Liturgia, maggio

III Domenica di Pasqua (C) 5 Maggio 2019

      Dagli Atti degli Apostoli (5,27b-32.40b-41) – Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo: Il V capitolo del libro dell’Apo-calisse può essere considerato l’introduzione alle diverse sezioni che si susseguono nel libro: la sezione dei «sette sigilli» (6,1-8,1); la sezione delle «sette trombe» (8,2-11,19); la sezione delle «sette coppe» (15,1-16,21). L’Agnello è Gesù: è il Crocifisso e il Risorto; il Vivente, degno di «ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione». L’aggettivo degno «non deve trarre in inganno: esso non si riferisce a valori morali, bensì alla capacità, da lui detenuta, di ricevere da Dio la potenza di agire, la ricchezza delle risorse divine, la sapienza nel condurre la storia e la forza di vincere il male, e dagli uomini l’onore, cioè la riconoscenza della sua azione di salvezza, insieme alla gloria e alla benedizione nella preghiera e nella liturgia» (G. Di Palma).

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (5,11-14) – L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza: La missione degli Apostoli si muove tra il successo e la persecuzione scatenata dal Sinedrio che ritiene il cristianesimo un serio pericolo per il giudaismo ufficiale. Pietro ripercorre le vicende del Cristo senza timore di annunziare la sua risurrezione e di accusare il Sinedrio di aver ucciso l’Autore della Vita. La Risurrezione di Gesù è l’evento capitale al quale tutto deve essere subordinato e orientato. Gli Apostoli sono lieti «di subire oltraggi per il nome di Gesù» perché a loro è data «la grazia non solo di credere in Cristo; ma anche di soffrire per lui» (Fil 1,29). Solo lo Spirito Santo può donare questa gioia.

Dal Vangelo secondo Giovanni (21,1-19) – Viene Gesù, prende il pane e lo dà loro, così pure il pesce: Il vangelo attraverso delle immagini ci conduce alla comprensione delle vicende terrene della Chiesa e del Principe degli Apostoli. La grande quantità di pesci simboleggia il successo che avrà la Chiesa nella predicazione del Vangelo di Gesù. Pietro sarà il primo, ma il primato sarà sinonimo di servizio fino al dono della vita. Il martirio, la morte violenta, è espressa nelle parole di Gesù: «… quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Una vita intensa, ma sempre sostenuta dalla Presenza del Risorto: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. Quand’eb-bero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasco-la le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

Approfondimento

      La visione di Giovanni – Quando si usa la parola apocalisse la memoria va all’ultimo libro del Nuovo Testamento che porta proprio questo titolo. E quando la usiamo in senso figurato si dà ad essa il significato di catastrofe o di disastro totale, e, nell’immaginario popolare, a questo significato è rimasto ancorato il libro dell’Apoca-lisse, infatti, il libro è più conosciuto per i disastrosi avvenimenti in esso descritti che per il vero messaggio che vuole porgere al lettore.

Per il significato, Apocalisse “riproduce il vocabolo greco apokàly-psis svelamento o rivelazione, nel senso di portare in luce ciò che è nascosto. Nel suo significato religioso, è la manifestazione di misteri inaccessibili alla mente umana, ma che interessano le ragioni dell’e-sistenza nel presente e nel futuro” (S. Garofalo, L’apocalisse è per oggi).

La data di composizione, secondo l’autorevole testimonianza di Ireneo, si colloca “alla fine del regno di Domiziano” (81-96) e i destinatari diretti sono i membri della comunità giovannea, residente a Efeso e nelle altre città indicate all’inizio dell’opera stessa (1,1). Ma essendo sette le chiese destinatarie del messaggio del Risorto, si può pensare ad un numero simbolico e quindi ad un intento di destinazione universale, cioè a tutte le chiese. Indirizzato ai cristiani provati dalle persecuzioni, il libro ha lo scopo di consolare, confortare, dare speranza, di infondere la certezza che al di là di ogni ostilità o malvagità a scrivere la storia, e a portarla avanti, è Dio, il quale, nel tempo da lui fissato, infrangerà per sempre l’arroganza dei persecutori, malvagi alleati di satana: “E il diavolo, che li aveva sedotti, fu gettato nello stagno di fuoco e zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta: saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli” (Ap 20,10).

L’Apocalisse, “è quindi una profezia sulla Chiesa e sulla storia, un libro dai sette sigilli che contiene il piano di Dio e i destini soprannaturali del mondo. Arbitro e Signore della storia è Cristo, l’A-gnello della nuova pasqua, il quale col suo sacrificio ha acquistato un popolo innumerevole, che lo segue dovunque vada [Ap 14,4]: popolo innumerevole che è la Chiesa, sposa che Cristo ha legato a sé con vincoli di amore, e che ora vive nella trepida e costante attesa del suo ritorno. Allora finalmente, nella nuova Gerusalemme, si perpetuerà la celeste liturgia della creazione intera che renderà a «Colui che siede sul trono e all’Agnello la benedizione, l’amore, la gloria e la potenza, nei secoli dei secoli» [Ap 5,3]” (S. B.).

Comunemente si indica l’apostolo Giovanni come autore del libro (cfr. Ap 1,9) o comunque è di ispirazione giovannea, scritto nei circoli più vicini all’Apostolo e penetrata dal suo insegnamento. È debitore del genere letterario apocalittico, anche se non è facile marcare il confine che separa il genere apocalittico da quello profetico. Infatti, “mentre gli antichi profeti ascoltavano le rivelazioni divine e le trasmettevano oralmente, l’autore di un’apocalisse invece riceve le rivelazioni in forma di visioni, che riferisce in un libro. D’altra parte, queste visioni non hanno valore in sé, ma per il simbolismo di cui so-no cariche. Tutto, o quasi tutto, ha valore simbolico in un’apocalisse: le cifre, le cose, le parti del corpo, gli stessi personaggi che entrano in scena. Quando descrive una visione, il veggente traduce in simboli le idee che Dio gli suggerisce. Procede per accumulazione di cose, colori, cifre simboliche, senza curarsi dell’incoerenza degli effetti ottenuti. Per capirlo, bisogna entrare nel suo gioco, ritradurre in idee i simboli che propone. Altrimenti si falsa il senso del suo messaggio” (Bibbia di Gerusalemme, Apocalisse).

Quindi, un messaggio di fiducia. I cristiani non devono temere, anche se devono momentaneamente soffrire per il nome di Gesù, perché alla fine trionferanno: “Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!” (Gv 15,33).

Commento al Vangelo

Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli – Gesù si manifesta ai discepoli non più a Gerusalemme, teatro della sua passione, morte e risurrezione, bensì «sul mare di Tiberìade», dove aveva svolto gran parte della sua attività apostolica.

Simon Pietro aveva deciso di andare a pescare, una decisione condivisa da Tommaso, da Natanaele, dai figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, e da altri due discepoli anonimi. Una decisione che forse mette a nudo in Pietro e nei discepoli un sentimento di delusione (cfr. Lc 24,2: «noi speravamo…»).

L’iniziativa si conclude con un sonoro fallimento, «in quella notte non presero nulla»; una scena che racchiude senz’altro un richiamo simbolico: senza Gesù, «luce del mondo» (Gv 8,12), gli uomini precipitano nelle tenebre e senza di Lui gli uomini non possono realizzare le opere di Dio (Gv 9,4; 15,5).

Quando era già l’alba, Gesù si presenta sulla riva, ma i discepoli non lo riconoscono, elemento tipico delle apparizioni (cfr. Lc 24,16; Gv 20,14). Fanno però quanto viene loro comandato e traggono a ter-ra la rete piena di una «grande quantità di pesci».

Questa sovrabbondanza richiama il miracolo di Cana (cfr. Gv 2,6), la moltiplicazione dei pani (cfr. Gv 6,11s), l’acqua viva (cfr. Gv 4,14; 7,37s), la vita data dal buon pastore (cfr. Gv 10,10), la pienezza dello Spirito data da Gesù (cfr. Gv 3,34).

A fronte di questo prodigio, il discepolo «che Gesù amava» riconosce nello sconosciuto il Risorto e lo riferisce a Pietro. La reazione di Pietro è repentina, propria del suo carattere impetuoso, si getta in acqua e raggiunge a nuoto la spiaggia; mentre gli altri trascinando la rete piena di pesci raggiungono la terra: «Ecco, dunque, la scena ormai completa di significato simbolico: gli Apostoli, con a capo Pietro, corrono verso Cristo, Cristo Risorto, trascinando la barca ricolma della pesca miracolosa!» (Massimo Biocco).

Pietro, ad un invito del Risorto, trae a terra la rete piena di «cento-cinquantatré grossi pesci». Un numero certamente  simbolico (cfr. Ez 47,10), ma la sottolineatura benché fossero tanti, la rete non si squarciò, sta a simboleggiare il fatto che la Chiesa, autenticamente fondata sulla parola di Gesù e sulla fede di Pietro (cfr. Mt 16,16), non si spezzerà nonostante la pavidità di molti cristiani e le persecuzioni degli uomini: «doppio miracolo quindi: la pesca abbondante e le reti che non si rompono. Anche nell’unica barca [nel racconto di Luca sono due] e nella rete che non si rompe molti vedono il simbolo dell’unità della Chiesa» (G. Segalla).

L’apparizione si conclude con un banchetto dove Gesù offre ai suoi discepoli pane e pesce arrostito (cfr. Mt 14,17-19). Dopo aver mangiato, Gesù offre a Pietro, con una triplice professione d’amore, l’opportunità di controbilanciare il triplice rinnegamento (cfr. Mt 26,69-75; Mc 14,66-72; Lc 22,54-62; Gv 18,25-27). E solo alla fine di questa triplice professione di amore, Pietro, da Gesù, viene rinvestito nel suo mandato, quello di reggere e di pascere in suo nome il gregge (cfr. Mt 16,18; Lc 22,31s). È da notare che il racconto della riabilita­zione di Pietro abbonda di sinonimi, due diversi verbi per amare; due verbi per pascere; due nomi per pecore e agnelli; due verbi per sapere; come a voler esaltare l’episodio dell’investitura.

Ormai purificato e rinnovato nel cuore e nella mente, Pietro può conoscere «con quale morte egli avrebbe glorificato Dio»: «… quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». Una profezia che si compirà a Roma, luogo della sua morte violenta: morirà crocifisso come il suo Signore.

L’immagine di cingersi ai fianchi la veste è «propria dell’uso di quei tempi di vestiti molto ampi che era necessario raccogliere e cingere per i viaggi molto lunghi. Pietro dovrà farlo, perché si troverà come un uomo anziano e indifeso davanti a coloro che lo metteranno a morte per la sua fede. D’altra parte, la scena mette in rilievo un altro pensiero interessante. Finora, Gesù era stato pastore. Ora, nel tempo della Chiesa, quest’ufficio è affidato a Pietro» (F. F. Ramos).

E solo ora, al termine di questo lungo cammino di purificazione, può, finalmente, risuonare nel cuore di Simone la voce di Dio che lo invita alla sequela: «E detto questo aggiunse: “Seguimi”» (cfr. 13,36: Simon Pietro gli dice: «Signore, dove vai?». Gli risponde Gesù: «Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; m seguirai più tardi»). La sequela è sempre un dono di Dio, mai iniziativa dell’uomo.

Riflessione

Un messaggio di speranza – Quando l’apostolo Giovanni scrive, i cristiani, il nuovo Israele, sono appena stati decimati da una persecuzione sanguinosa, scatenata da Roma, ma per istigazione di satana (cfr. Ap 12; 13,2-4), l’avversario per eccellenza di Cristo e della sua Chiesa. Quando il veggente di Patmos è folgorato dalle visioni del Cristo, i fedeli dell’Agnello sono esposti al pericolo di un pernicioso lassismo morale. A questi cristiani, l’ultimo apostolo, intende rivolgere un messaggio di speranza, poggiandolo su una triplice certezza.

La prima certezza è questa: il male è vinto definitivamente per il sacrificio di Cristo, Agnello immolato e glorioso. Con la sua morte e la sua risurrezione, Gesù ha inaugurato i nuovi tempi. La bestia è forte, ma la sua potenza è apparente perché in realtà il suo tempo è contato: solo quarantadue mesi, tre anni e mezzo (metà di sette), un tempo che indica il suo trionfo limitato e precario.

La seconda certezza è questa: a dare speranza è la convinzione che quanti sapranno essere fedeli a Cristo nella prova saranno associati a lui anche nella vittoria: «eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (Rm 8,17). Il suo nome non sarà cancellato dal libro della vita (cfr. Ap 3,5) e in dono riceverà la protezione di Dio. Nella nuova Gerusalemme il fedele godrà della dolce intimità del Cristo, parteciperà al suo banchetto e sederà presso di lui, sul suo trono (cfr. Ap 3,21). Certa è dunque questa parola: «Chi sarà vittorioso erediterà questi beni; io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio» (Ap 21,7).

E infine l’ultima certezza: il cuore del fedele si riempie di gioia e di speranza perché sa che questa vittoria è già operante e resa visibile nella vita della Chiesa, anche se sarà definitiva e totale col ritorno di Cristo glorioso. L’Apocalisse diventa così il canto di trionfo della Chiesa perseguitata, ma già fin d’ora associata alla vittoria di Cristo risorto.

La Chiesa ha il diritto e il dovere di sperare, perché la sua fiducia è fondata su Cristo, pastore sempre presente in mezzo ad essa: Gesù, ama la Chiesa, sua Sposa, la dirige con mano sicura e la protegge con amorevolezza (cfr. Ap 1,16.20).

Il cristiano è segno di speranza – Il cristiano è per eccellenza l’uomo della speranza. Nella lotta, nelle tentazioni, nelle persecuzioni, non vacilla perché sa che «la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza» (Rm 5,3-4). La vita del cristiano si snoda tra questa verità di Gesù: «Senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5) e la risposta di Paolo: «Tutto posso in colui che mi dà la forza» (Fil 4,13).

La pagina dei Padri

Il significato della pesca miracolosa – Sant’Agostino: Gesù, mentre nasceva il giorno, stava in piedi sulla riva: la riva significa la fine del mare, e rappresenta perciò la fine dei tempi. E ancora immagine della fine dei tempi è il fatto che Pietro trae la rete a terra, cioè sulla riva. È lo stesso Signore che, in un’altra circostanza, ci chiarisce il significato di queste immagini parlando della rete tratta su dal mare: «Ed essi la tirano sulla riva», dice (Mt 13,38). Che cos’è questa riva? Egli stesso lo spiega poco più avanti: “Sarà così alla fine del mondo” (Mt 13,49). Ma in quella circostanza si trattava soltanto di un racconto sotto forma di parabola, non del significato allegorico di un fatto reale. Qui, invece, è con un fatto reale che il Signore ci vuole fare intendere ciò che sarà la Chiesa alla fine del mondo, così come in un’altra pesca ha raffigurato ciò che è la Chiesa, oggi, in questo mondo (cfr. Lc 5,1-11).

Il primo miracolo ebbe luogo all’inizio della sua predicazione; il secondo, che è questo di cui ora ci occupiamo, si verifica dopo la sua Risurrezione.

Con la prima pesca egli volle significare i buoni e i cattivi di cui ora la Chiesa è formata; con la seconda indica che la Chiesa, alla fine dei tempi, sarà formata soltanto dei buoni che dopo la risurrezione dei morti, saranno in lei in eterno.

 

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