22 Maggio 2019 – Mercoledì, V settimana di Pasqua – (At 15,1-6; Sal 121[122]; Gv 15,1-8) – I Lettura: La fede in Cristo è in grado da sola di salvare l’uomo, non ha bisogno della pratica del giudaismo. Paolo per difendere questa posizione è inviato a Gerusalemme. Vangelo: Cristo è l’unico canale di trasmissione della Grazia divina, questo è il significato della metafora della vite e del vignaiolo che Gesù fa nel suo discorso ai discepoli.
Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto – Dal Vangelo secondo Giovanni: In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Riflessione: La relazione con Cristo non è una relazione di dipendenza, ma di necessità – Don Luigi Maria Epicoco (Riflessione, 2 Maggio 2018): Che immagine suggestiva ci dà oggi Gesù nel vangelo: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo… Io sono la vite, voi i tralci”. Abbiamo così un intreccio di relazioni spiegate attraverso un intreccio di immagini. La prima è l’immagine di intimità che ogni vignaiolo ha con la propria vite. È tra le mani di quel vignaiolo e la fecondità della vite che viene fuori prima l’uva e poi il vino. Questo è innanzitutto ciò che è Gesù con il Padre. E noi dove siamo in tutto ciò? Noi siamo in Gesù, come un ramo attaccato al tronco di una vite. La nostra relazione è una relazione di strettissima vita con Gesù stesso. È dall’attaccamento a Lui che dipende tutto. Un tralcio che volesse vivere staccato dal tronco non riceverebbe nient’altro se non la secchezza della morte. Perché è dal tronco che passa la vita anche nei rami. Gesù è per noi necessario non accessorio. Il cristianesimo è innanzitutto la fede nella “necessità di Cristo”. La menzogna del male la potremmo sintetizzare così: “non ho bisogno. Posso farmi da me”. Ma non serve essere cristiani per accorgersi di quanto possano essere mortifere parole simili, perché è proprio quando l’uomo non vuole avere più bisogno e vuole farsi da solo che arriva a distruggere e a distruggersi in nome di una libertà andata a male. “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”, ci ricorda Gesù. E ce lo dice come principio di liberazione e non come condanna ad essere dipendenti da lui. Infatti la relazione con Cristo non è una relazione di dipendenza, ma di necessità. La differenza è semplice, la dipendenza è una diminuzione della libertà e ciò avviene quando deve essere un altro a decidere al posto nostro. La necessità invece è la condizione affinché uno possa essere messo in grado di poter fare una scelta. “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato”. Cioè se rimanere attaccati a me tutto sarà possibile, soprattutto essere liberi.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore – Benedetto XVI (Omelia, 22 Settembre 2011): “Io sono la vite vera, e il Padre mio è l’agricoltore” (Gv 15,1), e spiega che il vignaiolo prende il coltello, taglia i tralci secchi e pota quelli che portano frutto perché portino più frutto. Per dirlo con l’immagine del profeta Ezechiele…, Dio vuole togliere dal nostro petto il cuore morto, di pietra, e darci un cuore vivente, di carne (cfr. Ez 36,26). Vuole donarci una vita nuova e piena di forza, un cuore di amore, di bontà e di pace. Cristo è venuto a chiamare i peccatori. Sono loro che hanno bisogno del medico, non i sani (cfr. Lc 5,31s.). E così, come dice il Concilio Vaticano II, la Chiesa è il “sacramento universale di salvezza” (Lumen Gentium 48) che esiste per i peccatori, per noi, per aprire a noi la via della conversione, della guarigione e della vita. Questa è la continua e grande missione della Chiesa, conferitale da Cristo. Alcuni guardano la Chiesa fermandosi al suo aspetto esteriore. Allora la Chiesa appare solo come una delle tante organizzazioni in una società democratica, secondo le cui norme e leggi, poi, deve essere giudicata e trattata anche una figura così difficile da comprendere come la “Chiesa”. Se poi si aggiunge ancora l’esperienza dolorosa che nella Chiesa ci sono pesci buoni e cattivi, grano e zizzania, e se lo sguardo resta fisso sulle cose negative, allora non si schiude più il mistero grande e bello della Chiesa. Quindi, non sorge più alcuna gioia per il fatto di appartenere a questa vite che è la “Chiesa”. Insoddisfazione e malcontento vanno diffondendosi, se non si vedono realizzate le proprie idee superficiali ed erronee di “Chiesa” e i propri “sogni di Chiesa”!
Io sono la vera vite e il Padre mio è l’agricoltore – Giovanni Paolo II (Omelia, 5 Maggio 1985): Nell’allegoria, Cristo pone questo riferimento al Padre al primo posto, poiché tutto il legame “organico” vivificante dei tralci con la vite ha il suo principio primo e il fine ultimo nel rapporto col Padre: egli “è il vignaiolo”. Cristo è principio di vita, in quanto egli stesso è “uscito dal Padre” (cfr. Gv 8,42), il quale “ha in se stesso la vita” (Gv 5,26). È il Padre, in definitiva, che si prende cura dei tralci, riservando loro un trattamento diverso a seconda che portino o non portino frutto, a seconda, cioè, che siano vitalmente o meno inseriti nella vite che è Cristo. Se vogliamo portare frutti per la nostra e altrui salvezza, se vogliamo essere fecondi di opere buone in vista del regno, dobbiamo accettare di essere “potati” dal Padre, di essere, cioè, purificati, e quindi irrobustiti. Dio permette a volte che i buoni soffrano di più, proprio perché sa di poter contare su di loro, per renderli ancora più ricchi di buoni frutti. L’importante è fuggire la pretesa di dar frutto da soli. Ciò che occorre è mantenere più che mai, nel momento della prova, il nostro legame organico con Gesù-vite.
Rimanete in me e io in voi – Papa Francesco (Omelia, 27 Luglio 2013): Siamo stati chiamati da Dio e chiamati per rimanere con Gesù (cfr. Mc 3,14), uniti a Lui. In realtà, questo vivere, questo permanere in Cristo segna tutto ciò che siamo e facciamo. È precisamente questa “vita in Cristo” ciò che garantisce la nostra efficacia apostolica, la fecondità del nostro servizio: «Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto sia autentico» (cfr. Gv 15,16). Non è la creatività, per quanto pastorale sia, non sono gli incontri o le pianificazioni che assicurano i frutti, anche se aiutano e molto, ma quello che assicura il frutto è l’essere fedeli a Gesù, che ci dice con insistenza: «Rimanete in me e io in voi» (Gv 15,4). E noi sappiamo bene che cosa significa: contemplarLo, adorarLo e abbracciarLo, nel nostro incontro quotidiano con Lui nell’Eucaristia, nella nostra vita di preghiera, nei nostri momenti di adorazione; riconoscerlo presente e abbracciarlo anche nelle persone più bisognose. Il “rimanere” con Cristo non significa isolarsi, ma è un rimanere per andare all’incontro con gli altri.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Lotta contro le tentazioni – “Se ti viene in mente un cattivo pensiero, grida, con lacrime al Signore: «Signore, sii buono con me peccatore! Perdonami, o amico degli uomini. Signore, allontana il male da noi!». Certo, il Signore conosce i cuori: sa quali pensieri sorgono da un animo cattivo, ma sa anche quali pensieri vengono in noi versati dalla stizza amara dei demòni. Tuttavia sappilo: più tu combatti e resti fedele nel servizio del Signore, più i tuoi sensi e i tuoi pensieri verranno purificati. Infatti, nostro Signore Gesù Cristo ha detto: Ogni ramo che in me porta frutto, io lo purificherò, perché porti frutto maggiore (Gv 15,2). Solo abbi la più sincera volontà di farti santo! Il Signore ama e appoggia col suo aiuto coloro che sono zelanti e lavorano per ottenere la salvezza dell’anima. Senti ora un esempio, che ti illustra i cattivi pensieri. Quando l’uva vien colta dalla vite, gettata nel torchio e pigiata, produce il suo mosto, che vien raccolto in vasi. E questo mosto, all’inizio, fermenta tanto forte, come se bollisse al fuoco più acceso in una caldaia; anche i vasi migliori non riescono a contenerne la forza, ma si rompono pel suo calore. Ciò avviene coi pensieri degli uomini, quando essi si elevano da questo mondo vano, e dalle sue cure, alle realtà celesti. Allora gli spiriti cattivi, che non ne possono sopportare il fervore, conturbano in mille modi la mente dell’uomo, cercando di suscitarvi una tetra burrasca, per rovinare e squarciare il vaso, cioè l’anima riempiendola di dubbi e rendendola infedele” (Efrem).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto: solo se il credente-tralcio, potato amorevolmente dal Padre, rimane unito alla Vite divina potrà portare abbondanti frutti di vita eterna: «Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione» (Rm 6,5). In altre parole, restare uniti a Gesù significa ricevere il dono della lettura intelligente e sapienziale della sua passione e della sua morte: il discepolo conoscerà Gesù «la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze», facendosi «conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti» (Fil 3,10-11).
Santo del giorno: 22 Maggio – Santa Rita da Cascia, Vedova e religiosa: Santa Rita nacque a Roccaporena (Cascia) verso il 1380. Secondo la tradizione era figlia unica e fin dall’adolescenza desiderò consacrarsi a Dio ma, per le insistenze dei genitori, fu data in sposa ad un giovane di buona volontà ma di carattere violento. Dopo l’assassinio del marito e la morte dei due figli, ebbe molto a soffrire per l’odio dei parenti che, con fortezza cristiana, riuscì a riappacificare. Vedova e sola, in pace con tutti, fu accolta nel monastero agostiniano di santa Maria Maddalena in Cascia. Visse per quarant’anni nell’umiltà e nella carità, nella preghiera e nella penitenza. Negli ultimi quindici anni della sua vita, portò sulla fronte il segno della sua profonda unione con Gesù crocifisso. Morì il 22 maggio 1457. Beatificata da Urbano VIII nel 1627, venne canonizzata il 24 maggio 1900 da Leone XIII. È invocata come santa del perdono e paciera di Cristo.
Preghiamo: O Dio, che salvi i peccatori e li rinnovi nella tua amicizia, volgi verso di te i nostri cuori: tu che ci hai liberato dalle tenebre con il dono della fede, non permettere che ci separiamo da te, luce di verità. Per il nostro Signore Gesù Cristo…