giugno, meditazioni

21 Giugno 2019

21 Giugno 2019 – Venerdì, XI del Tempo Ordinario – San Luigi Gonzaga (Memoria) – (2Cor 11,18.21b-30; Sal 33[34]; Mt 6,19-23) – I Lettura: La comunità di Corìnto, istigata dall’esempio errato di alcuni predicatori, percepisce il ministero apostolico come l’esercizio di un potere, accusando Paolo di essere un debole e senza carisma. Paolo si vede costretto a fare la propria difesa, specificando che la sua condotta umile non è segno di debolezza ma una scelta che lo porta nell’autentico spirito del Vangelo. All’immagine del predicatore super dotato egli contrappone una vita donata alla causa di Cristo e che a immagine del Maestro subisce incomprensioni, maltrattamenti e persecuzioni e, a queste, si aggiunge la preoccupazione per il cammino delle comunità da lui fondate. Di queste debolezze, sì, vale la pena vantarsi perché attraverso queste si manifesta la potenza di Dio. Vangelo: Il discorso della montagna continua in questo brano con due argomenti tra loro collegati: il primo è il desiderio che ha il potere di dirigere il cuore dell’uomo rendendolo dipendente dall’oggetto desiderato; l’altro è la capacità di discernimento. Il desiderio, dunque, condiziona le scelte dell’uomo a seconda di ciò a cui è rivolto: se il desiderio è rivolto ai beni terreni, si rimane schiavi di ciò che passa; se si rivolge il desiderio alle cose celesti, il legame di dipendenza diventa un’esperienza liberante perché innalza l’uomo al di sopra dei suoi limiti. La capacità di discernimento è offuscata quando l’occhio del cuore non ha più la luce necessaria per riconoscere e seguire il bene a causa del potere che i beni terreni esercitano su di lui.

Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore. La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!».

Riflessione: «Accumulate invece per voi tesori in cielo». Se vogliamo capire quale sia il significato più bello e profondo di questa esortazione di Gesù, basta leggere la prima lettura proposta oggi dalla Liturgia della Parola. In essa troviamo la testimonianza di san Paolo che, pur potendo vantare molti onori da un punto di vista umano, religioso e sociale, preferisce piuttosto elencare quanto ha dovuto soffrire per il Vangelo. Un elenco sommario, incompleto e ancora in divenire, che colmerà con il dono della stessa vita subendo il martirio per decapitazione a Roma. Non ori e argenti, non titoli e vanti, non carismi e doni, ma sofferenze e percosse, digiuni e pericoli. Non accumulo di amicizie e applausi, ma accumulo di disonore e morte. Questo è l’albo d’oro dei meriti dell’Apostolo; questo il suo vanto; questa la sua gloria; questo il suo tesoro sicuro, custodito nel Cuore stesso di Dio. Rimaniamo oggi a contemplare questo tesoro, rileggiamolo più volte, come fosse il felice inventario di una cassaforte di carità! Non è celebrazione del dolore, ma manifestazione di cosa sia capace l’amore. Di cosa sia capace Dio lo vediamo alzando gli occhi verso il Crocifisso; di cosa siano capaci i suoi amici per amore di Dio e del prossimo, lo ritroviamo leggendo le loro testimonianze. Rimane da capire quale sia il nostro tesoro, dobbiamo interrogarci su dove sia il nostro cuore. È giunto il momento di capire cosa stiamo accumulando, quali valori mettiamo al sicuro e quali mercanteggiamo col mondo.

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore – CCC 2847-2848: Lo Spirito Santo ci porta a discernere tra la prova, necessaria alla crescita dell’uomo interiore in vista di una «virtù provata», e la tentazione, che conduce al peccato e alla morte. Dobbiamo anche distinguere tra «essere tentati» e «consentire» alla tentazione. Infine, il discernimento smaschera la menzogna della tentazione: apparentemente il suo oggetto è «buono, gradito agli occhi e desiderabile» (Gen 3,6), mentre, in realtà, il suo frutto è la morte. «Dio non vuole costringere al bene: vuole persone libere […]. La tentazione ha una sua utilità. Tutti, all’infuori di Dio, ignorano ciò che l’anima nostra ha ricevuto da Dio; lo ignoriamo perfino noi. Ma la tentazione lo svela, per insegnarci a conoscere noi stessi e, in tal modo, a scoprire ai nostri occhi la nostra miseria e per obbligarci a rendere grazie per i beni che la tentazione ci ha messo in grado di riconoscere». «Non entrare nella tentazione» implica una decisione del cuore: «Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore. […] Nessuno può servire a due padroni» (Mt 6,21.24). «Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gal 5,25). In questo «consenso» allo Spirito Santo il Padre ci dà la forza. «Nessuna tentazione vi ha finora sorpresi se non umana; infatti Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla» (1Cor 10,13).

La lampada del corpo è l’occhio – Veritatis Splendor 63: È sempre dalla verità che deriva la dignità della coscienza: nel caso della coscienza retta si tratta della verità oggettiva accolta dall’uomo; in quello della coscienza erronea si tratta di ciò che l’uomo sbagliando ritiene soggettivamente vero. Non è mai accettabile confondere un errore “soggettivo” sul bene morale con la verità “oggettiva”, razionalmente proposta all’uomo in virtù del suo fine, né equiparare il valore morale dell’atto compiuto con coscienza vera e retta con quello compiuto seguendo il giudizio di una coscienza erronea. Il male commesso a causa di una ignoranza invincibile, o di un errore di giudizio non colpevole, può non essere imputabile alla persona che lo compie; ma anche in tal caso esso non cessa di essere un male, un disordine in relazione alla verità sul bene. Inoltre, il bene non riconosciuto non contribuisce alla crescita morale della persona che lo compie: esso non la perfeziona e non giova a disporla al bene supremo. Così, prima di sentirci facilmente giustificati in nome della nostra coscienza, dovremmo meditare sulla parola del Salmo: “Le inavvertenze chi le discerne? Assolvimi dalle colpe che non vedo” (Sal 18[19],13). Ci sono colpe che non riusciamo a vedere e che nondimeno rimangono colpe, perché ci siamo rifiutati di andare verso la luce (cfr. Gv 9,39-41). La coscienza, come giudizio ultimo concreto, compromette la sua dignità quando è colpevolmente erronea, ossia “quando l’uomo non si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all’abitudine al peccato”. Ai pericoli della deformazione della coscienza allude Gesù, quando ammonisce: “La lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tua tenebra!” (Mt 6,22-23).

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «Possesso e uso delle ricchezze. Disprezza le ricchezze, se vuoi possedere le ricchezze; sii povero, se vuoi essere ricco. Tali sono infatti gli inattesi beni di Dio, egli vuole che non per tuo studio, bensì per sua grazia, tu diventi ricco. Lascia a me – egli dice – codeste cose: tu cura le cose dello spirito, per apprendere la mia potenza: fuggi dal giogo e dalla schiavitù delle ricchezze. Fintanto che le tratterrai in tal modo, sarai povero: allorché invece le disprezzerai, sarai doppiamente ricco; e perché ti perverranno da ogni dove, e perché nulla ti mancherà di quanto invece sono carenti i più. Non è infatti il possedere a dismisura che fa ricco, bensì il non mancare di troppe cose. Perciò, quando c’è l’indigenza, il re in nulla differisce dal povero: la povertà infatti è questo aver bisogno degli altri: proprio per questa ragione il re sia povero, poiché necessita del servizio dei sudditi. Non così per chi è stato crocifisso: di nessuno ha bisogno; al vinto sono sufficienti le proprie mani: “Alle mie necessità, infatti” – egli dice -, “ed a quelle di coloro che sono con me, hanno provveduto queste mie mani” [At 20,34]. Queste cose dice chi, altrove, afferma: “Quasi come chi non ha nulla, e tutto possiede” [2Cor 6,10]; proprio lui che a Listra ritenevano che fosse un dio. Se vuoi conseguire le cose del mondo, cerca il cielo se vuoi fruire delle cose presenti, disprezzale: senza equivoci, infatti, dice [Gesù]: “Cercate prima di tutto il regno di Dio, e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta” [Mt 6,33]. Perché ti soffermi sulle piccole cose? Perché resti a bocca aperta davanti a cose di nessun valore? Fino a quando sarai povero e mendico? Guarda il cielo pensa alle ricchezze di lassù» (San Giovanni Crisostomo).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Il cielo non è una meta impossibile, per raggiungerlo basta un po’ di accortezza e un po’ di sapienza. Il tutto si riduce nell’aprire un conto corrente in Cielo. Accumulando tesori in cielo il cammino verso il Cielo diventa veramente facile. A farci fare questa scelta non deve essere il timore o il terrore di incontrarci con un giudice severo. Quando supereremo i confini della terra ci incontreremo con l’Amore. Quello di Dio sarà un giudizio imparziale che appartiene soltanto a lui, il quale per mezzo del suo Cristo giudicherà i vivi e i morti. Egli renderà a ciascuno secondo le sue opere.  Questa è la verità: un giorno, fissato dall’eterna Sapienza, «ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio» (Rm 14,12).

Santo del giorno: 21 Giugno – San Luigi Gonzaga Principe, religioso gesuita: Figlio del marchese Ferrante Gonzaga, nato il 9 marzo del 1568, fin dall’infanzia il padre lo educò alle armi, tanto che a 5 anni già indossava una mini corazza ed un elmo e rischiò di rimanere schiacciato sparando un colpo con un cannone. Ma a 10 anni Luigi aveva deciso che la sua strada era un’altra: quella che attraverso l’umiltà, il voto di castità e una vita dedicata al prossimo l’avrebbe condotto a Dio. A 12 anni ricevette la prima comunione da san Carlo Borromeo, venuto in visita a Brescia. Decise poi di entrare nella compagnia di Gesù e per riuscirci dovette sostenere due anni di lotte contro il padre. Libero ormai di seguire Cristo, rinunciò al titolo e all’eredità ed entrò nel Collegio romano dei gesuiti, dedicandosi agli umili e agli ammalati, distinguendosi soprattutto durante l’epidemia di peste che colpì Roma nel 1590. In quell’occasione, trasportando sulle spalle un moribondo, rimase contagiato e morì. Era il 1591, aveva solo 23 anni. Papa Benedetto XIII lo canonizzò il 31 dicembre 1726. È sepolto a Roma nella chiesa di Sant’Ignazio di Campo Marzio.

Preghiamo: O Dio, principio e fonte di ogni bene, che in san Luigi Gonzaga hai unito in modo mirabile l’auste-rità e la purezza, fa’ che per i suoi meriti e le sue preghiere, se non lo abbiamo imitato nell’innocenza, lo seguiamo sulla via della penitenza evangelica. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

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