maggio, meditazioni

18 Maggio 2019

18 Maggio 2019 – Sabato, IV settimana di Pasqua – (At 13,44-52; Sal 97[98]; Gv 14,7-14) – I Lettura: La problematica che viene evidenziata nel testo della lettura odierna, era molto sentita ai tempi della predicazione degli Apostoli e angustiava le loro coscienze: il rifiuto del Vangelo da parte dei Giudei. Come mai il popolo delle promesse, una volta realizzate, non le ha riconosciute? La parola, rifiutata dai Giudei, è invece accolta con entusiasmo e con frutti di conversione dai pagani. Così, accanto alla tristezza dovuta al fatto che i Giudei non accoglievano l’annuncio, vi era una grande gioia che non veniva dalla carne ma dallo Spirito, non fondata sui successi ma sulle tribolazioni. Vangelo: Il tema del brano del vangelo è molto chiaro: il rapporto tra Gesù e il Padre. Grazie a questo rapporto solo Gesù può condurre gli uomini alla comunione con Dio. Per i discepoli questo linguaggio è difficile da comprendere e Filippo chiede di vedere la gloria del Padre: non ha capito che bisogna andare al Padre proprio attraverso la persona di Gesù. È solo con la fede che si riconosce questo stretto legame tra il Padre e il Figlio, fede che possiamo chiedere come dono allo Spirito Santo. È importante che i discepoli chiedano e ricevano questo dono perché essi devono continuare la missione di salvezza di Gesù, facendo opere simili e perfino maggiori delle sue.

Chi ha visto me ha visto il Padre Dal Vangelo secondo Giovanni: In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò».

Riflessione: «Se non altro, credetelo per le opere stesse». Oggi la Parola ci invita a contemplare le opere di Dio. Esse sono spesso oggetto di preghiera, di meraviglia, di lode: «Quante sono le tue opere, Signore! Le hai fatte tutte con saggezza; la terra è piena delle tue creature» (Sal 104 [103],24). Se il creato desta ammirazione, lo stupore tocca il culmine nel contemplare l’uomo: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato. Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani» (Sal 8,4-7). Ma oggi la Parola ci invita ad innalzare ancora oltre lo sguardo: contemplare il Figlio di Dio e le sue opere, il suo Cuore e i suoi sentimenti, i suoi gesti, la somma carità in ogni suo sguardo. Contemplare le sue opere per credere nel suo amore; contemplare le sue opere per aprirci alla luce della sua misericordia, per andare con lui incontro al Padre. Credere nelle sue opere significa contemplare i gigli dei campi e gli uccelli del cielo e credere nella sua Provvidenza; significa contemplare la Croce e credere nel suo perdono; significa contemplare il sepolcro vuoto e credere nella potenza della sua gloria.

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Chi ha visto me, ha visto il Padre – Benedetto XVI (Udienza Generale, 30 Gennaio 2013): È nel Signore Gesù che si mostra in pienezza il volto benevolo del Padre che è nei cieli. È conoscendo Lui che possiamo conoscere anche il Padre (cfr. Gv 8,19; 14,7), è vedendo Lui che possiamo vedere il Padre, perché Egli è nel Padre e il Padre è in Lui (cfr. Gv 14,9.11). Egli è «immagine del Dio invisibile» come lo definisce l’inno della Lettera ai Colossesi, «primogenito di tutta la creazione… primogenito di quelli che risorgono dai morti», «per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati» e la riconciliazione di tutte le cose, «avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (cfr. Col 1,13-20). La fede in Dio Padre chiede di credere nel Figlio, sotto l’azione dello Spirito, riconoscendo nella Croce che salva lo svelarsi definitivo dell’amore divino. Dio ci è Padre dandoci il suo Figlio; Dio ci è Padre perdonando il nostro peccato e portandoci alla gioia della vita risorta; Dio ci è Padre donandoci lo Spirito che ci rende figli e ci permette di chiamarlo, in verità, «Abbà, Padre» (cfr. Rm 8,15). Perciò Gesù, insegnandoci a pregare, ci invita a dire “Padre nostro” (Mt 6,9-13; cfr. Lc 11,2-4). La paternità di Dio, allora, è amore infinito, tenerezza che si china su di noi, figli deboli, bisognosi di tutto. Il Salmo 103, il grande canto della misericordia divina, proclama: «Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso coloro che lo temono, perché egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere» (vv. 13-14). È proprio la nostra piccolezza, la nostra debole natura umana, la nostra fragilità che diventa appello alla misericordia del Signore perché manifesti la sua grandezza e tenerezza di Padre aiutandoci, perdonandoci e salvandoci.

E qualunque cosa chiederete nel mio nome – Giovanni Paolo II (Messaggio, 6 Settembre 1980): […] chiedere al Padre nel nome del Figlio è riconoscere il piano di Dio, che ha voluto servirsi del Verbo incarnato per salvarci. Noi possiamo e dobbiamo santificarci attraverso l’invocazione del Figlio, la cui mediazione ci apre la via di accesso al Padre. Il nome di Cristo, dunque, significa misericordia verso i peccatori, forza per vincere nella lotta, salute per gli infermi, letizia ed esultanza per chi con devozione l’invoca nelle varie circostanze della vita, gloria ed onore per quanti in esso hanno fede, conversione dalla tiepidezza al fervore della carità, certezza di esaudimento per chi lo invoca, dolcezza per chi devotamente lo medita, soavità inebriante per chi ne penetra nella contemplazione il mistero, fecondità di meriti per chi ancora è pellegrino, glorificazione e beatitudine per chi ormai è giunto alla meta.

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Gioia pasquale – «Esulta, Gerusalemme e rallegratevi voi tutti che amate Gesù: è risorto, infatti. Gioite, voi che dianzi eravate tutti in lutto [Is 66,10]…: chi, infatti, fu in questa città disonorato, è stato nuovamente richiamato in vita. Come dunque aveva recato una certa tristezza l’annuncio della croce, così ora la buona novella della risurrezione sia fonte di esultanza per i presenti. Si muti in gioia il dolore, il pianto in letizia [cfr. Sal 29,12]; la nostra bocca si riempia di gaudio e di tripudio [cfr. Sal 70,8], secondo l’invito di colui che, dopo la sua risurrezione, disse: Esultate [Mt 28,9]. Io so quanto hanno sofferto nei giorni scorsi coloro che amano il Cristo, allorché le mie prediche terminavano con la morte e la sepoltura… Il morto, però, è risorto: libero fra i morti [Sal 87,6] e liberatore dei morti. Colui che aveva tollerato l’oltraggio di venir cinto d’una corona di spine, si fregiò, risorgendo, con il diadema della propria vittoria sulla morte» (Cirillo di Gerusalemme).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: L’unità con Gesù ci rende luminosi – Luigi Maria Epicoco (Riflessione, 28 Aprile 2018): Chi ha visto, me ha visto il Padre”, dice Gesù a Filippo che gli aveva chiesto di mostrargli il Padre. E per usare un’immagine contemporanea dovremmo dire che Gesù è un selfie del Padre. E per quanto possono essere distinti tra loro, l’amore che li unisce li rende sostanzialmente uguali. L’amore è l’unica cosa che ci lascia profondamente noi stessi e allo stesso tempo ci unisce talmente tanto all’altro che amiamo da diventarne una sola cosa. E tu te ne accorgi almeno per l’evidenza delle opere, dice Gesù. Ma la cosa più bella di questo Vangelo è in un sottile invito che Gesù rivolge ai suoi discepoli e a noi. Così come il Padre e il Figlio si amano tanto da essere un’unica cosa, così noi e Lui possiamo amarci tanto da essere un’unica cosa: “chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre”. Se solo credessimo a questa promessa di Gesù, smetteremmo di sentirci soli e impotenti e cominceremo invece a sfruttare profondamente questo potere di amore che Egli ci ha dato. Dovremmo arrivare a poter dire che chi vede noi vede Cristo. Invece purtroppo a volte la nostra vita invece di mostrare Cristo lo oscura. Essere cristiani significa diventare “altri Cristo” in questo momento della storia, così che la nostra vita e le nostre opere raccontino ciò che a Lui sta più a cuore, e cioè che ci ama da morire (come ha fatto per davvero). Ma per fare questo dobbiamo mettere da parte tutto il timore che ci prende nell’amare davvero e senza riserve Lui. C’è in noi come la paura di perdere la libertà, la nostra vera identità, la nostra peculiare diversità. Ma Gesù non toglie nulla a noi, ci dona invece uno splendore che solitamente non abbiamo, esattamente come l’olio che passato su di un vecchio mobile lo trasforma da qualcosa di smorto a qualcosa di vivo. LasciarGli spazio aumenta semplicemente lo splendore di essere davvero ciò che siamo. L’unità con Lui ci dona luce e ci rende luminosi. E soprattutto efficaci.

Santo del giorno: 18 Maggio – Beata Bartolomea Carletti da Chivasso, Vergine clarissa, Fondatrice: Bartolomea nacque a Chivasso, in diocesi di Ivrea, tra il 1425 e il 1435. Suo padre Martino era fratello del beato Angelo Carletti. Su consiglio del celebre zio, indossò l’abito di terziaria francescana, dedicandosi a una vita di preghiera e di assistenza ai bisognosi e dando vita a una fiorente comunità di Terziarie. Nel 1486 ottenne dal cugino il permesso di erigere in Chivasso un vero e proprio cenobio, che nel 1505 fu approvato come regolare monastero di sorelle di Santa Chiara o Clarisse. Morì in tarda età nel dicembre 1508. Fu sepolta a spese della comunità di Chivasso nella sacrestia della chiesa di San Bernardino, e fu subito onorata con il titolo di Beata sia dai concittadini sia dall’ordine francescano. In seguito, il suo corpo incorrotto fu posto nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, sotto l’altare maggiore. Dal 1801 riposa nel duomo cittadino. Nel 2016, per volere del vescovo mons. Edoardo Aldo Cerrato, è tornata visibile l’urna contenente le spoglie della Beata Bartolomea, da tempo celata dietro un confessionale.

Preghiamo: Dio onnipotente ed eterno, rendi sempre operante in noi il mistero della Pasqua, perché, nati a nuova vita nel Battesimo, con la tua protezione possiamo portare molto frutto e giungere alla pienezza della gioia eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

 

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