13 Maggio 2019 – Lunedì, IV settimana di Pasqua – (At 11,1-18; Sal 41-42; Gv 10,1-10) – I Lettura: Nel brano della lettura odierna, c’è tutta la difficoltà da parte degli ambienti giudeo-cristiani ad aprirsi al mondo pagano. Pietro si trova costretto a spiegare con molta pazienza a uomini circoncisi, come fosse arrivato ad un gesto così coraggioso quale l’entrare e mangiare in casa di uomini non circoncisi. Il malcontento nasce da un motivo alimentare, ma nasconde il vero rimprovero: come ha osato Pietro battezzare dei pagani, senza prima farli accedere all’iniziazione giudaica? Vangelo: Il capitolo 10 del Vangelo di Giovanni è dominato dalla figura del buon pastore: per essere compreso bene questo riferimento è necessario leggerlo nel suo giusto contesto. Nel capitolo 9 Gesù si è rivelato come luce del mondo attraverso la guarigione del cieco nato e tramite questo miracolo ha sottolineato la cecità delle guide spirituali dei capi dei giudei. Gesù, dimostrando di avere il potere di dare la vista, dà prova di essere l’unico pastore che può condurre le pecore alla salvezza.
Io sono la porta delle pecore – Dal Vangelo secondo Giovanni: In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
Riflessione: «Sei entrato in casa di uomini non circoncisi e hai mangiato insieme con loro!». Il duro rimprovero mosso a Pietro da parte dei Giudei ci fa comprendere quanto era profondo il solco che divideva i “circoncisi”, cioè il popolo di Israele, il popolo eletto, da tutti gli altri uomini, i cosiddetti “pagani”. Quest’ultimi erano disprezzati in quanto fuori dalla grazia di Dio al punto che venivano comunemente definiti “goìm” cioè “cani”. Anche il semplice mangiare insieme era vietato, cosa che anche a Gesù era stato più volte rimproverato (cfr. Mt 9,11; 11,19; Lc 15,2). Quanto detto ci fa comprendere meglio il contesto in cui Gesù pronuncia il discorso del “Buon Pastore” e l’aspetto rivoluzionario che tali affermazioni contengono. Gesù si rivela come il Buon Pastore che è venuto per dare la vita per le sue pecore, una vita abbondante, per tutti. E non solo le pecore di Israele ma anche le pecore che appartengono ad altri ovili: gli altri popoli, tutti gli uomini! La voce di Cristo è per tutti, egli è la Via per tutti, egli è la Porta per tutti! Non vi sono più i Giudei e gli altri, ma Cristo è tutto in tutti (cfr. Rm 1,16; 2,9.10; 10,12; Gal 3,28; Col 3,11): egli è la Vita per tutti, per chiunque voglia riconoscere la sua voce e seguirlo senza più alcuna distinzione.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza – Benedetto XVI (Omelia, 3 Giugno 2006): Vita e libertà – sono le cose a cui tutti noi aneliamo. Ma che cosa è questo, dove e come troviamo la “vita”? Io penso che, spontaneamente, la stragrande maggioranza degli uomini ha lo stesso concetto di vita del figliol prodigo nel Vangelo. Egli si era fatto liquidare la sua parte di patrimonio, e ora si sentiva libero, voleva finalmente vivere senza più il peso dei doveri di casa, voleva soltanto vivere. Avere dalla vita tutto ciò che essa può offrire. Godersela pienamente – vivere, solo vivere, abbeverarsi all’abbondanza della vita e non perdere nulla di ciò che di prezioso essa può offrire. Alla fine si ritrovò custode di porci, addirittura invidiando quegli animali – così vuota era diventata questa sua vita, così vana. E vana si rivelava anche la sua libertà. Non avviene forse anche oggi così? Quando della vita ci si vuole soltanto impadronire, essa si rende sempre più vuota, più povera; facilmente si finisce per rifugiarsi nella droga, nella grande illusione. Ed emerge il dubbio se vivere, in fin dei conti, sia veramente un bene. No, in questo modo noi non troviamo la vita. La parola di Gesù sulla vita in abbondanza si trova nel discorso del buon Pastore. È una parola che si pone in un doppio contesto. Sul pastore, Gesù ci dice che egli dà la sua vita. “Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso” (cfr. Gv 10,18). La vita la si trova soltanto donandola; non la si trova volendo impossessarsene. È questo che dobbiamo imparare da Cristo; e questo ci insegna lo Spirito Santo, che è puro dono, che è il donarsi di Dio. Più uno dà la sua vita per gli altri, per il bene stesso, più abbondantemente scorre il fiume della vita.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Le porte del Logos – «Quanto a voi, se desiderate davvero vedere Dio, prendete parte a cerimonie di purificazione degne di Dio, senza foglie di lauro, né nastri ornati di lana e di porpora; essendovi coronati di giustizia e con la fronte cinta delle foglie della continenza, occupatevi con cura di Cristo; poiché “io sono la porta” [Gv 10,9], dice egli in un certo passo; porta che occorre imparare a conoscere, se si vuol conoscere Dio, in modo tale che egli apra davanti a noi tutte le porte del cielo. Sono infatti ragionevoli, le porte del Logos, che la chiave della fede ci apre: “Nessuno conosce Dio, se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo ha rivelato” [Mt 11,27]. Questa porta chiusa fino ad ora, ne sono sicuro, rivela inoltre a chi la apre ciò che sta all’interno e mostra quel che non si poteva conoscere in precedenza, senza essere passati per il Cristo, unico intermediario che conferisce l’iniziazione rivelatrice di Dio» (Clemente di Alessandria).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: “Noi siamo un risultato di tutta la nostra vita e di tutto il nostro passato, delle nostre qualità e difetti, del nostro carattere, delle nostre infedeltà e peccati passati. Gesù ama sì il nostro «Io» ideale, ma anche la sua reale attuazione: «Egli sapeva che cosa ci fosse nell’uomo» (Gv 2,25). Forse noi non siamo soddisfatti di noi stessi perché ci vediamo troppo al disotto dell’io elevato che nel nostro orgoglio sogniamo. Forse per questo cerchiamo di occultare a noi stessi ciò che siamo quando ci mettiamo in preghiera, come se in realtà non continuassimo sempre ad essere quegli uomini deboli e peccatori che siamo… Forse il ricordo delle nostre infedeltà ci turba e costituisce per noi un tormento: «Perché ho commesso tanti peccati e così gravi?». Ma attenzione, non sempre questa domanda nasce in noi dall’amore di Cristo, anche l’amor proprio e l’orgoglio sanno produrre un simile frutto. E se ne vogliamo la prova, domandiamoci: i peccati degli altri, producono in noi un eguale dolore? E non sono forse anch’essi offese a Cristo? Il ricordo del passato costituisce spesso per molti buoni un problema psicologico. Non perché dubitino di essere stati perdonati, ma per il pensiero delle tante occasioni in cui non sono stati fedeli a Cristo. Così il passato infedele è per alcuni un peso morto che trascinano per tutta la vita. Ma non bisogna preoccuparsi. Cristo ci ama così come siamo, con il nostro passato. La prova più grande di amore verso di Lui è fidarsi di Lui, accettare la vita passata così come è stata ed esserGli veramente riconoscenti di aver permesso quei peccati che ora servono a mettere le basi della nostra umiltà. Non dobbiamo turbarci per i peccati passati. Dobbiamo detestarli, e preferire la morte prima di commetterne altri. Ma dobbiamo ringraziare Gesù che li ha permessi. Nessuno può voler servire Cristo solo con la condizione che Egli ne faccia un capolavoro di giustizia, ove risplenda solo l’innocenza. Dobbiamo esser contenti che Egli faccia di noi un capolavoro della sua misericordia. La vita spirituale non è come una combinazione di treni, nella quale perdutone uno è finito l’intero viaggio. La vita spirituale può essere più giustamente paragonata ad una gita in montagna. Perduto il cammino una volta e fallito il primo progetto, non per questo si deve rinunciare. Basta mettersi nelle mani di una guida. È facile che egli ci conduca ad una escursione migliore di quella che era in progetto. Fidati di Gesù Cristo, che ha i suoi disegni su di te. Non turbarti per il passato: Egli ti ama adesso. Affida il tuo passato alla Misericordia, il futuro alla Provvidenza e trascorri il presente amando. «Io conosco le mie pecorelle… nessuno me le strapperà di mano» (Gv 10, 28). Accetta la tua vita passata e abbandonati nelle mani di Gesù. Non vi è nel Vangelo un passo in cui Gesù Cristo rinfacci un peccato a coloro a cui ha perdonato. Un peccato rimpianto può dare più gloria a Dio di un atto virtuoso del quale uno si vanti. Ripensare continuamente al passato ed occuparsene sempre, significa avere un erroneo concetto dell’amore di Gesù. Non ci dispiacerebbe forse che una persona cara ritornasse sempre a ricordarci un dolore causatoci una volta?” (P. Louis Mendizabal S. J.).
Santo del giorno: 13 Maggio – Nostra Signora di Fatima: Dopo tre apparizioni di rilievo della Vergine Maria, verificatesi durante il XIX secolo, a La Salette nel 1846, a Lourdes nel 1858, a Castelpetroso nel 1888, la Madonna apparve nel 1917, la prima nel XX secolo, a Fatima in Portogallo. In tutte queste apparizioni la Vergine si rivolse a ragazzi o giovani di umili condizioni sociali, per lo più dediti alla pastorizia; indicando così la sua predilezione per le anime semplici e innocenti, a cui affidare i suoi messaggi all’umanità peccatrice, invocandone il pentimento, esortandola alla preghiera, chiedendone la consacrazione al suo Cuore e la riparazione alle offese fatte al divin Figlio. Il vescovo di Leiria, nella sua lettera pastorale a chiusura del cinquantenario, aveva affermato che il messaggio di Fatima “racchiude un contenuto dottrinale tanto vasto da poter certamente affermare che non gli sfugge alcuno dei temi fondamentali della nostra fede cristiana…”. Nonostante siano passati più di cento anni, il messaggio di Fatima è molto attuale, sopra tutto in questi tempi di “morta fede” (Beato Bartolo Longo): l’umanità ha bisogno di aggrapparsi all’àncora della preghiera e della penitenza. La riparazione per questa povera umanità smarrita è l’ultima tavola di salvezza.
Preghiamo: O Dio, che nell’umiliazione del tuo Figlio hai risollevato il mondo dalla sua caduta, donaci la santa gioia pasquale, perché, liberi dall’oppressione della colpa, partecipiamo alla felicità eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…