Giovedì dell’Ottava di Pasqua – (At 3,11-26; Sal 8; Lc 24,35-48) – I Lettura: Laddove il Vangelo è accolto con fede, la vita dell’uomo migliora, è questo il messaggio fondamentale della guarigione dello storpio. Pietro, con un accorato sermone, rivolge a tutti un appello alla conversione: ai pagani perché ritornino al vero Dio, abbandonando gli idoli; ai Giudei perché si convertano al Signore, riconoscendo Gesù come Signore. Vangelo: Le diverse filosofie greche insegnavano che l’anima, dopo la morte, vive separata dal corpo. Per Luca era importante sottolineare a dei cristiani che vivevano in ambiente greco, che Cristo risorto non era uno “spirito” immortale senza corpo, ma viveva con il suo corpo, lo stesso che fu inchiodato sulla croce.
Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’ave-vano riconosciuto nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».
Riflessione: «Perché siete turbati». Continuiamo a contemplare il Cristo glorioso, che con la sua Risurrezione ha sconfitto non solo il peccato e la morte, ma con esse ha portato via dalla nostra esistenza ogni angoscia e tristezza, ogni disperazione e turbamento. Abbiamo già avuto modo di sottolineare che non possiamo dire di credere nella Risurrezione di Gesù e poi vivere con sentimenti che contrastano tale nostro credo: non possiamo pregare il Risorto se non lo testimoniamo con una vita pronta a sperare contro ogni speranza. Ed ecco che anche oggi, nel Vangelo, Gesù sta in mezzo a noi, come nel Cenacolo, e ci chiede perché continuiamo ad avere dubbi, ad essere turbati, ad essere angosciati. Avere fede non significa, certamente, rimanere immuni da ogni sentimento negativo, ma è l’arma che mi fa superare tale sentimento, è la luce che illumina le tenebre, è la speranza che allontana ogni ansia e inquietudine.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Gli Ebrei non sono collettivamente responsabili della morte di Gesù – CCC 597: Tenendo conto della complessità storica del processo a Gesù espressa nei racconti evangelici, e qualunque possa essere stato il peccato personale dei protagonisti del processo (Giuda, il Sinedrio, Pilato), che Dio solo conosce, non si può attribuirne la responsabilità all’insieme degli Ebrei di Gerusalemme, malgrado le grida di una folla manipolata e i rimproveri collettivi contenuti negli appelli alla conversione dopo la pentecoste. Gesù stesso perdonando sulla croce e Pietro sul suo esempio hanno riconosciuto l’«i-gnoranza» degli Ebrei di Gerusalemme ed anche dei loro capi. Ancor meno si può, a partire dal grido del popolo: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli» (Mt 27,25) che è una formula di ratificazione, estendere la responsabilità agli altri Ebrei nel tempo e nello spazio. Molto bene la Chiesa ha dichiarato nel Concilio Vaticano II: «Quanto è stato commesso durante la passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo. […] Gli Ebrei non devono essere presentati né come rigettati da Dio, né come maledetti, come se ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura».
Di questo voi siete testimoni – Papa Francesco (Regina Coeli, 19 Aprile 2015): Nelle Letture bibliche della liturgia di oggi risuona per due volte la parola “testimoni”. La prima volta è sulle labbra di Pietro: egli, dopo la guarigione del paralitico presso la porta del tempio di Gerusalemme, esclama: «Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni» (At 3,15). La seconda volta è sulle labbra di Gesù risorto: Egli, la sera di Pasqua, apre la mente dei discepoli al mistero della sua morte e risurrezione e dice loro: «Di questo voi siete testimoni» (Lc 24,48). Gli Apostoli, che videro con i propri occhi il Cristo risorto, non potevano tacere la loro straordinaria esperienza. Egli si era mostrato ad essi affinché la verità della sua risurrezione giungesse a tutti mediante la loro testimonianza. E la Chiesa ha il compito di prolungare nel tempo questa missione; ogni battezzato è chiamato a testimoniare, con le parole e con la vita, che Gesù è risorto, che Gesù è vivo e presente in mezzo a noi. Tutti noi siamo chiamati a dare testimonianza che Gesù è vivo. Possiamo domandarci: ma chi è il testimone? Il testimone è uno che ha visto, che ricorda e racconta. Vedere, ricordare e raccontare sono i tre verbi che ne descrivono l’identità e la missione. Il testimone è uno che ha visto, con occhio oggettivo, ha visto una realtà, ma non con occhio indifferente; ha visto e si è lasciato coinvolgere dall’evento. Per questo ricorda, non solo perché sa ricostruire in modo preciso i fatti accaduti, ma anche perché quei fatti gli hanno parlato e lui ne ha colto il senso profondo. Allora il testimone racconta, non in maniera fredda e distaccata, ma come uno che si è lasciato mettere in questione, e da quel giorno ha cambiato vita. Il testimone è uno che ha cambiato vita.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: “Fratelli miei, in che senso la gioia del vostro cuore è testimonianza del vostro amore di Cristo? Da parte mia, ecco quel che penso; a voi stabilire se ho ragione: Se mai avete amato Gesù, vivo, morto, poi reso alla vita, nel giorno in cui, nella Chiesa, i messaggeri della sua risurrezione ne danno l’annuncio e la proclamano di comune accordo e a tante riprese, il vostro cuore gioisce dentro di voi e dice: «Me ne è stato dato l’annuncio, Gesù, mio Dio, è in vita! Ecco che a questa notizia il mio spirito, già assopito di tristezza, languente di tiepidità, o pronto a soccombere allo scoraggiamento, si rianima». In effetti, il suono di questo beato annuncio arriva persino a strappare dalla morte i criminali. […] Sarai nel tuo diritto di riconoscere che il tuo spirito ha pienamente riscoperto la vita in Cristo, se può dire con intima convinzione: «Se Gesù è in vita, tanto mi basta!». Esprimendo un attaccamento profondo, una tale parola è degna degli amici di Gesù! E quanto è puro, l’affetto che così si esprime: «Se Gesù è in vita, tanto mi basta!». […] Egli è la mia vita, e tutto ciò di cui ho bisogno. Cosa può mancarmi, in effetti, se Gesù è in vita?” (Guerric d’Igny).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Un cammino verso una vittoria – Don Luigi Maria Epicoco (Riflessione, 5 Aprile 2018): «Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: “Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho”. Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi». Per un’intera vita cerchiamo certezze, e quando il Signore ce ne dà qualcuna la nostra reazione è la paura e lo spavento. Siamo così abituati alle cose negative che quando ci succedono quelle buone ci domandiamo immediatamente dove possa essere la fregatura, o quanto ci costerà tutto ciò. È una considerazione triste ma vera. Noi non siamo abituati alla Pasqua. Siamo allenati al venerdì Santo e quasi ci sentiamo più a nostro agio davanti al Crocifisso che davanti al sepolcro vuoto. Non è masochismo, è questione di sintonia. Ci sentiamo più affini alla sofferenza di Cristo che alla Sua vittoria. Ci convinciamo che forse in fondo in fondo la sofferenza la meritiamo, e anche se non troviamo particolari motivi giustifichiamo sempre quel senso di colpa che ci risuona dentro. Eppure siamo cristiani in virtù proprio di una vittoria. Tutta la nostra vita è un cammino verso una vittoria. Una vittoria che passa attraverso tantissime sconfitte ma pur sempre una vittoria. Dobbiamo lasciarci evangelizzare da questa vittoria. Dobbiamo tornare a farci evangelizzare dal bicchiere mezzo pieno. Dobbiamo ritornare a bene-dire la vita, cioè a dire il bene della vita, a sapergli dare spazio, cittadinanza. A saperlo valorizzare anche quando è in netta minoranza. Non è fuga dalla realtà ma tentativo di allargare il nostro realismo che molto spesso è sempre il realismo di ciò che non va. La Pasqua è permettere a questa luce di dissipare la nostra paura ormai abituale. La Pasqua è permettere a tutto il bene silenzioso della nostra vita di tornare ad avere voce in capitolo dentro di noi, dentro le nostre scelte.
Santo del giorno: 25 Aprile – San Marco, Evangelista: Ebreo di origine, nacque probabilmente fuori della Palestina, da famiglia benestante. San Pietro, che lo chiama «figlio mio», lo ebbe certamente con sè nei viaggi missionari in Oriente e a Roma, dove avrebbe scritto il Vangelo. Oltre alla familiarità con san Pietro, Marco può vantare una lunga comunità di vita con l’apostolo Paolo, che incontrò nel 44, quando Paolo e Barnaba portarono a Gerusalemme la colletta della comunità di Antiochia. Al ritorno, Barnaba portò con sè il giovane nipote Marco, che più tardi si troverà al fianco di san Paolo a Roma. Nel 66 san Paolo ci dà l’ultima informazione su Marco, scrivendo dalla prigione romana a Timoteo: «Porta con te Marco. Posso bene aver bisogno dei suoi servizi». L’evangelista probabilmente morì nel 68, di morte naturale, secondo una relazione, o secondo un’altra come martire, ad Alessandria d’Egitto. Gli Atti di Marco (IV secolo) riferiscono che il 24 aprile venne trascinato dai pagani per le vie di Alessandria legato con funi al collo. Gettato in carcere, il giorno dopo subì lo stesso atroce tormento e soccombette. Il suo corpo, dato alle fiamme, venne sottratto alla distruzione dai fedeli. Secondo una leggenda due mercanti veneziani avrebbero portato il corpo nell’828 nella città della Venezia.
Preghiamo: O Padre, che da ogni parte della terra hai riunito i popoli per lodare il tuo nome, concedi che tutti i tuoi figli, nati a nuova vita nelle acque del Battesimo e animati dall’unica fede, esprimano nelle opere l’unico amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo…