aprile, meditazioni

13 Aprile 2019

13 Aprile 2019 – Sabato, V di Quaresima – (Ez 37,21-28; Ger 31,10-12b.13; Gv 11,45-56) – I Lettura: Ezechièle annuncia simbolicamente il ritorno di Israele dall’esilio e la riunificazione in un solo popolo sotto la guida di un unico re-pastore. Con la deportazione del 586 a.C., è avvenuto il castigo preannunziato il quale è servito per la purificazione dall’idolatria e per la guarigione dalla disobbedienza. La promessa di Dio consiste in un’alleanza di pace eterna: il popolo è chiamato a riposare nella terra del suo Dio, in pace e prosperità. Dio esprime il suo amore fedele per il suo popolo: «Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo». Vangelo: La risurrezione di Lazzaro è l’evento decisivo secondo il quale le autorità giudaiche decidono di mettere a morte Gesù, ritenendolo un uomo pericoloso. Il grande pericolo causato dalla persona di Gesù consiste nei suoi miracoli: a causa di essi, le folle lo vorranno proclamare liberatore della nazione, suscitando una reazione da parte dei Romani, e questo risulterebbe un grande pericolo. Caifa, il sommo sacerdote, parlando dall’alto della sua autorità, senza volerlo, afferma profeticamente quanto fosse conveniente il fatto che Gesù morisse, piuttosto di rischiare che andasse perduta la nazione intera. Il parlare di Caifa era mosso senz’altro da interesse prettamente politico, ma la missione di Gesù era veramente quella di dover morire per radunare tutti i figli dispersi.

Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi Dal Vangelo secondo Giovanni: In quel tempo, molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che Gesù aveva compiuto, [ossia la risurrezione di Làzzaro,] credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinèdrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. Gesù dunque non andava più in pubblico tra i Giudei, ma da lì si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Èfraim, dove rimase con i discepoli. Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?».

Riflessione: «Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione». Abbiamo volutamente ripreso la riflessione che fa l’evangelista dopo aver riportato la frase profetica del sommo sacerdote circa la necessità di far morire il solo Gesù per tutta la nazione. Il contesto potrebbe sembrare alquanto squallido, i sentimenti meschini e le scuse accusatorie prive di ogni logico fondamento. Ma il Signore non dimentica che Caifa è il Sommo Sacerdote ed è sulle sue labbra, avide di vendetta, che fa fiorire una profezia che rivela il senso più profondo del sacrificio del Cristo: egli muore perché tutta la nazione (in senso ampio possiamo riferirlo al mondo intero) abbia la vita. «Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,5). Questo ci ricorda la bellezza della Chiesa: anche quando i suoi ministri fossero i più indegni e peccatori, il Signore non dimentica che essi sono suoi strumenti per far giungere a tutti la sua grazia. L’autorità e la verità della Chiesa non dipendono dalla dignità e dalla santità dei ministri (cosa che certamente aiuta e per cui dobbiamo pregare), ma dalla certezza che Dio non ci abbandona: la sua fedeltà è più forte di ogni nostro peccato, e le porte degli inferi non prevarranno sulla Chiesa. La verità che viene da Dio e dalla sua Parola, viene custodita e trasmessa dal Magistero della Chiesa, cui dobbiamo obbedienza e rispetto.

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: … alla vista di ciò che Gesù aveva compiuto credettero in lui – Lumen Fidei 30: La connessione tra il vedere e l’ascoltare, come organi di conoscenza della fede, appare con la massima chiarezza nel Vangelo di Giovanni. Per il quarto Vangelo, credere è ascoltare e, allo stesso tempo, vedere. L’ascolto della fede avviene secondo la forma di conoscenza propria dell’amore: è un ascolto personale, che distingue la voce e riconosce quella del Buon Pastore (cfr. Gv 10,3-5); un ascolto che richiede la sequela, come accade con i primi discepoli che, «sentendolo parlare così, seguirono Gesù» (Gv 1,37). D’altra parte, la fede è collegata anche alla visione. A volte, la visione dei segni di Gesù precede la fede, come con i giudei che, dopo la risurrezione di Lazzaro, «alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui» (Gv 11,45). Altre volte, è la fede che porta a una visione più profonda: «Se crederai, vedrai la gloria di Dio» (Gv 11,40). Alla fine, credere e vedere s’intrecciano: «Chi crede in me […] crede in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato» (Gv 12,44-45). Grazie a quest’unione con l’ascolto, il vedere diventa sequela di Cristo, e la fede appare come un cammino dello sguardo, in cui gli occhi si abituano a vedere in profondità. E così, il mattino di Pasqua, si passa da Giovanni che, ancora nel buio, davanti al sepolcro vuoto, “vide e credette” (Gv 20,8); a Maria Maddalena che, ormai, vede Gesù (cfr. Gv 20,14) e vuole trattenerlo, ma è invitata a contemplarlo nel suo cammino verso il Padre; fino alla piena confessione della stessa Maddalena davanti ai discepoli: «Ho visto il Signore!» (Gv 20,18). Come si arriva a questa sintesi tra l’udire e il vedere? Diventa possibile a partire dalla persona concreta di Gesù, che si vede e si ascolta. Egli è la Parola fatta carne, di cui abbiamo contemplato la gloria (cfr. Gv 1,14). La luce della fede è quella di un Volto in cui si vede il Padre. Infatti, la verità che la fede coglie è, nel quarto Vangelo, la manifestazione del Padre nel Figlio, nella sua carne e nelle sue opere terrene, verità che si può definire come la “vita luminosa” di Gesù. Ciò significa che la conoscenza della fede non ci invita a guardare una verità puramente interiore. La verità che la fede ci dischiude è una verità centrata sull’incontro con Cristo, sulla contemplazione della sua vita, sulla percezione della sua presenza. In questo senso, san Tommaso d’Aquino parla dell’oculata fides degli Apostoli – fede che vede! – davanti alla visione corporea del Risorto. Hanno visto Gesù risorto con i loro occhi e hanno creduto, hanno, cioè, potuto penetrare nella profondità di quello che vedevano per confessare il Figlio di Dio, seduto alla destra del Padre.

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «Non tutti i Giudei che erano venuti da Maria cedettero… Ma alcuni di essi, cioè alcuni dei Giudei che erano venuti, oppure anche di quelli che avevano creduto, si recarono dai farisei a riferire ciò che aveva fatto Gesù, per recare un annuncio che convincesse anche i farisei a credere, o più probabilmente per fare una denuncia che provocasse il loro furore. Comunque fossero le intenzioni di chi andò a riferire, i farisei furono informati. I gran sacerdoti e i farisei radunarono allora un consiglio e dicevano: Che facciamo? (Gv 11,47). Non dicevano mica: Crediamo! Quegli uomini perversi infatti erano più impegnati a infierire su di lui fino a eliminarlo che non a cercare la loro salvezza. E tuttavia erano perplessi e si consultavano. Infatti dicevano: Che facciamo? perché quest’uomo fa molti prodigi! Se lo lasciamo continuare, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e ci distruggeranno città e nazione (Gv 11,47-48). Temevano di perdere le cose temporali e non si preoccupavano della vita eterna, e così perdettero l’una e l’altra. I Romani infatti, dopo la passione e la glorificazione del Signore, distrussero la loro città e la loro nazione, espugnando la città e deportando la popolazione. Si realizzò così la profezia: I figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre (Mt 8,12). Temevano che se tutti avessero creduto in Cristo, non sarebbe rimasto nessuno a difendere la città e il tempio di Dio contro i Romani. Erano infatti convinti che la dottrina di Cristo fosse contraria al tempio e alle leggi dei loro padri […]. Da quel giorno, dunque, decisero di farlo morire. Gesù non si faceva più vedere in pubblico fra i Giudei, ma si ritirò nella regione prossima al deserto, in una città chiamata Efraim, e là soggiorno con i suoi discepoli (Gv 11,53-55). Non gli era certo venuto meno il suo potere, perché, se avesse voluto, avrebbe ben potuto rimanere pubblicamente in mezzo ai Giudei senza che essi potessero fargli del male. Egli volle invece offrire ai discepoli l’esempio di come si possa vivere accettando la debolezza umana; e mostrare loro che i suoi fedeli, che sono le sue membra, possono, senza commettere peccato, sottrarsi ai loro persecutori; e che si deve cercare di sfuggire al furore degli iniqui, anziché provocarli maggiormente col mettersi nelle loro mani» (Sant’Agostino).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che Gesù aveva compiuto, [ossia la risurrezione di Làzzaro,] credettero in lui, ma altri si fanno sopraffare dall’odio: il più bel gesto, quello di dare la vita ad un amico, che significa e concretizza l’amore di Dio verso tutti gli uomini, per pochi scellerati è solo apparato scenografico con una aggravante: il sedicente Cristo, con i suoi miracoli e guarigioni prodigiosi, può portare alla rovina l’intera nazione ebraica. È quindi necessario decidere della sua sorte e decidere partendo da un saggio principio: è conveniente che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera (Gv 11,50). Di lì a poco, la gioia di Betania si sarebbe così spenta ai piedi di una croce.

Santo del giorno: 13 Aprile – Sant’Ermenegildo, Martire: Vissuto nel VI secolo, era figlio di Leovigildo, il primo re di Spagna visigoto e, come tutti i visigoti, era seguace di Ario. Il suo matrimonio con una cattolica provocò tensioni a corte e il re esiliò Ermenegildo e sua moglie a Siviglia. Qui, il giovane si convertì al cattolicesimo e tentò di sconfiggere il padre con l’aiuto dei Bizantini e degli Svevi. Gettato in carcere a Tarragona, rifiutò di ricevere la Comunione dalle mani di un vescovo ariano e per questo fu giustiziato. Figura molto controversa, il giudizio su di lui è stato a volte severo, a volte più o meno comprensivo. San Gregorio Magno, ad ogni modo, mette in rilievo il suo incontrovertibile martirio. È patrono della Spagna.

Preghiamo: O Dio, che operi sempre per la nostra salvezza e in questi giorni ci allieti con un dono speciale della tua grazia, guarda con bontà alla tua famiglia, custodisci nel tuo amore chi attende il Battesimo e assisti chi è già rinato alla vita nuova. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

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