28 Giugno 2019 – Venerdì – Sacratissimo Cuore di Gesù (Solennità) – (Ez 34,11-16; Sal 22[23]; Rm 5,5b-11; Lc 15,3-7) – I Lettura: ‘Chi non riesce a intravedere l’amore di Cristo nella sollecitudine dei pastori umani, non arriva a conoscere l’amore del buon Pastore, che ama personificarsi nei piccoli pastori, agendo per mezzo di loro’ (Cuffaro). II Lettura: ‘Cristo è morto quando eravamo peccatori, perché il popolo peccatore diventasse giusto. Questa sottolineatura serve all’Apostolo per mettere in evidenza il carattere assolutamente gratuito della redenzione: la morte di Cristo non è il corrispettivo di meriti precedentemente acquisiti dall’umanità; è, piuttosto, il risultato di una iniziativa divina, simile al gesto di chi accetta di sacrificarsi in favore di una persona indegna’ (Cuffaro). Vangelo: Morendo nell’ora in cui nel Tempio veniva immolato l’agnello pasquale, Gesù diventa misteriosamente il nuovo agnello pasquale, per mezzo del quale si riattualizza la grande festa della liberazione. Forse per verificarne la morte, un soldato trafigge con la lancia il fianco di Gesù da cui escono sangue e acqua. Costatando questa effusione Giovanni trae una testimonianza solenne e la mette in risalto. Essa attesta che la morte di Gesù introduce al mistero della salvezza già annunziato da lui prima della sua beata Passione.
Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, Gesù disse ai farisei e agli scribi questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione».
Riflessione: Giovanni Paolo II (Omelia, 5 ottobre 1986): «… va in cerca di quella perduta, finché non la trova». “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? (Rm 8,35) Chi spezza i legami dell’amore? Chi spegne l’amore che fa ardere i focolari? Lo sappiamo, le famiglie di questo tempo conoscono troppo spesso la prova e la rottura. Troppe coppie si preparano male al matrimonio. Troppe coppie si dividono e non sanno conservare la fedeltà promessa, accettare l’altro quale è, amarlo malgrado i suoi limiti e la sua debolezza. Troppi figli sono allora privati del sostegno equilibrato che dovrebbero trovare nell’armonia complementare dei loro genitori. E inoltre, quale contraddizione alla verità umana dell’amore, quando ci si rifiuta di dare la vita in modo responsabile, e quando si arriva a far morire il bambino già concepito! Sono questi i segni di una vera e propria malattia che colpisce le persone, le coppie, i figli, la società stessa! … Non è forse vero che troppo spesso si è ridotto l’amore ai deliri del desiderio individuale o alla precarietà dei sentimenti? Così facendo, non ci si è forse allontanati dalla vera felicità che si trova nel dono di sé senza riserve? Non occorre forse dire chiaramente che ricercare se stessi per egoismo invece che cercare il bene dell’altro, è peccato? Sì, la domanda essenziale è sempre la stessa. La realtà è sempre la stessa. Il pericolo è sempre lo stesso: che l’uomo sia separato dall’amore! L’uomo sradicato dal terreno più profondo della propria esistenza spirituale. L’uomo condannato ad avere nuovamente un cuore di pietra. Privato del cuore di carne che sia capace di reagire in modo giusto al bene e al male. Un cuore sensibile alla verità dell’uomo e alla verità di Dio. Un cuore capace di accogliere il soffio dello Spirito Santo. Un cuore fortificato dalla potenza di Dio. Dappertutto, nella società, nei nostri villaggi, nei nostri quartieri, nelle nostre fabbriche e nei nostri uffici, nei nostri incontri tra popoli e razze, il cuore di pietra, il cuore disseccato, deve trasformarsi in cuore di carne, aperto ai fratelli, aperto a Dio. Questo oltrepassa la nostra forza. È un dono di Dio. Un dono del suo amore”.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Sacratissimo Cuore di Gesù – Pio XII (Lettera Enciclica Haurietis aquas): […] seguendo l’esempio del Nostro immediato Predecessore, piace anche a noi di rivolgere a tutti i Nostri dilettissimi figli in Cristo le parole ammonitrici, con le quali Loene XIII, di imm. mem., al tramonto del secolo scorso, esortava tutti i fedeli cristiani e quanti sono sinceramente solleciti della propria salvezza e di quella della civile società: «Ecco che oggi si offre agli sguardi un altro consolantissimo e divinissimo segno, vale a dire: il Cuore sacratissimo di Gesù… rilucente di splendissimo candore in mezzo alle fiamme. In esso sono da collocarsi tutte le speranze: da esso è da implorare ed attendere la salvezza dell’umanità». È altresì vivissimo Nostro desiderio che quanti si gloriano del nome di cristiani e intrepidamente combattono per stabilire il Regno di Cristo nel mondo, stimino l’omaggio di devozione al Cuore di Gesù come vessillo di unità, di salvezza e di pace. E, però, nessuno pensi che con tale ossequio venga arrecato alcun pregiudizio alle altre forme di pietà, con le quali il popolo cristiano, sotto l’alta direzione della Chiesa, onora il Redentore divino. Al contrario, una fervida devozione verso il Cuore di Gesù alimenterà e promuoverà specialmente il culto alla sacratissima Croce, come pure l’amore verso l’augustissimo Sacramento dell’altare. E in verità possiamo asserire – ciò che del resto è anche mirabilmente illustrato dalle rivelazioni, di cui Gesù Cristo volle favorire Santa Geltrude e Santa Margherita Maria – che nessuno capirà davvero il Crocifisso, se non penetra nel suo Cuore. Né si potrà facilmente comprendere l’amore che ha spinto il Salvatore a farsi nostro spirituale alimento, se non coltivando una speciale devozione verso il Cuore Eucaristico di Gesù, il quale ci ricorda appunto, come ben si esprimeva il Nostro Predecessore di fel. mem. Loene XIII, «l’atto di suprema dilezione col quale il Nostro Redentore, profondendo tutte le ricchezze del suo Cuore allo scopo di stabilire tra noi la sua dimora sino alla fine dei secoli istituì l’adorabile Sacramento dell’Eucaristia». E, infatti, «l’Eucaristia non è da stimarsi una particella minima del suo Cuore, tanto grande essendo stato l’amore del suo Cuore, col quale ce l’ha donata».
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «Vieni, Signore Gesù, ricerca il tuo servo, ricerca la tua pecora spossata; vieni, pastore, in cerca delle pecore: la tua pecora si è smarrita. Lascia le novantanove e vieni a cercare quell’unica che si è smarrita. Vieni senza i cani, vieni senza i cattivi guardiani, vieni senza il mercenario, che non ha saputo entrare per la porta. Vieni senza aiutanti e non inviare messaggeri: io aspetto ormai che venga tu in persona. Sono certo che verrai. Vieni non col vincastro, ma con la carità e lo spirito mansueto. Non esitare a lasciare sui monti le novantanove pecore: i lupi rapaci non le possono aggredire. Vieni invece a me, che sono tormentato dall’assalto di belve feroci. Vieni a me che ho abbandonato, errando, il tuo gregge custodito lassù, dove anche me tu avevi collocato, mentre un lupo notturno mi ha rapito. Vieni a ricercarmi, poiché anch’io ti bramo: cercami, scoprimi, prendimi e portami. Tu puoi trovare colui che vai cercando: degnati di trattenere con te colui che hai trovato e di sollevarlo sulle tue spalle. Non ti reca noia questo peso amato, non ti è gravoso sorreggere chi hai giustificato” (Ambrogio).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Il 15mo capitolo del vangelo di Luca giustamente viene detto il “Vangelo della Misericordia”. Tre sono le parabole raccontate da Gesù: la parabola della pecora perduta e ritrovata, la parabola della moneta perduta e la parabola del padre misericordioso. Un elemento, «essenziale nella riflessione su questo “Vangelo della misericordia”, è la consapevolezza della “gioia di Dio” […]. L’atteggiamento di Dio si manifesta, dunque, non nel rimprovero, che sarebbe giusto e motivato secondo la logica umana, ma nella gioia per la pecorella, la monetina, il figlio ritrovati. E questa gioia divina che esplode “nel cielo” e “davanti agli angeli” [vv. 7,10], è l’aspetto più straordinario, e consolante, dell’esperienza profonda della riconciliazione con Dio» (Myriam Pietrasanta Bossi). Con l’incarnazione di Cristo (cfr. Gv 1,14) la gioia invade la faccia della terra come un fiume in piena (cfr. Lc 2,10). In Gesù le promesse si adempiono e il regno di Dio viene inaugurato nella gioia. Giovanni Battista esulta di gioia nel grembo della madre all’avvicinarsi del Redentore (cfr. Lc 1,44): è l’amico dello sposo che esulta di gioia alla voce dello sposo (cfr. Gv 3,28). Maria esprime i suoi sentimenti nel Magnificat che è il canto della gioia per eccellenza. Per il cristiano, la gioia è il frutto dello Spirito Santo (cfr. Gal 5,22) ed è l’elemento fondante del regno di Dio (cfr. Rm 14,17). La gioia cristiana nasce dalla carità (cfr. 1Cor 13,6), dalla fede (cfr. 1Pt 1,3-9; Fil 1,25), dalla speranza e dalla preghiera perseverante (cfr. Rm 12,12; 15,13). Si irrobustisce nelle prove e nelle persecuzioni procurando una quantità smisurata ed eterna di gloria (cfr. 2Cor 4,17). Pur «afflitto da varie prove» (1Pt 1,6), il cristiano esulta di «gioia indicibile e gloriosa» (1Pt 1,8); vive nella gioia e la manifesta a tutti gli uomini: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!» (Fil 4,4-5). La gioia cristiana diventa così per gli uomini il segno reale della venuta del Signore e del suo perdono.
Santo del giorno: 28 Giugno – Sant’Ireneo di Lione, Vescovo e martire: Ireneo, discepolo di san Policarpo e, attraverso di lui, dell’apostolo san Giovanni, è una figura di primaria importanza nella storia della Chiesa. Originario dell’Asia, nato con molta probabilità a Smirne, approdò in Gallia e nel 177 succedette nella sede episcopale di Lione al novantenne vescovo san Potino, morto in seguito alle percosse ricevute durante la persecuzione contro i cristiani. Pochi giorni prima delle sommosse anticristiane, Ireneo era stato inviato a Roma dal suo vescovo per chiarire alcune questioni dottrinali. Tornato a Lione, appena sedata la bufera, fu chiamato a succedere al vescovo martire, in una Chiesa decimata dei suoi preti e di gran parte dei suoi fedeli. Si trovò a governare come unico vescovo la Chiesa dell’intera Gallia. Lui, greco, imparò le lingue dei barbari per evangelizzare le popolazioni celtiche e germaniche. E dove non arrivò la sua voce giunse la parola scritta. Nei suoi cinque libri Contro le eresie traspare non solo il grande apologista, ma anche il buon pastore preoccupato di qualche pecorella allo sbando che cerca di condurre all’ovile.
Preghiamo: O Dio, pastore buono, che manifesti la tua onnipotenza nel perdono e nella compassione, raduna i popoli dispersi nella notte che avvolge il mondo, e ristorali al torrente della grazia che sgorga dal Cuore del tuo Figlio, perché sia festa grande nell’assemblea dei santi sulla terra e nel cielo. Per il nostro Signore Gesù…