17 Maggio 2019 – Venerdì, IV settimana di Pasqua – (At 13,26-33; Sal 2; Gv 14,1-6) – I Lettura: In questo suo primo discorso, Paolo risulta molto pratico, praticità che riscontriamo anche nel primo discorso di Pietro a Pentecoste. Paolo fonda l’annuncio della Risurrezione sulle dichiarazioni dei testimoni, riconoscendo il loro ruolo insostituibile. Vangelo: Gli apostoli, dopo l’annunzio del tradimento di Giuda, del rinnegamento di Pietro e dell’imminente partenza del Maestro, rimangono profondamente turbati. Gesù si accorge di questo turbamento e, ritenendolo un pericolo per la loro fede, li incoraggia amorevolmente.
Io sono la via, la verità e la vita – Dal Vangelo secondo Giovanni: In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me».
Riflessione: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me». Affermare che Gesù è la Via, credere in colui che è Verità, abbandonarsi a chi è venuto come Vita, non è solo un dogma cui aderire o uno slogan da sventolare. La Parola oggi ci chiama a metterci ai piedi del Maestro come alunni che hanno tutto da apprendere. Affermare di accogliere Gesù come Via significa andare a lui non già con un tragitto segnato, con una metà indicata attraverso un percorso definito. Accogliere la Via significa lasciarsi guidare, passo dopo passo, giorno dopo giorno, verso la meta, qualunque essa sia, senza timori di smarrirci perché Gesù è Verità e non ci illude, non ci inganna. Accogliere Gesù come Via significa non temere di perdere la propria vita, anzi ricordarci che solo perdendola potremo ritrovarla in lui (cfr. Lc 9,24; 17,33). Se andiamo al Signore con l’agenda già piena di nostri impegni, pensando di percorrere le nostre vie, seguendo il ritmo del nostro passo, sappiamo già di andare incontro al fallimento (cfr. Lc 14,24). Al più potremo continuare a camminare illudendoci di andare incontro alla meta, ma in realtà gireremo solo intorno a noi stessi, allontanandoci dalla casa del Padre, unica nostra sospirata meta.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: La chiesa apre le sue porte – Redemptoris Missio 24: La missione della chiesa, come quella di Gesù, è opera di Dio o – come spesso dice Luca – opera dello Spirito. Dopo la risurrezione e l’ascensione di Gesù gli apostoli vivono un’esperienza forte che li trasforma: la Pentecoste. La venuta dello Spirito santo fa di essi dei testimoni e dei profeti, (At 1,8; 2,17) infondendo in loro una tranquilla audacia che li spinge a trasmettere agli altri la loro esperienza di Gesù e la speranza che li anima. Lo Spirito dà loro la capacità di testimoniare Gesù con «franchezza». Quando gli evangelizzatori escono da Gerusalemme, lo Spirito assume ancor di più la funzione di «guida» nella scelta sia delle persone, sia delle vie della missione. La sua azione si manifesta specialmente nell’impulso dato alla missione che di fatto secondo le parole di Cristo, si allarga da Gerusalemme a tutta la Giudea e Samaria e fino agli estremi confini della terra. Gli Atti riportano sei sintesi dei «discorsi missionari» che sono rivolti ai giudei agli inizi della chiesa (At 2,22; 3,12; 4,9; 5,29; 10,34; 13,16). Questi discorsi-modello, pronunciati da Pietro e da Paolo, annunziano Gesù, invitano a «convertirsi», cioè ad accogliere Gesù nella fede e a lasciarsi trasformare in lui dallo Spirito. Paolo e Barnaba sono spinti dallo Spirito verso i pagani (At 13,46), il che non avviene senza tensioni e problemi. Come devono vivere la loro fede in Gesù i pagani convertiti? Sono essi vincolati alla tradizione del giudaismo e alla legge della circoncisione? Nel primo Concilio, che riunisce a Gerusalemme intorno agli apostoli i membri di diverse chiese, viene presa una decisione riconosciuta come derivante dallo Spirito: non è necessario che il gentile si sottometta alla legge giudaica per diventare cristiano (At 15,5; 11,28). Da quel momento la chiesa apre le sue porte e diventa la casa in cui tutti possono entrare e sentirsi a proprio agio, conservando la propria cultura e le proprie tradizioni, purché non siano in contrasto col Vangelo.
Abbiate fede in me – Benedetto XVI (Regina Caeli, 22 Maggio 2011): La fede in Gesù comporta seguirlo quotidianamente, nelle semplici azioni che compongono la nostra giornata. «È proprio del mistero di Dio agire in modo sommesso. Solo pian piano Egli costruisce nella grande storia dell’umanità la sua storia. Diventa uomo ma in modo da poter essere ignorato dai contemporanei, dalle forze autorevoli della storia. Patisce e muore e, come Risorto, vuole arrivare all’umanità soltanto attraverso la fede dei suoi ai quali si manifesta. Di continuo Egli bussa sommessamente alle porte dei nostri cuori e, se gli apriamo, lentamente ci rende capaci di “vede-re”» (Gesù di Nazareth II, 2011,306). Sant’Agostino afferma che «era necessario che Gesù dicesse: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), perché una volta conosciuta la via, restava da conoscere la meta» (Tractatus in Ioh., 69, 2: CCL 36, 500), e la meta è il Padre. Per i cristiani, per ciascuno di noi, dunque, la Via al Padre è lasciarsi guidare da Gesù, dalla sua parola di Verità, e accogliere il dono della sua Vita.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «Ma che cosa vogliono dire le parole che seguono: “Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore” [Gv 14,2]? È proprio perché i discepoli temevano anche per sé medesimi, che il Signore dice loro: «non si turbi il vostro cuore». E chi tra loro poteva evitare di esser colto da timore, dopo che Gesù aveva detto a Pietro, tra loro il più fiducioso e pronto: «Non canterà il gallo, che tu mi avrai rinnegato tre volte»? Giustamente si turbano, in quanto temono di perire lontano da lui. Ma quando ascoltano il Signore che dice: «Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore»; “se non fosse così ve lo avrei detto, perché vado a preparare un posto per voi (ibid)”, il loro turbamento si calma e sono sicuri e fiduciosi che, al di là dei pericoli della tentazione essi resteranno presso Dio, con Cristo. Uno sarà più forte dell’altro, uno più sapiente, un altro più giusto, un altro ancora più santo; ma «nella casa del Padre vi sono molte dimore», nessuno di essi sarà tenuto fuori da quella casa, dove ognuno avrà, secondo i meriti, la sua dimora. Uguale denaro viene dato a tutti, quel denaro che il padre di famiglia ordina di dare a coloro che hanno lavorato nella vigna, senza far distinzione tra chi ha faticato di più e chi di meno. Questo denaro significa la vita eterna, dove nessuno vive più a lungo dell’altro, poiché nell’eternità non vi può essere una diversa durata della vita. E le molte dimore significano i diversi gradi di merito che vi sono nell’unica vita eterna. Uno è lo splendore del sole, un altro quello della luna, un altro ancora quello delle stelle: e una stella differisce dall’altra quanto a splendore. Così accade nella risurrezione dei morti (cfr. 1Cor 15,41.42.48). Come le stelle nel cielo, i santi hanno nel regno dimore diverse per il loro fulgore; ma nessuno è escluso dal regno, poiché tutti hanno ricevuto la stessa mercede. E così Dio sarà tutto in tutti, in quanto, essendo Dio carità, per effetto di questa carità ciascuno avrà quello che hanno tutti. È così infatti che ognuno possiede, a motivo della carità, non le cose che ha veramente, ma le cose che ama negli altri. La diversità dello splendore non susciterà invidia, perché l’unità della carità regnerà in tutti e in ciascuno» (Agostino).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: L’unica cura per uno che ha paura di essere abbandonato è abbandonarsi – Luigi Maria Epicoco (Riflessione, 27 Aprile 2018): “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me”. È sempre facile dire a parole di non avere paura, ma la paura non la si disfa a forza di parole ma attraverso la vertigine della fiducia. Essa infatti ha il potere di vincere ogni turbamento perché trova forza nello stringere la mano e affidarsi. “Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto”. Gesù vuole quasi spiegare il motivo per cui “deve” andare. La sua partenza è funzionale a preparare un posto a noi, a preparare una strada, anzi a rendere possibile una strada. Senza il suo precederci non ci sarebbe nemmeno il nostro incedere. “Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?»”. Tommaso fa sempre discorsi concreti e fa bene, perché tutti noi abbiamo bisogno di capire in concreto e non in astratto le cose che contano. Ma c’è un difetto nei suoi ragionamenti: la fede/fiducia. C’è come sempre un retrogusto di paura, la paura che niente sia davvero vero dell’esperienza cristiana. Toccare non per fede ma per incredulità. Domandare non per sapere ma per paura di non rivedere più Gesù. Sembra quasi che Tommaso abbia qualche ferita d’abbandono e costantemente essa riemerge nel suo rapporto con Cristo. Vuole conferme. E Gesù gliele dà sempre. “Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me»”. Che tradotto significa: “Stai tranquillo perché ci sono io, e questo per te è meglio di una direzione, di una strada, di una spiegazione, di una verità teorica, di una vita da solo”. Non ci sono altre strade. L’unica cura per uno che ha paura di essere abbandonato è abbandonarsi, cioè fidarsi. Gesù con la sua partenza ci mette di fronte il dramma dell’abbandono ma per guarirci. È proprio nello spazio che si viene a creare con la sua assenza che può accadere l’incontro con ciò che tira fuori da ciascuno di noi la libertà necessaria. Chi ci ama sa anche fare un passo indietro per farci fare un passo in avanti.
Santo del giorno: 17 Maggio – Santa Giulia Salzano Vergine, fondatrice: Giulia Salzano trascorse la sua vita dai diciannove anni in poi nella città di Casoria, in provincia di Napoli, dov’era stata destinata come maestra elementare. Non si limitò tuttavia all’insegnamento, ma s’impegnò anche nella diffusione del catechismo. Insieme ad alcune compagne diede vita alle Suore Catechiste del Sacro Cuore, col compito di far conoscere e amare Dio da tutti gli uomini. Morì a Casoria il 17 maggio 1929, a 83 anni. Beatificata a Roma il 27 aprile 2003, è stata canonizzata il 17 ottobre 2010. I suoi resti mortali sono venerati nella cripta sottostante la chiesa della Casa madre delle Suore Catechiste del Sacro Cuore a Casoria, in piazza Giovanni Pisa 20.
Preghiamo: O Padre, principio della vera libertà e fonte di salvezza, ascolta la voce del tuo popolo e fa’ che i redenti dal sangue del tuo Figlio vivano sempre in comunione con te e godano la felicità senza fine. Per il nostro Signore Gesù Cristo…