marzo, meditazioni

23 Marzo 2019

23 Marzo 2019 – Sabato, II di Quaresima – (Mi 7,14-15.18-20; Sal 102[103]; Lc 15,1-3.11-32) – I Lettura: Michèa esercita la sua missione nel periodo della presa di Samarìa (721 a.C.) e l’avvento di Sennàcherib (701 a.C.) accusando i numerosi peccati del popolo e annunciando l’imminente sventura. In questa preghiera, il profeta, mette in risalto la peculiarità che più di ogni altra distingue il Dio di Israele da tutti gli altri déi stranieri: la Misericordia che si manifesta come il potere di “togliere l’iniquità e perdonare il peccato”. Salmo: (vv. 3-5) Dio perdona, guarisce, risuscita, corona: la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno (2Tm 4,8)” (Cassiodoro). Vangelo: Gesù racconta questa parabola ad un uditorio formato da pubblicani e peccatori. La misericordia di Dio è rappresentata nella liberalità del padre che rispetta le decisioni dei figli e nel suo amore che va incontro, all’inizio, al figlio che ritorna a casa e, dopo, al figlio maggiore che non vuole entrare a festeggiare. Il padre non si dimostra giudice, né all’uno né all’altro, egli apre la porta del suo cuore perché riconoscano la sua amorevole paternità.

Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Riflessione: «… ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». “Il Dio cristiano è il Dio della speranza non solo nel senso che è il Dio della promessa e quindi il fondamento e la garanzia della speranza dell’uomo, ma anche nel senso che è un Dio che sa far festa a questo ritorno. Ciò che consente di parlare della speranza e dell’umiltà di Dio è l’atteggiamento che spinge il padre commosso a correre incontro al figlio che torna. L’umiltà e la speranza di Dio non cessano di attendere il ritorno dei suoi figli, con un amore più forte di tutto il non-amore con cui può essere corrisposto. Dio ama come solo una madre sa amare, con un amore irradiante tenerezza. Il mistero della maternità divina è icona della capacità di un amore irradiante e gratuito, più fedele di ogni possibile infedeltà dell’uomo. Sempre il Dio umile resta speranzoso della sua creatura, come – lo sottolineava san Bernardo – lo fu del sì di Maria. La parabola ci pone dinanzi a un padre che non ha paura di perdere la propria dignità, che anzi sembra metterla in pericolo. L’autorità di un padre non sta nelle distanze che egli più o meno mantiene, ma nell’amore irradiante che egli esprime. È questo il coraggio dell’amore di Dio: il coraggio di infrangere le sicurezze false, apparenti, per vivere l’unica sicurezza che è quella dell’amore più forte del non-amore; il coraggio di andare all’altro superando le distanze protettive che la nostra incapacità di amare troppo spesso vuole erigere intorno a noi” (Bru-no Forte, Nella memoria del Salvatore).

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Mi alzerò… – Dives in Misericordia 5: Nella parabola del figliol prodigo non è usato neanche una sola volta il termine “giustizia”, così come, nel testo originale, non è usato quello di “misericordia”; tuttavia, il rapporto della giustizia con l’amore, che si manifesta come misericordia, viene con grande precisione inscritto nel contenuto della parabola evangelica. Diviene più palese che l’amore si trasforma in misericordia, quando occorre oltrepassare la precisa norma della giustizia: precisa e spesso troppo stretta. Il figliol prodigo, consumate le sostanze ricevute dal padre, merita – dopo il ritorno – di guadagnarsi da vivere lavorando nella casa paterna come mercenario, ed eventualmente, a poco a poco, di conseguire una certa provvista di beni materiali, forse però mai più nella quantità, in cui li aveva sperperati. Tale sarebbe l’esigenza dell’ordine di giustizia, tanto più che quel figlio non soltanto aveva dissipato la parte del patrimonio spettantegli, ma inoltre aveva toccato sul vivo ed offeso il padre con la sua condotta. Questa, infatti, che a suo giudizio l’aveva privato della dignità filiale, non doveva essere indifferente al padre. Doveva farlo soffrire. Doveva anche, in qualche modo, coinvolgerlo. Eppure si trattava, in fin dei conti, del proprio figlio, e tale rapporto non poteva essere né alienato, né distrutto da nessun comportamento. Il figliol prodigo ne è consapevole, ed è appunto tale consapevolezza a mostrargli chiaramente la dignità perduta ed a fargli valutare rettamente il posto, che ancora poteva spettargli nella casa del padre.

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «Un uomo aveva due figli e il più giovane gli disse: “Dammi la mia parte di patrimonio” [Lc 15,11-12]. Vedi che il patrimonio divino viene dato a coloro che lo chiedono. E non credere che il padre sia in colpa perché ha dato il patrimonio al più giovane: non si è mai troppo giovani per il Regno di Dio, e la fede non sente il peso degli anni» (Ambrogio).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: I due figli – «È facile riconoscersi nella figura del figlio che torna: siamo capaci di commettere tutti gli sbagli del mondo se il Signore non ci tiene stretti per mano. “La parabola – scrive il Papa – tocca indirettamente ogni rottura dell’alleanza d’amore, ogni perdita della grazia, ogni peccato” (Dives in Misericordia, 30), anche le piccole infedeltà in cui incorriamo solo per debolezza pur desiderando seguire da vicino Gesù, e che “nella vita dei cristiani sono frequenti come il tic-tac di un orologio” (Beato Josemaría Escrivá). Ma solo se cadiamo preda della disperazione queste mancanze piccole e o grandi, possono impedirci di fare nostra la decisione del figlio pentito: Mi leverò e andrò da mio padre [Lc 15,18]. Il figlio minore ha saputo chiedere perdono. Per questo, e solo per questo, rinasce alla vita: la gioia di constatare che l’amore del padre per lui non è venuto meno. Una lezione addirittura trasparente per ognuno di noi. Anche la figura del figlio maggiore della parabola ritrae una situazione cui non siamo affatto estranei. La sua protesta, quando il padre accoglie l’altro fratello, mette a nudo una contraffazione della realtà: un diritto, difeso nel rifiuto della misericordia verso l’altro, è in realtà un sopruso, un falso diritto. Egli apparentemente non aveva colpe, ma il racconto evangelico implica che l’uomo che cerca di compiere fedelmente i propri impegni non è per questo giustificato. La giustizia da sola non basta: separata dall’amore, si mescola fatalmente al rancore. Non sana, inasprisce. “Essa può condurre alla negazione e all’annientamento di se stessa, se non si consente a quella forza più profonda, che è l’amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie “dimensioni” [Dives in Misericordia, 12]. Il figlio maggiore non riesce a cancellare dalla propria mente il confronto fra i propri sacrifici e la sconsideratezza del fratello, il suo cuore si indurisce. È lecito raffigurarselo come un uomo cupo, perché la misericordia infonde una gioia profonda anzitutto in chi ha imparato a perdonare. Bisogna che tutti noi sappiamo offrire gesti tangibili di perdono a chi ci ha in qualche modo feriti. “Nessuno… voglia escludersi dall’abbraccio del Padre. Nessuno si comporti come il fratello maggiore della parabola evangelica che si rifiuta di entrare in casa per far festa (cfr. Lc 15,25-30). La gioia del perdono sia più forte e più grande di ogni risentimento” (Incarna-tonis Mysterium, 11)»” (+ Javier Echevarría).

Santo del giorno: 23 Marzo – San Turibio de Mogrovejo, Vescovo: Turibio de Mogrovejo (1538-1606) fu chiamato all’episcopato da laico, mentre era giurista all’Università di Salamanca e alla corte di Filippo II di Spagna. Su richiesta di questi Gregorio XIII nel 1580 lo inviò a Lima, in Perù. Aveva 42 anni. Giunse alla sede l’anno dopo e iniziò subito un’intensa attività missionaria. Nei suoi 25 anni di episcopato organizzò la Chiesa peruviana in otto diocesi e indisse dieci sinodi diocesani e tre provinciali. Nel 1591 a Lima sorgeva per sua volontà il primo seminario del continente americano. Incentivò la cura parrocchiale anche da parte dei religiosi e fu molto severo con i sacerdoti proni ai conquistadores. Fu, infatti, strenuo difensore degli indios. Morì tra loro in una sperduta cappellina al nord del Paese. È santo dal 1726.

Preghiamo: O Dio, che per mezzo dei sacramenti ci rendi partecipi del tuo mistero di gloria, guidaci attraverso le esperienze della vita, perché possiamo giungere alla splendida luce in cui è la tua dimora. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

 

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *