5 Luglio 2019 – Venerdì, XIII del Tempo Ordinario – (Gen 23,1-4.10.19; 24,1-8.62-67; Sal 105[106]; Mt 9,9-13) – I Lettura: Sara muore a centoventisette anni a Kiriat Arbà, antico nome di Ebron, è la località dove viveva Abramo, al sud della Palestina, ma come forestiero, cioè senza possedere un terreno o una tomba. Per questo è costretto a trattare con gli abitanti locali per chiedere un luogo dove seppellire la moglie. Israele non aveva il culto dei morti, rifiutava ogni sacralità al morto, ma qui l’autore pone il problema della tomba di Sara per mostrare che la promessa della terra fatta ad Abramo comincia a realizzarsi, motivo per cui raccomanda al suo servo di trovare una donna per Isacco che sia disposta a seguire il figlio a Canaan. Vangelo: L’iniziativa di Gesù provoca la risposta immediata del chiamato: “Ed egli si alzò e lo seguì”. Risposta che è rottura con la situazione passata e dono totale di sé a Colui che chiama per condurre insieme con Lui una nuova esistenza. Tale risposta esprime la fede per cui il discepolo “si affida” a Colui che lo chiama, condividendo il suo progetto di vita e perdendo il proprio. Nel cammino spirituale ciò che è determinante non è il peccato ma la disponibilità ad aderire a Gesù.
Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Misericordia io voglio e non sacrifici – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».
Riflessione: «Sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù». Siamo oggi chiamati a contemplare questo banchetto: da una parte abbiamo un peccatore, Matteo, che accoglie Gesù e con lui i suoi discepoli e tanti altri peccatori; dall’altra parte troviamo i Farisei, incapaci di accogliere gli insegnamenti e la testimonianza del Cristo e al contempo incapaci di accogliere la possibilità di fare comunione con i peccatori. Matteo è un pubblicano, un pubblico peccatore, ma una volta incontrato il Cristo, lascia il tavolo delle imposte, il luogo e gli strumenti del suo peccato, ma non lascia le amicizie e la possibilità di essere in comunione con i peccatori: si converte, ma rimane dalla parte dei poveri peccatori. I Farisei, invece, nella misura in cui pensano di aver accolto Dio nella loro vita, si separano dai fratelli, mettendosi in opposizione a loro, arrivando persino a ringraziare Dio di non essere come loro (cfr. Lc 18,11). Possiamo dunque trarre questo insegnamento: solo se saremo capaci di accogliere Gesù come il Signore della nostra vita, saremo capaci di accogliere anche gli altri uomini e di fare comunione con loro. Ma se non siamo in comunione col prossimo, saremo certamente incapaci anche di essere in comunione con il Dio che è Padre di ogni uomo e ama di amore fedele ed eterno ogni suo figlio, per quanto sia peccatore.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Misericordia io voglio e non sacrifici: Papa Francesco (Omelia, 7 marzo 2013): … il messaggio più forte del Signore: la misericordia. Ma Lui stesso l’ha detto: Io non sono venuto per i giusti; i giusti si giustificano da soli. […] E Lui è venuto per noi, quando noi riconosciamo che siamo peccatori. Ma se noi siamo come quel fariseo, davanti all’altare: Ti ringrazio Signore, perché non sono come tutti gli altri uomini, e nemmeno come quello che è alla porta, come quel pubblicano (cfr. Lc 18,11-12), non conosciamo il cuore del Signore, e non avremo mai la gioia di sentire questa misericordia! Non è facile affidarsi alla misericordia di Dio, perché quello è un abisso incomprensibile. Ma dobbiamo farlo! “Oh, padre, se lei conoscesse la mia vita, non mi parlerebbe così!”. “Perché?, cosa hai fatto?”. “Oh, ne ho fatte di grosse!”. “Meglio! Vai da Gesù: a Lui piace se gli racconti queste cose!”. Lui si dimentica, Lui ha una capacità di dimenticarsi, speciale. Si dimentica, ti bacia, ti abbraccia e ti dice soltanto: “Neanch’io ti condanno; va’, e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11). Soltanto quel consiglio ti dà. Dopo un mese, siamo nelle stesse condizioni… Torniamo al Signore. Il Signore mai si stanca di perdonare: mai! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono. E chiediamo la grazia di non stancarci di chiedere perdono, perché Lui mai si stanca di perdonare.
Non sono i sani che hanno bisogno del medico: CCC 588-589: Gesù ha scandalizzato i farisei mangiando con i pubblicani e i peccatori con la stessa familiarità con cui pranzava con loro. Contro quelli tra i farisei «che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri» (Lc 18,9), Gesù ha affermato: «Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi» (Lc 5,32). Si è spinto oltre, proclamando davanti ai farisei che, essendo il peccato universale, coloro che presumono di non avere bisogno di salvezza, sono ciechi sul proprio conto. Gesù ha suscitato scandalo soprattutto per aver identificato il proprio comportamento misericordioso verso i peccatori con l’atteggiamento di Dio stesso a loro riguardo. È arrivato a lasciar intendere che, sedendo a mensa con i peccatori, li ammetteva al banchetto messianico. Ma è soprattutto perdonando i peccati, che Gesù ha messo le autorità religiose di Israele di fronte a un dilemma. Costoro non erano nel giusto quando, costernati, dicevano: «Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?» (Mc 2,7). Perdonando i peccati, Gesù o bestemmia perché è un uomo che si fa uguale a Dio, oppure dice il vero e la sua persona rende presente e rivela il nome di Dio.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «“Andate”, egli soggiunge, “imparate cosa significa: Voglio la misericordia e non il sacrificio” [Mt 9,13; Os 6,6]. Cristo vuole la misericordia, non il sacrificio. O meglio, quale sacrificio cerca chi, per cercarti, si fece sacrificio per eccellenza? “Non venni a chiamare i giusti, ma i peccatori” (ibid.). Così dicendo, egli non respinge i giusti, ma è perché trova tutti peccatori. Ascolta il salmista: “Il Signore dal cielo si china sugli uomini per vedere se esiste un saggio; se c’è uno che cerca Dio. Tutti hanno traviato, son divenuti tutti corrotti: più nessuno compie il bene, neppure uno” [Sal 13,2-3]. Fratelli, cerchiamo di essere peccatori per nostra confessione, per non esser più peccatori per il perdono di Cristo» (Pietro Crisologo).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Peccato e peccatori – Matteo capì di essere un peccatore e si fece agguantare dalla grazia, ma oggi, in un mondo dove tutto, o quasi tutto, è lecito, quanti hanno la consapevolezza di essere peccatori? Rino Cammilleri, «uno degli scrittori più apprezzati per le sue doti di ironico e irriverente polemista», nel suo libro Nuovi consigli del diavolo custode a proposito dell’Anticristo e dell’apostasia avanza, facendo parlare un immaginario diavolo custode, un’accattivante ipotesi. «Paolo nella sua seconda lettera ai Tessalonicesi parla del futuro, dell’“apostasia” che dovrà venire e dell’“uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione, colui che si oppone e si innalza su tutto ciò che è chiamato Dio o che è oggetto di culto”. Tutti hanno sempre pensato che si riferisse all’Anticristo, e quest’ultimo è stato sempre immaginato come un essere titanico. E se invece si trattasse non di uno ma di molti? E se questi fossero non titani ma figure scialbe e perfino ridicole nel loro attivismo petulante? Se non fossero che dei fastidiosi insetti, cocciuti come mosche e insistenti come zanzare che, dài e dài, riescono a sfinirti, a farti chiudere in casa, a cedere loro per amore di una tranquillità che, dài e dài, si riduce sempre più? Se ci foste già in mezzo, all’“apostasia”?». E più avanti, argutamente, fa balenare l’idea che questo processo di secolarizzazione, nel tempo in cui viviamo, «ha ormai superato la fase esclusivamente religiosa e scava ben più a fondo… l’autorità, l’esercito, la morale, la famiglia… Perfino la differenza tra maschi e femmine» (pp. 151-155). Quella della perdita del senso del peccato, è una denuncia rinnovata da Paolo VI e da Giovanni Paolo II. Ai giorni nostri lo ha fatto anche Benedetto XVI con queste parole: «Sebbene le manifestazioni del peccato abbondino, avidità e corruzione, rapporti rovinati dal tradimento e sfruttamento di persone, il riconoscimento della peccaminosità individuale viene meno. Oltre a questo affievolirsi del riconoscimento del peccato, con il corrispondente indebolirsi del bisogno di ricercare il perdono, si verifica, in definitiva, un affievolirsi del nostro rapporto con Dio… Non sorprende che questo fenomeno sia particolarmente pronunciato in società caratterizzate da una ideologia secolarista post-illuminista. Laddove Dio viene escluso dalla sfera pubblica, il senso di offesa a Dio – l’autentico senso del peccato – svanisce e proprio quando il valore assoluto delle norme morali viene relativizzato, le categorie di bene o di male svaniscono insieme alla responsabilità individuale. Tuttavia, la necessità umana di riconoscere ed affrontare il peccato non viene mai meno, indipendentemente da quanto un individuo possa, come il fratello maggiore, razionalizzare il contrario. Come ci dice san Giovanni “se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi” (1Gv 1,8). Ciò è parte integrante della verità sulla persona umana. Quando la necessità di cercare il perdono e la disponibilità a perdonare vengono dimenticate, al loro posto sorge una inquietante cultura del biasimo e della litigiosità».
Santo del giorno: 5 Luglio – Sant’Antonio Maria Zaccaria, Sacerdote: “Nasce a Cremona nel 1502. Nel 1524 si laurea in medicina a Padova. Ma poi, tornato a Cremona, decide di spiegare Vangelo e dottrina a grandi e piccoli. Viene consacrato prete nel 1528. Cappellano della contessa Ludovica Torelli, la segue a Milano nel 1530. Qui trova sostegno nello spirito d’iniziativa di questa signora e in due amici milanesi sui trent’anni come lui: Giacomo Morigia e Bartolomeo Ferrari. Rapidamente nascono a Milano tre novità, tutte intitolate a san Paolo. Già nel 1530 egli fonda una comunità di preti soggetti a una regola comune, i Chierici regolari di San Paolo. Milano li chiamerà Barnabiti, dalla chiesa di San Barnaba, loro prima sede. Poi vengono le Angeliche di San Paolo, primo esempio di suore fuori clausura. San Carlo Borromeo ne sarà entusiasta, ma il Concilio di Trento prescriverà loro il monastero. Terza fondazione: i Maritati di San Paolo, con l’impegno apostolico costante dei laici sposati. Denunciato come eretico e come ribelle Antonio va a Roma: verrà assolto. Durante un viaggio a Guastalla, il suo fisico cede. Lo portano a Cremona, dove muore a poco più di 36 anni” (Avvenire).
Preghiamo: O Dio, che ci hai reso figli della luce con il tuo Spirito di adozione, fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore, ma restiamo sempre luminosi nello splendore della verità. Per il nostro Signore Gesù…