10 Maggio 2019 – Venerdì, III settimana di Pasqua – (At 9,1-20; Sal 116[117]; Gv 6,52-59) – I Lettura: Paolo, non solo cade a terra, ma rimane pure folgorato dalla potente luce che lo ha avvolto. È significativa questa cecità di colui che ha visto lo splendore divino sul volto di Gesù. L’illuminazione della fede coinciderà per Paolo con il suo cammino catecumenale. Allora i suoi occhi si apriranno alla luce. Vangelo: Dimorare in Dio, essere certi che Cristo vive in noi, deve diventare la suprema aspirazione dell’uomo. Il Signore Gesù paragona la comunione che intende stabilire con noi con quella di cui egli stesso gode con il Padre celeste. Si tratta quindi di una comunione piena di vita, di amore, di condivisione intima e totale.
La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda – Dal Vangelo secondo Giovanni: In quel tempo, i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.
Riflessione: «Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». “Vivere l’esperienza della fede significa lasciarsi nutrire dal Signore e costruire la propria esistenza non sui beni materiali, ma sulla realtà che non perisce: i doni di Dio, la sua Parola e il suo Corpo. Se ci guardiamo attorno, ci accorgiamo che ci sono tante offerte di cibo che non vengono dal Signore e che apparentemente soddisfano di più. Alcuni si nutrono con il denaro, altri con il successo e la vanità, altri con il potere e l’orgoglio. Ma il cibo che ci nutre veramente e che ci sazia è soltanto quello che ci dà il Signore! Il cibo che ci offre il Signore è diverso dagli altri, e forse non ci sembra così gustoso come certe vivande che ci offre il mondo. Allora sogniamo altri pasti, come gli ebrei nel deserto, i quali rimpiangevano la carne e le cipolle che mangiavano in Egitto, ma dimenticavano che quei pasti li mangiavano alla tavola della schiavitù. Essi, in quei momenti di tentazione, avevano memoria, ma una memoria malata, schiava, non libera” (Papa Francesco)
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Triplice significato dell’Eucaristia – Catechismo Tridentino 211: Importa anche spiegare con cura che cosa significhi il sacramento dell’Eucaristia; affinché i fedeli, guardando con gli occhi del corpo i sacri misteri, pascano l’animo con la contemplazione delle cose divine. Tre sono le cose significate da questo sacramento. La prima è un avvenimento passato: la passione del Signore, come Egli stesso ci ha insegnato: Fate questo in memoria di me (Lc 22,19); e l’Apostolo attesta: Ogni volta che mangerete questo pane e berrete questo calice annunzierete la morte del Signore, fino a quando egli venga (1Cor 11,26). La seconda è una realtà presente, cioè la grazia divina e celeste, che questo sacramento ci dona per nutrire e conservare le anime nostre. Come il Battesimo ci genera a nuova vita, e la Cresima ci fortifica perché possiamo respingere il demonio e confessare apertamente il nome di Cristo, così l’Eucaristia ci nutre e ci sostenta. La terza è un preannunzio del futuro: cioè il frutto dell’eterna gloria e felicità, che riceveremo nella patria celeste, secondo la promessa di Dio. Queste tre cose però riferentisi al passato, al presente e al futuro, sono espresse così bene dal mistero dell’Eucaristia, che tutto intero il sacramento, pur constando di due specie diverse, serve a indicare ciascuna di esse quale distinti significati di un’unica realtà.
Gesù Cristo, l’amore incarnato di Dio – Deus Caritas Est 12-13: La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti – un realismo inaudito. Già nell’Antico Testamento la novità biblica non consiste semplicemente in nozioni astratte, ma nell’agire imprevedibile e in certo senso inaudito di Dio. Questo agire di Dio acquista ora la sua forma drammatica nel fatto che, in Gesù Cristo, Dio stesso insegue la «pecorella smarrita», l’umanità sofferente e perduta. Quando Gesù nelle sue parabole parla del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare. Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo – amore, questo, nella sua forma più radicale. Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni (cfr. Gv 19,37), comprende ciò che è stato il punto di partenza di questa Lettera enciclica: «Dio è amore» (1Gv 4,8). È lì che questa verità può essere contemplata. E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l’amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare. A questo atto di offerta Gesù ha dato una presenza duratura attraverso l’istitu-zione dell’Eucaristia, durante l’Ultima Cena. […] Se il mondo antico aveva sognato che, in fondo, vero cibo dell’uomo – ciò di cui egli come uomo vive – fosse il Logos, la sapienza eterna, adesso questo Logos è diventato veramente per noi nutrimento – come amore. L’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione. L’immagine del matrimonio tra Dio e Israele diventa realtà in un modo prima inconcepibile: ciò che era lo stare di fronte a Dio diventa ora, attraverso la partecipazione alla donazione di Gesù, partecipazione al suo corpo e al suo sangue, diventa unione. La «mistica» del Sacramento che si fonda nell’abbassamento di Dio verso di noi è di ben altra portata e conduce ben più in alto di quanto qualsiasi mistico innalzamento dell’uomo potrebbe realizzare.
Cristo ci nutre unendoci a sé – Sacramentum caritatis 70: Il Signore Gesù, fattosi per noi cibo di verità e di amore, parlando del dono della sua vita ci assicura che «chi mangia di questo pane vivrà in eterno» (Gv 6,51). Ma questa «vita eterna» inizia in noi già in questo tempo attraverso il cambiamento che il dono eucaristico genera in noi: «Colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6,57). Queste parole di Gesù ci fanno capire come il mistero «creduto» e «celebrato» possegga in sé un dinamismo che ne fa principio di vita nuova in noi e forma dell’esi-stenza cristiana. Comunicando al Corpo e al Sangue di Gesù Cristo, infatti, veniamo resi partecipi della vita divina in modo sempre più adulto e consapevole. Vale anche qui quanto sant’Agostino, nelle sue Confessioni, dice del Logos eterno, cibo dell’anima: mettendo in rilievo il carattere paradossale di questo cibo, il santo Dottore immagina di sentirsi dire: «Sono il cibo dei grandi: cresci e mi mangerai. E non io sarò assimilato a te come cibo della tua carne, ma tu sarai assimilato a me». Infatti non è l’alimento eucaristico che si trasforma in noi, ma siamo noi che veniamo da esso misteriosamente cambiati.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Il pane della concordia – «“Altercavano pertanto i giudei tra loro, dicendo: Come mai può costui darci da mangiare la sua carne?” (Gv 6,52). Altercavano fra di loro perché non capivano il significato del pane della concordia, e non volevano mangiarne; non litigano infatti coloro che mangiano tale pane, in quanto “un solo pane, un solo corpo siamo noi, anche se siamo molti”. E per mezzo di questo pane, “Dio fa abitare insieme coloro che hanno un solo spirito” (Sal 67,7). Poiché litigando fra loro si domandano come possa il Signore dare in cibo la sua carne, non odono quanto ad essi egli dice di nuovo: “In verità, in verità, vi dico, se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita” (Gv 6,53). Voi non sapete in che modo si mangia questo pane, non sapete in qual modo si deve mangiare: tuttavia, “se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo, e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita”. Egli diceva queste cose non ai morti, ma ai vivi. E affinché essi credendo che egli parlava di questa vita terrena, di nuovo non litigassero, subito aggiunge: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna” (Gv 6,54). Non l’ha invece chi non mangia questo pane e non beve questo sangue: senza di ciò gli uomini possono avere la vita terrena e mortale, ma assolutamente non possono avere la vita eterna. Chi non mangia la sua carne e non beve il suo sangue, non ha in sé la vita: l’ha chi mangia la sua carne e beve il suo sangue» (Sant’Agostino).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: «Si ricordi che il mangiare lo stesso pane eucaristico deve creare una vita di comunione autentica e profonda tra i membri della stessa comunità ecclesiale. La partecipazione allo stesso banchetto deve affratellare tutti i discepoli di Cristo, eliminando le disuguaglianze spesso scandalose tra chi possiede troppo, nuotando nella ricchezza, e chi vive nella miseria. L’eucarestia deve creare una vera comunione tra tutti i cristiani che si comunicano con lo stesso Pane. Se le sperequazioni troppo vistose possono essere comprensibili – anche se non giustificabili – in una società non cristiana, esse appaiono un assurdo tra i discepoli di Cristo che celebrano la stessa cena eucaristica e bevono lo stesso sangue del Verbo incarnato» (Sal-vatore Alberto Panimolle).
Santo del giorno: 10 Maggio – San Giovanni d’Avila, Sacerdote e Dottore della Chiesa: Visse nel secolo XVI. Profondo conoscitore delle Sacre Scritture, era dotato di ardente spirito missionario. Seppe penetrare con singolare profondità i misteri della Redenzione operata da Cristo per l’umanità. Uomo di Dio, univa la preghiera costante all’azione apostolica. Si dedicò alla predicazione e all’incremento della pratica dei Sacramenti, concentrando il suo impegno nel migliorare la formazione dei candidati al sacerdozio, dei religiosi e dei laici, in vista di una feconda riforma della Chiesa. Proficua la sua collaborazioni con grandi santi spagnoli suoi contemporanei quali Ignazio di Loyola, Francesco Borgia, Pietro d’Alcantara e Teresa d’Avila. Beatificato nel 1894 e canonizzato nel 1970, Papa Benedetto XVI lo ha proclamato “Dottore della Chiesa” il 7 ottobre 2012.
Preghiamo: Dio onnipotente, che ci hai dato la grazia di conoscere il lieto annunzio della risurrezione, fa’ che rinasciamo a vita nuova per la forza del tuo Spirito di amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo…