Dal primo libro dei Re (19,16b.19-21) – Eliseo si alzò e seguì Elìa: I due libri dei Re presentano, nell’insieme, la storia d’Israele durante la monarchia. Abbracciano il periodo che va dalla vecchiaia e morte di Davide (circa 970 a.C.) fino alla deportazione in Babilonia (587 a.C.). Il profeta Elìa chiama Eliseo (in ebraico Dio ha soccorso) come suo successore gettando su di lui il proprio mantello. Il mantello «simbolizza la personalità e i diritti del suo proprietario. Il mantello di Elìa inoltre ha un’efficacia miracolosa [cfr. 2Re 2,8]. Elìa acquista così un diritto su Eliseo, che non può sottrarsi. Distruggendo l’aratro e i buoi, Eliseo sottolinea la rinunzia al suo primo stato» (Bibbia di Gerusalemme). Le gesta del profeta Eliseo sono raccontate nel secondo libro dei Re a partire dal secondo capitolo.
Dal Salmo 15 (16) – Sei tu, Signore, l’unico mio bene: «Fuggiamo da quaggiù. Puoi fuggire con l’animo anche se sei trattenuto col corpo: puoi essere qui ed essere insieme presente al Signore se l’anima tua a lui si unisce, se cammini con lui nei tuoi pensieri, se segui con la fede e non solo apparentemente le sue vie, se ti rifugi in lui. È infatti rifugio e fortezza. Dio è dunque il nostro rifugio. Ma egli è nei cieli e sopra i cieli: lassù dobbiamo fuggire: là vi è pace, là vi è riposo da ogni fatica, là si banchetta nel grande sabato. È un banchetto pieno di letizia e tranquillità riposare in Cristo, contemplare la sua beatitudine» (Sant’Ambrogio).
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati (5,1.13-18) – Siete stati chiamati alla libertà: Ai cristiani provenienti dal giudaismo e ancora osservanti della legge mosaica, Paolo dice che se si ritornasse alla circoncisione, si rinuncerebbe alla libertà che dà la fede in Cristo (cfr. Rm 6,15). In questo senso la legge e la fede non sono più conciliabili. Anche per quanto riguarda la carità vanno allargati i confini e superata la legge di Mosè: per i credenti il prossimo è ogni membro della famiglia umana ormai identificato a Cristo stesso (cfr. Mt 25,31 ss.; Lc 10,29-37). Anche per l’Apostolo il secondo comandamento include necessariamente il primo. Infine, il cristiano, poiché è guidato dallo Spirito e vive secondo lo Spirito, non è più portato a soddisfare i desideri della carne: solo così può gustare in pienezza la libertà che Cristo gli ha donato.
Dal Vangelo secondo Luca (9,51-62) – Prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme. Ti seguirò ovunque tu vada: Il Vangelo racconta di tre uomini che dichiarano la loro disponibilità a divenire discepoli di Cristo. Al primo Gesù prospetta la se-quela come una rinuncia alla casa, alla famiglia e a tutto ciò che dà sicurezza, dal secondo esige di essere seguito subito e al terzo dice in modo assai esplicito che per i suoi discepoli non c’è spazio per i rimpianti di quanto si lascia. Tre racconti di vocazioni che sono accomunate da una sola esigenza: lasciare tutto, anche gli affetti più cari per seguire Cristo.
Dal Vangelo secondo Luca
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio. Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».
Approfondimento
I Samaritani – Salmanassar, re d’Assiria, nel 724 a.C. aveva cinto d’assedio la città di Samaria.
Tre anni dopo, forse all’inizio del 721, la città fu conquistata, distrutta e parte della sua popolazione deportata (cfr. 2Re 17,5-6). In Samaria si insediarono dei coloni assiri provenienti da cinque regioni diverse che si mescolarono con gli Israeliti rimasti.
Una convivenza difficile con enormi difficoltà che vennero attribuite al fatto che i nuovi arrivati non conoscevano la religione del dio locale, per cui, per decreto del re d’Assiria, fu rimandato in patria un sacerdote israelita come missionario. Questa missione portò come frutto un sincretismo che fece nascere una nuova religione e un nuovo popolo, i Samaritani appunto (cfr. 2Re 17,24-41).
“Quando i giudei reduci dall’esilio iniziarono a ricostruire il tempio, rifiutarono la collaborazione offerta loro dai samaritani. La diffidenza verso la popolazione mista considerata cultualmente impura – ma forse, più propriamente, l’antico contrasto fra nord e sud – fu la causa del rifiuto, che ebbe come strascico un’ostilità esasperata. I samaritani ostacolarono la costruzione del tempio e delle mura e successivamente si costituirono come comunità religiosa autonoma, con un proprio culto e il ritorno alle tradizioni più antiche” (A. Baum).
Per un Giudeo non v’era insulto peggiore che essere paragonato a un Samaritano e il passo di Zaccaria 11,14 potrebbe costituire la più antica attestazione dello scisma samaritano.
Anche se il loro culto venne considerato illegittimo dai Giudei, secondo la testimonianza di Giuseppe Flavio, i Samaritani avrebbero costruito sul Garizim un tempio, rivale di quello di Gerusalemme, verso il 328 a.C., distrutto poi da Giovanni Ircano nel 129. Se pur ritenuti pagani, si attenevano a un rigorosissimo monoteismo. Inoltre, facevano riferimento alla Torah, ma con notevoli varianti, conosciuta appunto come il Pentateuco samaritano, rifiutando i rimanenti libri biblici e le dottrine posteriori della tradizione giudaica. Attendevano il Messia, come figura umana, mortale, e che sarebbe stato sepolto sul monte Garizim, era il Messia che avrebbe dovuto ripristinare il culto.
Gesù rivelando la sua vera identità a una donna samaritana (cfr. Gv 4,1ss) infrange il gretto nazionalismo dei Giudei proclamando universale la salvezza che lui è venuto a portare agli uomini attraverso il dono totale della sua vita e, allo stesso tempo, dichiara di essere colui che compie le attese dei Samaritani: “La condusse di gradino in gradino fino al livello più alto. Essa vide in lui dapprima qualcuno che aveva sete, poi un Giudeo, quindi un profeta, e infine Dio. Essa persuase colui che aveva sete, ebbe il Giudeo in avversione, interrogò il saggio, fu corretta dal profeta e adorò il Cristo” (Efrem, Diatessaron).
Commento al Vangelo
Gesù prese la ferma decisione… – Gesù è diretto a Gerusalemme, la città santa, dove si deve compire il suo destino di dolore e di gloria. L’espressione i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto oltre i giorni dell’assunzione di Gesù (cfr. At 1,2) ricorda anche i giorni della passione, morte e resurrezione.
La frase prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme, in greco letteralmente suona ‘egli indurì il volto per andare a Gerusalemme’, un modo di dire semitico (cfr. Ger 21,10; Ez 6,2; 21,2) con cui l’evangelista Luca vuole sottolineare la risolutezza di Gesù nell’affrontare il suo destino di morte che lo attende a Gerusalemme: «Ho un battesimo nel quale sarò battezzato; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!» (Lc 12,50). La stessa espressione la troviamo in Isaia 50,7 quando si sottolinea la missione del Servo sofferente: «Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso».
Il percorso più rapido che dalla Galilea porta a Gerusalemme prevede l’attraversamento della regione dei Samaritani, i quali, sempre molto mal disposti verso i Giudei (cfr. Gv 4,9), si rifiutano di accogliere Gesù. Da qui l’inimmaginabile reazione degli apostoli Giacomo e Giovanni.
La richiesta dei «figli del tuono» (Mc 3,17) cavalca l’onda di un messianismo terreno e ricorda 2Re 1,10-12 in cui Elia, per due volte, chiama il fuoco dal cielo per incenerire i suoi nemici.
La risposta di Gesù non si fa attendere ed è molto dura: si voltò e li rimproverò. Il verbo che Luca usa è epitimao che significa, letteralmente, vincere con un comando, minacciare, usato da Gesù negli esorcismi. In questo modo il senso della richiesta e del rimprovero si fanno più chiari. In sostanza, come Satana, Giacomo e Giovanni propongono a Gesù un messianismo trionfalistico che sottende il rifiuto della croce. A questa proposta Gesù si oppone con forza. È lo stesso rimprovero che aveva mosso a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt 16,23).
In questa cornice vengono introdotte le tre vocazioni che sono accomunate da un’unica radicale esigenza: lasciare tutto. Bisogna comunque ammettere che Gesù tale radicalità non l’ha richiesta a tutti i discepoli. Non a tutti chiese l’abbandono dei beni (cfr. Lc 8,13). Per esempio non lo chiese a Zaccheo (Lc 19,1-10). Non a tutti chiese la rinuncia al matrimonio (Mt 19,3-12).
Nella prima scena è un uomo a prendere l’iniziativa e Gesù con la sua risposta, il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo, vuole sottolineare che egli «è profugo e ramingo, peggio degli animali, perché è rifiutato dai suoi compaesani, dai samaritani e infine dai giudei; è ricercato da Erode come pericoloso [cfr. 13,31-33]. La sua vera povertà è l’insicurezza, la situazione precaria in cui si trova, privo di alleanze e di protezioni. Il discepolo che si mette al suo seguito deve sapere che condividerà questo destino in cui non è possibile avere una stabilità o un insediamento protettivo nelle strutture mondane» (Ri-naldo Fabris).
Nella seconda e nella terza chiamata le esigenze vocazionali si fanno più radicali: neppure i legami filiali e gli obblighi più sacri, come la sepoltura del padre, possono ritardare la risposta dell’uomo. Gesù è più esigente del profeta Elia (cfr. I Lettura): per chi vuol farsi discepolo del Cristo tutto deve passare in secondo piano, nessuna cosa al mondo può distrarlo dalla proclamazione del Regno di Dio. Tantomeno, una volta imboccata la strada del discepolato, è possibile tornare indietro.
Gesù «si dimostra assai più esigente dell’antico profeta: egli non vuole solo coraggio e prontezza nel raccogliere l’invito-comando suo, ma esige anche fermezza e costanza nel portare avanti il proprio impegno, senza operare sconti e senza rimpianti o pentimenti. Egli non vuole discepoli nostalgici!» (Carlo Guidelli).
Alla luce della proposta dei figli di Zebedeo, l’insegnamento di Gesù suona come monito anche per chi è già entrato a fare parte del suo entourage.
Riflessione
Lascia che i morti seppelliscano i loro morti – La sacra Scrittura mostra l’uomo sempre in riferimento a Dio. È il Signore che dirige i passi dell’uomo (cfr. Pro 16,9). È il Signore, il Dio della vita e della morte, che scruta «i cuori e conosce ogni intimo intento» (1Cr 28,9).
Perché si realizzi il progetto divino di salvezza, soltanto il Signore, può chiamare l’uomo e abilitarlo per tale missione, perché nessuno «può attribuire a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio» (Eb 5,4).
«Diventare il portavoce, la bocca di Dio, rinfacciare al mondo le sue empietà e bussare invano alla porta della conversione non sono incarichi che un uomo si assume da solo, ma che, nell’ubbidienza, riceve da Dio quando si lascia prendere a servizio da lui» (Karl Pauritsch).
Un onore che va al di là delle possibilità, delle capacità, dei meriti dei chiamati: Abramo era già vecchio: «aveva settantacinque anni quando lasciò Carran» (Gen 12,1-9); Mosè era «impacciato di bocca e di lingua» (Es 4,10); Isaia era un uomo dalle labbra impure e abitava in mezzo a un popolo dalle labbra impure (cfr. Is 6,1ss); Giona cerca di sottrarsi alla sua missione tentando di fuggire il più lontano possibile (cfr. Gn 1,3); Geremia, chiamato fin dal grembo materno, maledice il giorno in cui è nato perché la parola del Signore è diventata per lui motivo di obbrobrio e di scherno. Lui che vorrebbe annunciare una parola di pace è costretto, quando parla, a gridare, a proclamare: «Violenza! Oppressione!» (cfr. Ger 1,4-19; 20,7-18); Simon Pietro ha paura di una serva e rinnega il Maestro, imprecando e giurando di non conoscerlo (cfr. Mt 27,69-74); Giuda era ladro e finì per tradire per trenta denari il suo Maestro (cfr. Gv 12,26; Mt 26,15).
La fedeltà alla vocazione divina non donò ai chiamati onori umani o i «primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti» (Lc 20,46), ma un destino tragico, brutale: alcuni «furono torturati… Altri… subirono scherni e flagelli, catene e prigionia. Furono lapidati, torturati, tagliati in due, furono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati…, vaganti per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra» (Eb 11,35-38).
E «senza aver ottenuto i beni promessi», ma avendoli solo veduti e salutati di lontano (Eb 11,13), si mantennero saldi nella fede fino alla fine, obbedienti alla volontà di chi li chiamava fino alla morte: «sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia» (2Tm 4,6-8).
Essere discepoli di Cristo non è una cosa facile, seguirlo fino alla «follia della croce» esige spirito di abnegazione, essere pronti a rinnegare se stessi (cfr. Lc 9,23). Seguire Colui che è la Via (cfr. Gv 14,6) significa essere pronti ad abbandonare le strade che conducono al peccato. Seguire la Verità significa riaggiustare il linguaggio, perché il nostro parlare sia Sì, sì, No, no (Mt 5,37). Seguire la Vita (cfr. Gv 12,25) vuol dire essere pronti a perdere la propria vita (cfr. Lc 9,24).
Seguire la Luce significa abbandonare le tenebre dell’errore e dell’insipienza del mondo. Mettersi «al seguito di Cristo richiede una disponibilità docile, una dedizione immediata alle cose che il Signore esige, poiché questa chiamata vuol dire seguire Cristo al ritmo del suo passo, che non ammette si rimanga indietro: o si segue Gesù o lo si perde di vista» (La Bibbia di Navarra, I quattro vangeli – nota a Mt 8,18-22).
Seguire Colui che non ha dove posare il capo significa sposare il destino dello spiantato, occorre avere l’intelligenza, il coraggio e la forza di sapersi sradicare da tutto… come i broccoli che «devono essere trapiantati, per sviluppare; cioè, sono sradicati per crescere. I semi marciscono in terra, per moltiplicarsi. Mentre sembra che perdano ciò che erano, ricevono ciò che non erano» (San Gregorio Magno).
La pagina dei Padri
Come seguire Gesù – Sant’Ambrogio: E se egli rimprovera i discepoli che volevano far discendere il fuoco su coloro che non avevano voluto accogliere Cristo [cfr. Lc 9,55], questo ci indica che non sempre si devono colpire coloro che hanno peccato: spesso giova di più la clemenza, sia a te, perché fortifica la tua pazienza, sia al colpevole, perché lo spinge a correggersi.
Ma il Signore agisce mirabilmente in tutte le sue opere. Egli non accoglie colui che si offre con presunzione, mentre non si adira contro coloro che, senza nessun riguardo, respingono il Signore. Egli vuole così dimostrare che la virtù perfetta non ha alcun desiderio di vendetta, che non c’è alcun posto per la collera laddove c’è la pienezza della carità, e che, infine, non bisogna respingere la debolezza ma aiutarla.
L’indignazione stia lungi dalle anime pie, il desiderio della vendetta sia lontano dalle anime grandi; e altrettanto lontano stia dai sapienti l’amicizia sconsiderata e l’incauta semplicità. Perciò egli dice a quello: «Le volpi hanno tane»; il suo ossequio non è accettato perché non è trovato effettivo. Con circospezione si usi dell’ospitalità della fede, nel timore che aprendo agli infedeli l’intimità della nostra dimora si finisca col cadere, per la nostra imprevidente credulità, nella rete della cattiva fede altrui.