marzo, meditazioni

15 Marzo 2019

15 Marzo 2019 – Venerdì, I di Quaresima – (Ez 18,21-28; Sal 129[130]; Mt 5,20-26) – I Lettura: Dio passa dal sottolineare il concetto di responsabilità di ciascuno (vedi prima parte del capitolo 18), al soffermarsi su ciò che la penitenza riesce a restaurare in un’anima devastata dal peccato. La penitenza che ridona al peccatore la vita, comprende degli atti essenziali: il rammarico delle colpe commesse, la richiesta di perdono, il dolore sincero ed il proposito serio di orientarsi solo alle cose di Dio. Quando una persona si pente e ripara il proprio peccato, fa sì che la sua anima si orienti pienamente alle cose sante e Dio non ricorda più i peccati commessi. Vangelo: La richiesta di Gesù ai suoi discepoli, di compiere una giustizia superiore a quella degli scribi e dei farisei, consiste non nel fare un qualcosa in più di loro, ma nel fare meglio. “Fare meglio” la giustizia, consiste nel cercarla attraverso il perdono e l’amore: un amore “nuovo”, gratuito, che va al di là dei meriti, una giustizia che tiene conto non solo delle azioni ma anche delle intenzioni.

Va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».

Riflessione: «… lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono». Ricordiamoci sempre che siamo immagine e somiglianza di Colui che non gode della morte del peccatore, ma che fa di tutto perché l’empio si converta e viva, come afferma la Prima Lettura oggi proclamata. Sì, è innegabile che è l’empio che compie il male agli occhi del Signore e gli si getta contro, infrangendo la sua Legge e disobbedendo ai suoi voleri, ignorando la sua Parola e allontanandosi dai suoi sentieri. Eppure Dio continua ad amarlo, cerca di recuperarlo, mettendo in atto tutto ciò che gli è possibile, donandogli ogni cosa, perfino il suo Figlio! Ecco perché il cristiano è chiamato a superare ogni logica di umana giustizia: siamo seguaci di chi non tiene conto del male ricevuto, facendo sorgere il sole sui giusti e sugli ingiusti e facendo piovere sui buoni e sui malvagi. Da qui l’invito di Gesù ad avere una giustizia che superi quella dei farisei, una giustizia che non si fermi a quanto stabilisce la Legge o a quanto richiede la logica. La Croce non segue alcuna logica se non quella dell’amore gratuito e fedele! Non basta sentirsi a posto solo perché non ho fatto male a nessuno: anche Dio non ha fatto male a nessuno ma non gli basta: come un buon Pastore viene a cercare noi che ci siamo cocciutamente smarriti, che non abbiamo ascoltato la sua voce e abbiamo percorso i nostri sentieri. Eppure egli viene a cercarci, a guarirci, a salvarci. Tale deve essere il nostro amore nei confronti di ogni fratello, compreso il peggiore, compreso quello che ci mette in croce! Inutile fare fioretti, privarsi di dolcini o altro, se poi non provo con tutto il cuore, con la preghiera e con gesti concreti di riconciliazione, di riconquistare il cuore del fratello.

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Se il giusto si allontana… – Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 20 Luglio 1983): Siamo… opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo” (Ef 2,10). La nostra Redenzione in Cristo […] ci abilita a compiere, nella pienezza dell’amore, quelle opere buone “che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo”. La bontà del nostro agire è il frutto della Redenzione. San Paolo perciò insegna che, in forza del fatto di essere stati redenti, noi siamo diventati “servi della giustizia” (Rm 6,18). Essere “servi della giustizia” è la nostra vera libertà. In che cosa consiste la bontà dell’agire umano? Se noi facciamo attenzione alla nostra esperienza quotidiana, vediamo che, fra le varie attività in cui si esprime la nostra persona, alcune accadono in noi ma non sono pienamente nostre, mentre altre, non solo accadono in noi, ma sono pienamente nostre. Sono quelle attività che nascono dalla nostra libertà: atti di cui ciascuno di noi è autore in senso vero e proprio. Sono, in una parola, gli atti liberi. Quando l’apostolo ci insegna che siamo opera di Dio, “creati in Cristo Gesù per le opere buone”, queste opere buone sono gli atti che la persona umana, con l’aiuto di Dio, compie liberamente: la bontà è una qualità del nostro agire libero. Di quell’agire, cioè, di cui la persona è principio e causa; di cui, dunque, è responsabile. Mediante il suo agire libero, la persona umana esprime se stessa e, nello stesso tempo, realizza se stessa. La fede della Chiesa, fondata sulla divina Rivelazione, ci insegna che ciascuno di noi sarà giudicato secondo le sue opere. Si noti: è la nostra persona che sarà giudicata in base alle sue opere. Da ciò si comprende che nelle nostre opere è la persona che si esprime, si realizza e, per così dire, si plasma. Ciascuno è responsabile non solo delle sue azioni libere, ma mediante tali azioni, diviene responsabile di se stesso.

Fraternità universaleNostra Aetate 5: Non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine di Dio. L’atteggiamento dell’uomo verso Dio Padre e quello dell’uomo verso gli altri uomini suoi fratelli sono talmente connessi che la Scrittura dice: «Chi non ama, non conosce Dio» (1Gv 4,8). Viene dunque tolto il fondamento a ogni teoria o prassi che introduca tra uomo e uomo, tra popolo e popolo, discriminazioni in ciò che riguarda la dignità umana e i diritti che ne promanano. In conseguenza la Chiesa esecra, come contraria alla volontà di Cristo, qualsiasi discriminazione tra gli uomini e persecuzione perpetrata per motivi di razza e di colore, di condizione sociale o di religione. E quindi il sacro Concilio, seguendo le tracce dei santi apostoli Pietro e Paolo, ardentemente scongiura i cristiani che, «mantenendo tra le genti una condotta impeccabile» (1Pt 2,12), se è possibile, per quanto da loro dipende, stiano in pace con tutti gli uomini, affinché siano realmente figli del Padre che è nei cieli.

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Errato presumere della propria giustizia – “Notate ora la voce del peccatore che grida dall’abisso: Dal profondo ho gridato a te, Signore; Signore, ascolta la mia voce. I tuoi orecchi siano attenti alla voce della mia supplica. Da dove grida? Dall’abisso. Chi grida? Il peccatore. Quale speranza lo induce a gridare? Grida perché colui che venne a rimettere i peccati non lasciò senza speranza nemmeno il peccatore che avesse toccato il fondo [del male]. In questa fiducia, dopo le parole precedenti cosa aggiunge? Se scruterai le colpe, Signore, chi, Signore, potrà resistere? Ecco indicato chiaramente l’abisso da dove gridava. Gridava da sotto il cumulo delle sue colpe, sommerso dai loro marosi. Aveva esaminato se stesso e tutti i risvolti della sua vita, e l’aveva trovata ovunque coperta di atrocità e delitti. In nessuna parte dove aveva posato lo sguardo era riuscito a trovare del bene: nemmeno il più piccolo squarcio di quel sereno che è frutto di giustizia gli si era offerto [allo sguardo]. Vedendo quindi per ogni dove i suoi innumerevoli e gravissimi peccati, o meglio le montagne dei suoi misfatti, come in preda al terrore esclamava: Se scruterai le colpe, Signore, chi, Signore, potrà resistere? Non ha detto: Io non resisterò, ma: Chi potrà resistere? Ha notato come attorno alla vita di ciascun uomo, o quasi, si leva come un latrare causato dai peccati commessi; ha compreso che ogni coscienza è sotto accusa per i pensieri che l’attraversano e che non c’è [sulla terra] un cuore casto che possa sentirsi sicuro sulla base della propria giustizia. Se pertanto non c’è cuore casto che possa nutrire fiducia basandosi sulla propria giustizia, che ci si fidi tutti della misericordia di Dio e si dica: Se scruterai le colpe, Signore, chi, Signore, potrà resistere?” (Sant’Agostino).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Al tempo di Gesù era molto diffusa una concezione piuttosto unilaterale: la giustizia doveva consistere nell’adempimento fedele delle prescrizioni della legge. A Dio toccava solo fare il bilancio tra le osservanze e le mancanze. Nel Nuovo Testamento abbiamo una svolta. Dio realizza la giustizia «per mezzo di Gesù Cristo» (Fil 1,11). I cristiani perciò diventano giusti non per mezzo della legge, ma rimettendosi totalmente a Cristo, per mezzo della  fede («giustificazione per mezzo della fede» Rm 3,28) e attraverso la grazia e la misericordia di Dio (Tt 3,7). Da questo dono deriva, per chi è diventato giusto, «una nuova vita» (Rm 6,4; 12s) nell’amore. Gesù stesso «ha adempiuto tutta la giustizia» (Mt 3,15) e l’ha raccomandata (Mt 5,6; fame e sete di giustizia). In una nuova economia i cristiani debbono «fare la giustizia» (1Gv 2,29), superando quella dei Farisei.

Santo del giorno: 15 Marzo – Santa Luisa de Marillac, Vedova e religiosa: Luisa (Ludovica) nasce nel 1591 a Ferrieres e ha un’infanzia agiata. Dopo il 1604, morto il padre, viene tolta dal regio collegio e affidata a una «signorina povera» (forse sua madre), che l’avvia al lavoro. In questo periodo matura il proposito di farsi religiosa. Ma i parenti la danno in sposa nel 1613 allo scudiero e segretario di Maria de’ Medici, Antonio Le Gras. I frequenti colloqui con Francesco di Sales, incontrato la prima volta a Parigi nel 1618, aiutano Ludovica a superare le proprie sofferenze. Poi nel 1624, grazie all’incontro con Vincenzo de’ Paoli, diventa cofondatrice dell’Istituto delle Figlie della Carità. Poco dopo, nel dicembre 1625, morto il marito ed entrato in seminario il figlio Michele, accoglie in casa sua le prime giovani venute dal contado per mettersi al servizio dei poveri, in collaborazione con le Dame della Carità. Era il primo nucleo della nuova congregazione, dai lei guidata fino alla morte, avvenuta nel 1660.

Preghiamo: Concedi, Signore, alla tua Chiesa di prepararsi interiormente alla celebrazione della Pasqua, perché il comune impegno nella mortificazione corporale porti a tutti noi un vero rinnovamento dello spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

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