22 Marzo 2019 – Venerdì, II di Quaresima – (Gen 37,3-4.12-13.17b-28; Sal 104[105]; Mt 21,33-43.45-46) – I Lettura: Il motivo dell’odio dei fratelli nei confronti di Giuseppe è espresso già all’inizio del brano della Gènesi di oggi: “Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli”. Era proprio la sua vicinanza al padre, e non un torto o un’offesa fatta ai fratelli, a suscitare la loro avversione che li porterà a decidere di eliminarlo. Questo lo acco-muna alla sorte di Gesù: anche questi è odiato perché si proclama Figlio di Dio e i segni che compie attestano questo suo rapporto intimo con il Padre. Vangelo: La parabola dei vignaioli omicidi è un altro riferimento alla sorte tragica che toccherà a Gesù per colpa delle guide religiose. Nella parabola la Vigna rappresenta il Popolo Eletto, come in Is 5,1-2 dove il profeta la descrive come l’oggetto della sollecitudine di Dio. I vignaioli sono i capi religiosi che, per non perdere il loro potere e i loro privilegi sul popolo, maltrattano e uccidono i servi del Padrone e del Figlio decretano unanimi la morte per usurparne l’eredità. Anche qui il motivo del loro odio è il rapporto intimo che c’è tra il Figlio e il Padre. Ma il Figlio è anche l’ultimo inviato e il destino di quegli uomini è determinato non tanto da come hanno agito con i servi, ma dalla posizione da loro assunta nei confronti del Figlio.
Costui è l’erede. Su uccidiamolo! – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti». Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta.
Riflessione: «Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”». Giuseppe, il figlio amato di Giacobbe, nelle sue vicissitudini piene di angherie e tradimenti perpetrati ad opera degli stessi suoi fratelli, diventa immagine e prefigurazione del Figlio dell’uomo il quale, con la sua passione, morte e risurrezione diviene motivo di salvezza proprio per coloro che lo tradiscono, lo accusano, lo condannano e lo uccidono. Alla fine della storia di Giuseppe si arriva ad affermare l’assurdo, e cioè che se egli non fosse stato odiato e venduto come schiavo, se non fosse stato ingiustamente accusato e gettato in carcere, se non fosse rimasto fedele dinanzi a Dio e giusto dinanzi agli uomini con una eroica perseveranza… i suoi fratelli, la sua famiglia non avrebbero avuto la salvezza: alla fine questi vanno a lui per un po’ di grano ed egli ricambia donando loro un intero territorio in cui vivere e prosperare. Così è stato per Gesù: «Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,5). Cosa dovrebbe essere più fedele di un legame di sangue, cosa più bello e solidale che un rapporto tra fratelli? Eppure hanno trattato Giuseppe come hanno voluto. Cosa potrebbe darci più onore, gratificarci, rallegrarci, se non il sapere che il Padre si fida di noi, ci affida la sua vigna e attende con speranza il giusto raccolto a suo tempo? Eppure non abbiamo rispetto nemmeno per il Figlio, buttandolo fuori dai nostri affari, escludendolo da ciò che abbiamo solo per dono, impossessandoci di ciò che non ci appartiene e, col peccato, rinnovare la sua Passione, inchiodandolo con i chiodi della nostra malizia.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: I vignaioli infedeli – Card. Tarcisio Bertone (Omelia, 2 Ottobre 2011): Nei vignaioli [infedeli] … riconosciamo… l’esito tragico di una mentalità e di una vita che si illudono di avere successo puntando sulla voglia di accaparrare ad ogni costo per sé e sul rifiuto del servizio. È una mentalità purtroppo presente lungo tutta la storia umana, in ogni epoca e luogo: essa continua ad insinuarsi, spesso con messaggi suadenti, ma l’esito è sempre quello della violenza e della morte. Tuttavia, il messaggio finale di Gesù è anche qui una promessa carica di speranza, basata sulla Parola immutabile di Dio: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo” (Mt 21,42; cfr. Sal 118,22). Questa promessa si è realizzata proprio in Gesù, nella sua morte e risurrezione: dal Mistero pasquale prende origine il popolo nuovo, prende origine la Chiesa santa e la santità nella Chiesa, una santità che dimostra la vittoria di Cristo, la vittoria dell’amore sul peccato, della gratuità sull’egoismo: “Chi vuol salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo la salverà” (Mc 8,35). Questa è la logica dei santi!
… vi piantò una vigna – Lumen Gentium 6: Come già nell’Antico Testamento la rivelazione del regno viene spesso proposta in figure, così anche ora l’intima natura della Chiesa ci si fa conoscere attraverso immagini varie, desunte sia dalla vita pastorale o agricola, sia dalla costruzione di edifici o anche dalla famiglia e dagli sponsali, e che si trovano già abbozzate nei libri dei profeti. La Chiesa infatti è un ovile, la cui porta unica e necessaria è Cristo (cfr. Gv 10,1-10). È pure un gregge, di cui Dio stesso ha preannunziato che ne sarebbe il pastore (cfr. Is 40,11; Ez 34,11ss), e le cui pecore, anche se governate da pastori umani, sono però incessantemente condotte al pascolo e nutrite dallo stesso Cristo, il buon Pastore e principe dei pastori (cfr. Gv 10,11; 1Pt 5,4), il quale ha dato la vita per le pecore (cfr. Gv 10,11-15). La Chiesa è il podere o campo di Dio (cfr. 1Cor 3,9). In quel campo cresce l’antico olivo, la cui santa radice sono stati i patriarchi e nel quale è avvenuta e avverrà la riconciliazione dei Giudei e delle Genti (cfr. Rm 11,13-26). Essa è stata piantata dal celeste agricoltore come vigna scelta (Mt 21,33-43, par.; cfr. Is 5,1 ss). Cristo è la vera vite, che dà vita e fecondità ai tralci, cioè a noi, che per mezzo della Chiesa rimaniamo in lui, e senza di lui nulla possiamo fare (cfr. Gv 15,1-5).
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «Il vigneto fu piantato quando fu data la Legge nei cuori… Furono mandati i Profeti a chiedere i frutti… ma furono oltraggiati e uccisi. Fu mandato anche il Cristo, il Figlio unico del Padre di famiglia, ma uccisero anche Lui, cioè lo stesso erede, e perciò persero l’eredità. Il loro piano criminoso si rivolse contro di loro. Uccisero per possedere, ma, poiché uccisero, persero il possesso» (Agostino).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi…, chiara allusione ai profeti mandati da Dio ad Israele. Il raccolto, invece sta ad indicare le opere buone rivendicate dal Signore Dio. L’invio del figlio è l’ultimo tentativo che avrà un esito drammatico. La decisione di uccidere l’erede è in sintonia con la legge ebraica, la quale, nel caso in cui un proselito ebraico moriva, permetteva ai suoi fittavoli di reclamare le sue terre. Ma qui «viene denunciato non tanto un furto di prodotti quanto piuttosto la usurpazione dei diritti di Dio e la pretesa di prendere il suo posto; sta per ripetersi il peccato dei progenitori» (Bruno Barisan). Alla fine del racconto, i farisei non si accorgono di essere gli accusati (cfr. 2Sam 12,5-7) e rispondendo alla domanda di Gesù, si autodenunciano trasgressori e meritevoli del castigo. La sentenza non tarda ad arrivare: darò in affitto la vigna ad altri contadini, che mi consegneranno i frutti a suo tempo. Questo affidamento però non suggerisce un’idea di appropriazione; infatti, la vigna viene soltanto affidata alla Chiesa ed essa dovrà dare i frutti a tempo debito. È un dono che non porta il marchio della infallibilità; quindi, rimane possibile, anche per la Chiesa, la probabilità di un ripudio. L’affermazione può sembrare temeraria, ma «ha il vantaggio di provocare una precisazione. La Chiesa è per sua natura santa perché corpo e sposa di Cristo e animata dallo Spirito Santo. Non potrà mai essere ripudiata perché è indefettibile [Mt 16,18]. Dio non può ripudiare suo Figlio di cui la Chiesa è corpo. Però se non c’è il pericolo del ripudio collettivo, rimane sempre quello del rigetto individuale, tanto più grave quanto maggiori sono i sussidi a disposizione di ognuno» (Vincenzo Raffa). È la minaccia del Padre di resecare ogni tralcio che in Cristo non porta frutto: «Io sono la vera vite e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato» (Gv 15,1-2). Allora la parabola richiama il «bisogno di riacquistare il senso che la Chiesa è anzitutto dono di Dio e che noi stessi lo siamo, che in essa egli ha stabilito con noi un rapporto di amore e di fiducia e che ci domanda il contraccambio di tale rapporto come primo frutto» (Bruno Barisan).
Santo del giorno: 22 Marzo – Santa Lea, Vedova: “La vita di questa santa ci è nota solo attraverso gli scritti di san Girolamo, che ne parla in una lettera alla gentildonna Marcella, animatrice di una comunità femminile di tipo quasi monastico nella sua residenza sull’Aventino. Anche Lea è di famiglia nobile: rimasta vedova in giovane età, pareva che dovesse poi sposare un personaggio illustre, Vezzio Agorio Pretestato, chiamato ad assumere la dignità di console. Ma lei è entrata invece nella comunità di Marcella, dove si studiano le Scritture e si prega insieme, vivendo in castità e povertà. Con questa scelta, Lea capovolge modi e ritmi della sua vita. Marcella ha in lei una fiducia totale: tant’è che le affida il compito di formare le giovani nella vita di fede e nella pratica della carità nascosta e silenziosa. Quando Girolamo ne parla, nel 384, Lea è già morta” (Avvenire).
Preghiamo: Dio onnipotente e misericordioso, concedi ai tuoi fedeli di essere intimamente purificati dall’im-pegno penitenziale della Quaresima, per giungere con spirito nuovo alle prossime feste di Pasqua. Per il…