luglio, meditazioni

8 Luglio 2019

8 Luglio 2019 – Lunedì, XIV del Tempo Ordinario – (Gen 28,10-22a; Sal 90[91]; Mt 9,18-26) – I Lettura: In questa notte nella vita di Giacobbe irrompe non soltanto un sogno, ma Dio stesso, che parla al patriarca in modo personale, rivelandosi e rinnovando la promessa fatta ad Abramo. Fino ad ora, infatti, Dio è rimasto sostanzialmente assente nella storia di Giacobbe. Ora invece Dio entra nella sua vita con la verità del proprio Nome. Dopo la visione e dopo aver ascoltato la parola di Dio, Giacobbe esclama: «Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo». Vangelo: Nel Vangelo di Matteo la narrazione delle due guarigioni è più sintetica rispetto agli altri sinottici, l’evangelista pone in evidenza la parola che Gesù rivolge anche a ciascuno di noi, quando, di fronte alle avversità, troviamo il coraggio di reagire: “Coraggio, la tua fede ti ha salvato”. Il Signore non rimane insensibile al nostro desiderio, alla speranza che vince lo smarrimento: è questo il terreno sul quale lui può intervenire, il terreno della fede, che è fiducia in lui.

Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni ed ella vivrà Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, [mentre Gesù parlava,] giunse uno dei capi, gli si prostrò dinanzi e disse: «Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano su di lei ed ella vivrà». Gesù si alzò e lo seguì con i suoi discepoli. Ed ecco, una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni, gli si avvicinò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. Diceva infatti tra sé: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata». Gesù si voltò, la vide e disse: «Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata». E da quell’istante la donna fu salvata. Arrivato poi nella casa del capo e veduti i flautisti e la folla in agitazione, Gesù disse: «Andate via! La fanciulla infatti non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma dopo che la folla fu cacciata via, egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò. E questa notizia si diffuse in tutta quella regione.

Riflessione: «Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano su di lei ed ella vivrà». Quanta potenza contiene la fede in Dio! Di quali miracoli è capace! Com’è bello fermarci oggi a contemplare la figura di questo padre: in lui non troviamo la legittima disperazione di chi ha perso una figlia dodicenne, non troviamo la rabbia di chi si scaglia contro il Cielo per la perdita subìta, non troviamo nelle sue labbra una richiesta titubante o desiderosa di capire se Gesù potesse essere in grado di compiere un gesto così incredibile e inaudito come la risurrezione di un morto. In lui scorgiamo il modello di fede perfetta, di chi ha la certezza che Dio è il Dio dell’impossibile. Questo padre diventa per noi la rappresentazione di cosa significhi sperare contro ogni speranza, come l’altro padre di un figlio, anch’egli dodicenne, Abramo (cfr. Rm 4,18). La fede ci permette di agire con autorità presso il cuore di Dio, come Maria a Cana (cfr. Gv 2,5), come Marta alla morte di Làzzaro (cfr. Gv 11,22) e abbiamo la certezza che Dio ascolta quanti si rivolgono a lui con fede (cfr. Gv 14,12-14).

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata… le prese la mano e la fanciulla si alzò… – Benedetto XVI (Angelus, 1 luglio 2012): Questi due racconti di guarigione sono per noi un invito a superare una visione puramente orizzontale e materialista della vita. A Dio noi chiediamo tante guarigioni da problemi, da necessità concrete, ed è giusto, ma quello che dobbiamo chiedere con insistenza è una fede sempre più salda, perché il Signore rinnovi la nostra vita, e una ferma fiducia nel suo amore, nella sua provvidenza che non ci abbandona. Gesù che si fa attento alla sofferenza umana ci fa pensare anche a tutti coloro che aiutano gli ammalati a portare la loro croce, in particolare i medici, gli operatori sanitari e quanti assicurano l’assistenza religiosa nelle case di cura. Essi sono «riserve di amore», che recano serenità e speranza ai sofferenti. Nell’Enciclica Deus caritas est osservavo che, in questo prezioso servizio, occorre innanzitutto la competenza professionale – essa è una prima fondamentale necessità – ma da sola non basta. Si tratta, infatti, di esseri umani, che hanno bisogno di umanità e dell’attenzione del cuore. «Perciò, oltre alla preparazione professionale, a tali operatori è necessaria anche, e soprattutto, la “formazione del cuore”: occorre condurli a quell’incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l’amore e apra il loro animo all’altro» (n. 31).

La malattia può rendere la persona più matura – CCC 1501: La malattia può condurre all’angoscia, al ripiegamento su di sé, talvolta persino alla disperazione e alla ribellione contro Dio. Ma essa può anche rendere la persona più matura, aiutarla a discernere nella propria vita ciò che non è essenziale per volgersi verso ciò che lo è. Molto spesso la malattia provoca una ricerca di Dio, un ritorno a lui.

Cristo fa sue le miserie dei malati – CCC 1505: Commosso da tante sofferenze, Cristo non soltanto si lascia toccare dai malati, ma fa sue le loro miserie: “Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie” (Mt 8,17; Is 53,4). Non ha guarito però tutti i malati. Le sue guarigioni erano segni della venuta del Regno di Dio. Annunciavano una guarigione più radicale: la vittoria sul peccato e sulla morte attraverso la sua pasqua. Sulla croce, Cristo ha preso su di sé tutto il peso del male (Is 53,4-6) e ha tolto “il peccato del mondo” (Gv 1,29), di cui la malattia non è che una conseguenza. Con la sua passione e la sua morte sulla croce, Cristo ha dato un senso nuovo alla sofferenza: essa può ormai configurarci a lui e unirci alla sua passione redentrice.

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Cristo è toccato dalla fede – «Cominciò a sperare in un rimedio che potesse salvarla: riconobbe che il tempo era venuto per il fatto che si presentava un medico dal cielo, si levò per andare incontro al Verbo, vide che egli era pressato dalla folla. Ma non credono coloro che premono intorno, credono quelli che lo toccano. Cristo è toccato dalla fede, è visto dalla fede, non lo tocca il corpo, non lo comprendono gli occhi; infatti non vede colui che non guarda pur avendo gli occhi, non ode colui che non intende ciò che ode, e non tocca colui che non tocca con fede… Se ora noi consideriamo fin dove giunge la nostra fede e se comprendiamo la grandezza del Figlio di Dio, vediamo che a suo confronto noi non possiamo che toccare la frangia del suo vestito, senza poterne toccare le parti superiori. Se dunque anche noi vogliamo essere guariti, tocchiamo la frangia della tunica di Cristo. Egli non ignora quelli che toccano la sua frangia, e che lo toccano quando egli è voltato dall’altra parte. Dio non ha bisogno degli occhi per vedere, non ha sensi corporali, ma possiede in se stesso la conoscenza di tutte le cose. Felice dunque chi tocca almeno la parte estrema del Verbo: e chi mai potrebbe riuscire a toccarlo tutto intero?» (Ambrogio).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Mons. Nunzio Galantino, Vescovo: La liturgia della parola odierna ruota attorno alla stessa domanda (qui inespressa) che concludeva il brano del Vangelo di domenica scorsa: “Chi è costui?”, “Chi è Gesù?”. Lì avevamo lo conosciuto come colui che non ci abbandona nel momento della difficoltà (vento, onde, tempesta…), che si fa nostro “compagno di viaggio” lungo le difficili tappe della vita. Oggi, alla stessa domanda – ma posta in situazioni ancora più drammatiche (una donna stremata dalla malattia; un padre cui muore la figlioletta) – il Vangelo risponde che Gesù è colui che dona la vita. Ne fanno esperienza coloro che si fidano pienamente di lui, come la donna malata (“Figlia, la tua fede ti ha salvata”) e il capo della sinagoga (“Non temere, continua solo ad avere la fede”). È l’impatto con le difficoltà quotidiane che, spesso, fa sorgere in noi gli interrogativi più profondi e pregnanti. Soprattutto quando ci capita di attraversare l’oscuro “tunnel” del dolore: sofferenza, malattia, morte. Nonostante ogni nostro sforzo contrario, infatti, questi passaggi finiscono in qualche modo per incrociare le nostre vite, sfidandoci a trovare un senso, una risposta, una speranza. E quando, di fronte ad essi, l’uomo si apre alla possibilità della fede, arriva il momento in cui egli “mette con le spalle al muro” anche Dio, per avere una risposta chiara: da che parte stai Signore? dalla parte della vita o della morte? Già il Libro della Sapienza aveva chiarito le intenzioni del Creatore: “Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi”, e ancora: “Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura”. Egli è il Dio della vita, non della morte! Nel Vangelo, Gesù traduce in gesti concreti questo desiderio di Dio, facendone fare esperienza a quanti hanno piena fiducia in lui. La guarigione dalla malattia, il riportare in vita la figlioletta di Giairo, sono “segni” chiari della signoria di Gesù sulla vita, della volontà originaria di Dio che ha creato l’uomo per la vita. Di fronte al grido di chi soffre, Gesù non da risposte sulle origini del dolore e della morte, ma con i fatti mostra che è lui ad avere l’ultima parola su di essi. I suoi miracoli sono “segni”, perché non si fermano al beneficio fisico (guarigione, rianimazione) ma rimandano ad altro, alla salvezza eterna. Segni “efficaci” per tutti, anche per chi non li ha ricevuti su di sé (infatti Gesù non ha guarito tutti i malati che ha incontrato, non ha rianimato tutti i morti del suo tempo), perché permettono a ciascuno di noi, nel momento della prova, di fidarci di Dio, nella consapevolezza che la nostra vita è nelle sue mani, che siamo destinati alla vita eterna, che Egli ha vinto la morte per sempre.

Santo del giorno: 8 Luglio – Santi Aquila e Priscilla, Sposi e martiri, discepoli di San Paolo: “Aquila e Priscilla erano due coniugi giudeo – cristiani, molto cari all’apostolo Paolo per la loro fervente e molteplice collaborazione alla causa del Vangelo. Aquila, giudeo originario del Ponto, trasferitosi in tempo imprecisato a Roma, sposò Priscilla (o Prisca). L’apostolo intuì subito le buone qualità dei due coniugi, quando chiese di essere ospitato nella loro casa a Corinto. I due lo seguirono anche in Siria, fino ad Efeso. Qui istruirono nella catechesi cristiana Apollo, l’eloquente giudeo – alessandrino, versatissimo nelle Scritture, ma ignaro di qualche punto essenziale della nuova dottrina cristiana, come il battesimo di Gesù. Aquila e Priscilla fecero in modo di battezzarlo prima che partisse per Corinto. Niente si può asserire con certezza sul tempo, luogo e genere di morte di Aquila e Priscilla, dato che le uniche fonti su di essi sono citazioni bibliche. Alcuni identificano Priscilla con la vergine e martire romana Prisca e Aquila con qualcuno della gens Acilia, collegata con le Catacombe, perciò i due sarebbero martiri per decapitazione” (Avvenire).

Preghiamo: O Dio, che nell’umiliazione del tuo Figlio hai risollevato l’umanità dalla sua caduta, donaci una rinnovata gioia pasquale, perché, liberi dall’oppressione della colpa, partecipiamo alla felicità eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

 

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