beni; come castigo il servo infedele sarà punito con rigore e sarà posto nel numero dei servi infedeli, fuori dalla comunità dei credenti.

  Fuori metafora, se si sposta tutto al giorno del giudizio, Gesù, salutarmente, ha voluto suggerire ai suoi amici che la partita della vita eterna si gioca tutta sul campo del lavoro e dell’impegno quotidiano: solo chi è fedele fino alla fine potrà varcare la porta del Regno di Dio (cfr Eb 3,19).

Riflessione

  Abramo pensava che Dio è capace di far risorgere dai morti – Nel «giorno del giudizio», giorno che l’uomo non conosce, i morti risusciteranno (cfr 1Ts 4,13-18; 1Cor 15,12-23.51s) e tutti gli uomini compariranno davanti al tribunale del Cristo (cfr Mt 25,1s; Rm 14,10): «Davanti a Cristo che è la verità sarà definitivamente messa a nudo la verità sul rapporto di ogni uomo con Dio» (CCC 1039).

  Sarà un giudizio imparziale che appartiene soltanto a Dio, il quale per mezzo del suo Cristo giudicherà i vivi e i morti (cfr At 10,42; 2Tm 4,1; 1Pt 4,5). Egli renderà a ciascuno secondo le sue opere (cfr 1Cor 3,8.13-15; 2Cor 5,10; 11,15; Ef 6,8; Ap 2,23; 20,12; 22,12). In quel «giorno», l’uomo raccoglierà quello che avrà seminato: «Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna» (Gal 6,7-9).

  «In linea con i profeti e con Giovanni Battista Gesù ha annunciato nella sua predicazione il giudizio dell’ultimo giorno. Allora saranno messi in luce la condotta di ciascuno e il segreto dei cuori. Allora verrà condannata l’incredulità colpevole che non ha tenuto in alcun conto la grazia offerta da Dio. L’atteggiamento verso il prossimo rivelerà l’accoglienza o il rifiuto della grazia e dell’amore divino. Gesù dirà in quell’ultimo giorno: “Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” [Mt 25,40]» (CCC 678).

  In quel «giorno», il diavolo sarà gettato «nello stagno di fuoco e zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta: saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli» (Ap 20,10). La stessa sorte toccherà agli empi (cfr Ap 20,11-15) e la morte sarà ridotta all’impotenza (cfr Ap 20,10; 21,4; 20,6).

  I giusti, sui quali non avrà potere la seconda morte, saranno «sacerdoti del Signore Dio e del Cristo» (Ap 20,6) e nella città santa «ve-dranno la faccia [di Dio] e porteranno il suo nome sulla fronte. Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli» (Ap 22,4-5).

  Sconcerta la chiarezza della Parola di Dio: «Se qualcuno insegna diversamente e non segue le sane parole del Signore nostro Gesù Cristo e la dottrina secondo la pietà, costui è accecato dall’orgoglio, non comprende nulla ed è preso dalla febbre di cavilli e di questioni oziose» (1Tm 6,3-4).

  Questa è la verità e non può essere mercificata.

  A coloro che sono presi «dalla febbre di cavilli e di questioni oziose» verrebbe voglia di dire: povero sciocco, come s’inganna un uomo, credi di ingannare Dio? (cfr. Gb 13,9).

  Eugen Berthold Friedrich Brecht, morto a Berlino il 1956, unanimamente è considerato il più influente drammaturgo, poeta e regista teatrale tedesco del XX secolo. Autore di opere note in tutto il mondo, chi non conosce l’Opera da tre soldi?, a proposito della verità ebbe a dire: «Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente». Più chiaro di così!

La pagina dei Padri

  I tesori duraturi – San Leone Magno: L’animo pio e casto gode tanto di essere riempito dal possesso del Signore, da non desiderare nessuna gioia al di fuori di lui. È verissimo infatti ciò che il Signore dice: Dov’è il tuo tesoro, ivi è anche il tuo cuore (Mt 6,21).

  Cosa è il tesoro dell’uomo, se non l’ammasso dei suoi frutti, il raccolto delle sue fatiche? Quello che ciascuno semina, poi miete; quale è il lavoro di ciascuno, tale è la ricompensa; ove è gioia e diletto, il cuore indirizza le sue cure.

  Ma molti sono i generi di ricchezza e vari sono i motivi di gioia. Per ciascuno è un tesoro l’affetto delle sue brame; ma se si tratta di brame terrene, non rendono beati, ma miseri. Quelli invece che hanno il gusto delle cose di lassù, non di quelle terrene, che sono tutti intenti non ai beni transitori, ma a quelli eterni, hanno nascosto il loro possesso incorruttibile in ciò che dice il profeta: È giunto il nostro tesoro e la nostra salvezza dal Signore: la sapienza, l’osservanza e la pietà. Questi sono i tesori della giustizia (Is 33,6: LXX).

  Queste virtù, con l’aiuto della grazia di Dio, rendono celesti anche i beni terreni: molti usano quale strumento di pietà le ricchezze giustamente ereditate o in altro modo acquistate. E distribuendo a sostentamento dei poveri i beni, che possono essere anche esuberanti, si ammassano delle ricchezze che mai perderanno, perché ciò che destinano nelle elemosine è sicuro da ogni perdita.

  Giustamente, dunque, costoro hanno il cuore là ove è il loro tesoro: è una vera beatitudine, infatti, adoperarsi perché tali ricchezze crescano senza timore che vadano perdute.

 

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