2 Aprile 2019 – Martedì, IV di Quaresima – (Ez 47,1-9.12; Sal 45[46]; Gv 5,1-16) – I Lettura: Nella prima lettura Ezechièle ci parla di una visione suggestiva in cui egli vede un nuovo tempio dal quale scaturisce, dal lato destro, un’acqua prodigiosa, che porta ovunque la vita e la fecondità. I Padri della Chiesa, nella loro lettura tipologica della Scrittura, hanno riconosciuto nel tempio visto da Ezechièle il vero Tempio, Gesù: è infatti dalla ferita sul lato destro del suo costato che uscirono sangue e acqua. Vangelo: Il momento di festa in cui è collocato questo episodio del Vangelo, contrasta con la malattia che regna presso la piscina di Betzatà e con la sofferenza e la solitudine di anni di questo malato. In mezzo Gesù che si presenta con semplicità disarmante: “Vuoi guarire?” e poi, una volta guarito, invita il malato a portare con sé anche la barella, perché insieme all’uomo nuovo, restituito alla sua quotidianità, venga redenta e illuminata di dignità anche la vita passata.
All’istante quell’uomo guarì – Dal Vangelo secondo Giovanni: Ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». E all’istante quell’uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all’uomo che era stato guarito: «È sabato e non ti è lecito portare la tua barella». Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi la tua barella e cammina”». Gli domandarono allora: «Chi è l’uomo che ti ha detto: “Prendi e cammina”?». Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo. Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio». Quell’uo-mo se ne andò e riferì ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato.
Riflessione: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». L’evangelista non specifica di quale malattia fosse affetto quest’uomo che giaceva lungo la piscina. Sappiamo che era infermo da 38 anni e che era adagiato su una barella, sappiamo anche che per muoversi aveva bisogno di chi lo spostasse. E il vero problema era proprio nel fatto che nessuno lo immergeva nelle acque della piscina quando in queste si manifestava la gloria di Dio attraverso un “soffio” che ne agitava le acque. Ma quel giorno non fu necessario che andasse lui verso le acque, infatti venne a lui la Sorgente stessa di ogni grazia, la Roccia da cui scaturisce la salvezza (cfr. 1Cor 10,4). Cristo è l’Acqua viva che esce dal Tempio santo, l’Acqua mossa dal soffio dello Spirito che dà salute eterna: dove passa tutto guarisce e si rinnova, dove giunge, i frutti abbondano e il raccolto è certo! Il comando di Gesù all’infermo è una esortazione per tutti noi: se lo abbiamo conosciuto, incontrato e ascoltato, non possiamo rimanere a giacere sulle barelle del nostro “posto fisso”, ma dobbiamo alzarci e camminare; non più adagiati su qualcosa che ci trasporta, ma protagonisti della nostra storia, prendendo in mano il nostro quotidiano e portandolo con forza, secondo il comando del Cristo. Restiamo fedeli a Gesù, allontaniamoci dal peccato perché non ci accada di peggio: di perdere la sua grazia!
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Non peccare più – Giovanni Paolo II (Angelus, 16 Settembre 1984): Nel sacramento della Penitenza, Dio ci fa arrivare il suo perdono in un modo molto personale. Per mezzo del ministero del sacerdote, noi veniamo dal nostro Salvatore che ci ama, col fardello dei nostri peccati. Noi confessiamo che abbiamo peccato contro Dio, contro il nostro prossimo. Noi manifestiamo il nostro dispiacere e domandiamo perdono a Dio. Poi, per mezzo del sacerdote, sentiamo il Cristo che ci dice: “Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati” (Mc 2,5): “Va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11). Non possiamo pure noi sentirci dire da lui, mentre siamo colmi della sua grazia salvifica: “Fa’ arrivare agli altri, settanta volte sette, questo stesso perdono, questa stessa misericordia”? Questo è il lavoro della Chiesa in ogni età, il dovere di ciascuno di noi: “dichiarare e proclamare la misericordia di Dio in tutta la sua verità” (Dives in Misericordia 13), estendere a qualsiasi persona che incontriamo ogni giorno lo stesso illimitato perdono che abbiamo ricevuto dal Cristo. Noi mettiamo pure in pratica la misericordia quando “con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportiamo a vicenda con amore…” (Ef 4,2). E la misericordia di Dio si mostra anche con un servizio generoso e instancabile come viene richiesto quando si offrono cure sanitarie ai malati o nel portare avanti ricerche mediche con impegno perseverante.
Nuove malattie – Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa 5: L’amore ha davanti a sé un vasto lavoro al quale la Chiesa vuole contribuire anche con la sua dottrina sociale, che riguarda tutto l’uomo e si rivolge a tutti gli uomini. Tanti fratelli bisognosi attendono aiuto, tanti oppressi attendono giustizia, tanti disoccupati attendono lavoro, tanti popoli attendono rispetto: «È possibile che, nel nostro tempo, ci sia ancora chi muore di fame? chi resta condannato all’analfabetismo? chi manca delle cure mediche più elementari? chi non ha una casa in cui ripararsi? Lo scenario della povertà può allargarsi indefinitamente, se aggiungiamo alle vecchie le nuove povertà, che investono spesso anche gli ambienti e le categorie non prive di risorse economiche, ma esposte alla disperazione del non senso, all’insidia della droga, all’abbandono nell’età avanzata o nella malattia, all’emarginazione o alla discriminazione sociale. […] E come poi tenerci in disparte di fronte alle prospettive di un dissesto ecologico, che rende inospitali e nemiche dell’uomo vaste aree del pianeta? O rispetto ai problemi della pace, spesso minacciata con l’incubo di guerre catastrofiche? O di fronte al vilipendio dei diritti umani fondamentali di tante persone, specialmente dei bambini?».
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Nella Chiesa continua l’azione taumaturgica del Cristo – «Rese ai ciechi gli occhi che la morte avrebbe poi ancora chiusi; risuscitò Lazzaro, che sarebbe dovuto ancora morire. E tutto ciò che fece per la salute del corpo, non lo fece perché fosse eterna; quantunque alla fine donerà anche ai corpi la salute eterna. Ma ciò che gli uomini non vedevano non lo credevano; con queste azioni terrene, che gli uomini vedevano, costruiva la fede in ciò che essi non vedevano… Il Signore dunque fece tutto ciò per invitare gli uomini alla fede. E questa fede ora è fervida nella Chiesa, diffusa in tutto il mondo. E ora si compiono guarigioni maggiori, in vista delle quali egli non disdegnò, allora, di mostrare quelle, minori. Come infatti l’anima è migliore del corpo, così la salute dell’anima è migliore della salute del corpo. Oggi il corpo cieco non apre gli occhi per miracolo del Signore, ma il cuore cieco apre gli occhi alla parola del Signore. Oggi il cadavere mortale non risorge, ma risorge l’anima che giaceva morta nel cadavere vivente. Oggi le orecchie corporee e sorde non si aprono alla voce, ma quanti hanno chiuse le orecchie del cuore, che poi spalancano alla parola di Dio, tanto che credono coloro che non credevano e vivono bene quelli che vivevano male, e obbediscono coloro che disobbedivano. E noi diciamo: «Adesso crede», e ce ne meravigliamo, quando udiamo dire ciò di coloro che conoscevamo duri e impenetrabili. Ma perché tanto ti stupisci che uno creda, che sia innocente, che serva a Dio, se non perché constati che ora vede colui che sapevi cieco, che ora vive colui che sapevi morto, che ora ode colui che sapevi sordo?» (Agostino).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: L’acqua appartiene in oriente ai più importanti presupposti della vita. Nella Sacra Scrittura l’acqua significa felicità e sicurezza (Ez 47,1). Dio viene invocato come la fonte di acqua viva (Ger 17,13), vicino a cui il pio può vivere (Sal 3; Ger 17,8); anche Gesù si qualifica come acqua viva (Gv 4,10.13s); chi crede in lui, diventa egli stesso fonte di acqua viva (Gv 7,38). L’acqua del battesimo è segno della nuova vita (Gv 3,5; At 8,36). L’acqua che si versa o che scorre significa l’inutilità della vita e la sua caducità (Sal 22,15; 2Sam 14,14). Il peccatore è colui che beve il peccato come acqua (Gb 15,16); per mezzo dell’inondazione o del deterioramento dell’acqua viene il giudizio (Gen 6-7; Ap 8,11).
Santo del giorno: 2 Aprile – San Francesco da Paola, Eremita e fondatore: La sua vita fu avvolta in un’aura di soprannaturale dalla nascita alla morte. Nacque a Paola (Cosenza) nel 1416 da genitori in età avanzata devoti di san Francesco, che proprio all’intercessione del santo di Assisi attribuirono la nascita del loro bambino. Di qui il nome e la decisione di indirizzarlo alla vita religiosa nell’ordine francescano. Dopo un anno di prova, tuttavia, il giovane lasciò il convento e proseguì la sua ricerca vocazionale con viaggi e pellegrinaggi. Scelse infine la vita eremitica e si ritirò a Paola in un territorio di proprietà della famiglia. Qui si dedicò alla contemplazione e alle mortificazioni corporali, suscitando stupore e ammirazione tra i concittadini. Ben presto iniziarono ad affluire al suo eremo molte persone desiderose di porsi sotto la sua guida spirituale. Seguirono la fondazione di numerosi eremi e la nascita della congregazione eremitica paolana detta anche Ordine dei Minimi. La sua approvazione fu agevolata dalla grande fama di taumaturgo di Francesco che operava prodigi a favore di tutti, in particolare dei poveri e degli oppressi. Lo stupore per i miracoli giunse fino in Francia, alla corte di Luigi XI, allora infermo. Il re chiese al papa Sisto IV di far arrivare l’eremita paolano al suo capezzale. L’obbe-dienza prestata dal solitario costretto ad abbandonare l’eremo per trasferirsi a corte fu gravosa ma feconda. Luigi XI non ottenne la guarigione, Francesco fu tuttavia ben voluto ed avviò un periodo di rapporti favorevoli tra il papato e la corte francese. Nei 25 anni che restò in Francia egli rimase un uomo di Dio, un riformatore della vita religiosa. Morì nei pressi di Tours il 2 aprile 1507.
Preghiamo: Dio fedele e misericordioso, in questo tempo di penitenza e di preghiera disponi i tuoi figli a vivere degnamente il mistero pasquale e a recare ai fratelli il lieto annunzio della tua salvezza. Per il nostro Signore Gesù Cristo…